[inserire qui il paragrafo introduttivo in cui si ribadisce ancora una volta che risulta incredibile come un discreto cane recitativo come Ben Affleck sia diventato un regista più che discreto, autorevole.]
[Per veri esperti, aggiungere qui considerazioni sul fatto che quando smetterà di auto-inserirsi nei suoi film come attore in stile Clint Eastwood e lascerà fare agli attori veri, allora arriverà il capolavorone.]
Su Argo non ho molto da dire, per due motivi. Uno: dato che inevitabilmente si conosce il finale del film, non è il caso di svelarvi i pochi punti oscuri della sua realizzazione. Due: è così coeso e compatto che è davvero difficile trovare qualcosa a cui appigliarsi per sviscerarlo.
Ben Affleck mette in atto un processo apparentemente semplice in maniera ancora una volta riuscita: prendere un’idea di partenza e svilupparla in un film con una premessa, uno svolgimento e una fine. Grazie al cavolo, direte voi. Eh, il problema di tutti gli altri è che a un certo punto questo meccanismo si blocca, mostra delle falle, lascia delle macchie dietro di sé. In Argo invece no: Affleck tira fuori un film inattaccabile.
Scopo del film: raccontare la storia di come un funzionario della CIA sia riuscito ad estrarre sei collaboratori dell’ambasciata americana rimasti bloccati in quella canadese allo scoppio delle violenze in Iran nel 1980. Il film fa esattamente questo, niente sorpresone.
Il punto è come lo fa, ovvero bene, tralasciando inutili fronzoli ma curando i dettagli ad alto livello. Questo vuol dire che fin dai titoli di testa, si nota che il design, i set e i costumi di scena lavorano alla grande per rendere davvero l’evento nella sua accezione più storica.
Volontà che si rafforza con la ricostruzione cinematografica dell’assalto all’ambasciata americana (basta confrontarla con le vere foto per notare l’attenzione ossessiva alla fedeltà al vero fatto storico) e di tutti gli innesti più direttamente collegati alle vicende che stavano cambiando l’Iran dell’epoca. Impossibile poi non notare come il criterio del casting (Affleck escluso) sia più votato alla verosimiglianza fisica e caratteriale degli interpreti ai diplomatici originali rispetto alla facile ricerca di qualche volto noto. Non che manchino i volti noti, ma l’intento (riuscito anche questo) sembra quello di creare un cast corale, che renda più realistico lo svolgimento degli eventi, senza protagonismi o squilibri recitativi.
Se l’aderenza alla realtà sembra impermeare la traccia della sceneggiatura, non ci troviamo di certo di fronte a un docufilm, anzi. Nella regia e nelle scelte del montaggio troviamo tutta la grazia, l’eleganza e l’espressione tecnica che si rifanno al mondo “fittizio” del cinema, lontano mille miglia dal reale nelle sue dinamiche e nei suoi tempi.
Qui Ben Affleck fa un ulteriore passo avanti, consegnandoci non un film ritmato, bensì un ottimo film dal ritmo calibratissimo e coinvolgente. Se l’inizio può peccare di bassi giri per via dell’inevitabile spiegone (scusate tanto, se non c’eravamo ancora tutti), l’ultima mezz’ora della pellicola, dedicata alle varie fasi della rocambolesca fuga da Teheran, inchioda invariabilmente ogni spettatore alla poltrona. Perché, se sappiamo già che ce la faranno a fuggire? Che bisogno c’è di andare in ansia? Nessuno, quello è tutto lavoro di regia e montaggio, talmente capaci di giocare con le emozioni dello spettatore che voi a quella sedia ci rimarrete comunque incollati, anche se sapete benissimo come andrà a finire.
A scanso di equivoci, non è nemmeno un film barboso. Piuttosto, è una pellicola essenziale, che non ha bisogno di grandi momenti per stupire. Lo fa già con piccole scene intime, brevi scorci sulla camera del figlio del protagonista sul finale, sulla ripresa delle sue suppellettili…quella è vera eleganza, è studiata ma risulta spontanea. Tutto il baraccone che viene costruito sulle storie di altri attori/registi (Clooney, Redford) vuole stupire a tutti i costi e risulta rindondante e pretestuosissimo. Qui invece ci sono solo l’abbraccio, il disegno, la carrellata sulle action figures del figlio: quattro piccole pennellate, una splendida chiusa finale.
Lo vado a vedere? Dubito sia ancora fuori in qualche sala, dato il mio lieve ritardo nel recensirlo *coff coff*. Sicuramente però merita un bel recuperone, specie se amate il cinema vecchia maniera, quello che fa poche cose, chiaramente, magistralmente.
Ci shippo qualcuno? Se dico che magari tutta quell’intesa tra Goodman e Arkin potrebbe essere fraintesa, mi picchiate?
Ci crediamo in Affleck? Oh, stavo per scrivere hitchcockiano. Direi che è un segnale di fiducia. Se poi lascia recitare gli altri, sarà perfetto.
Visto ieri sera – sì, sono sempre sul pezzo, lo so. Ricordo benissimo la rivoluzione iraniana – insieme alla guerra delle Falkland ha segnato la fine della mia fiducia infantile nella competenza politica di mio padre, e non c’erano ancora i little pony a dare la linea (glitter e matriacato, non necessariamente in quest’ordine). Il film è molto curato – sì, la gente si vestiva davvero così male, con quei colorini orribili lì. Mi è piaciuto moltissimo, ed è talmente ben fatto da resistere al trattamento rete4, fatto di interruzioni pubblicitarie sempre più ravvicinate man mano che il film si avvia alla fine. Argo non ha fatto una piega.
Pensa che l’ho rivisto ieri sera anche io, insieme a mia madre e non l’ho trovato invecchiato di un giorno, anzi.
Verso metà mi sono ricordata che c’era anche su Netflix, quindi abbiamo finito un 40 minuti prima del trattamento Rete4.
Glitter e matriarcato, in no particular order, fuck yeah!