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Ultimo film visto in sala nel 2012, ampiamente anticipato dai gridolini estatici di voi fighette hipster là fuori.

Moonrise Kingdom Susy Sam

Stavolta poi siamo qui a parlare di un film non solo amato da critica (fighetta) e pubblico (come sopra), ma che si è rivelato un discreto successo commerciale, rientrando ampiamente dei 15 milioni di dollari di costo iniziale, su cui chissà quanto hanno inciso i quadretti a mezzo punto o l’allestimento della recita parrocchiale.
Prima di girare a vuoto, cominciamo.

Moonrise Kingdom è un film delizioso, un autentico film da effetto nostalgia con una vera fiction (nel senso di creazione letteraria) a tematica adolescenziale come epicentro.
Tanto John Carter a inizio anno riusciva a consegnarci un autentico film d’avventura fantastica sullo stesso livello di tanti cult degli anni ’80/’90, tanto questa pellicola si piazza come un piccolo classico tra quei delicati racconti di microcosmi adolescenziali, sentimenti fortissimi di amore, amicizia e solidarietà che si scontrano con un mondo adulto piuttosto distante e grottesco (ma che Anderson non manca di restituire in tutta la sua umanità).

Moonrise Kingdom recita scolastica
Quanto è bello Moonrise Kingdom? Tanto, come vi spiegavo poco più sopra. Non solo per come rende fiabesca e incantata la storia di Susy e Sam, restituendo attraverso lo sguardo adolescenziale anche le sfumature più cupe della storia (il rapporto tra i genitori, i problemi di Susy stessa).
Moonrise Kingdom è un ottimo film all’interno della filmografia di Wes Anderson, esaltando i vezzi e le caratteristiche stilistiche proprie di questo regista e attenuandone i limiti.
L’aspetto puramente tecnico in particolare è strabiliante; la marcatissima palette cromatica, che si aggira sempre sui toni del giallo, del senape e del verde-marrone, contrastati talvolta dai blu, è usata magistralmente senza sfumature, in maniera emozionante, sfruttando come fattore di forza proprio l’artificialità di una resa cromatica nettissima, senza mezze misure e a negli interni quasi mono-tonale.
Alla stessa si uniscono una fotografia e una composizione geometrica delle scene praticamente magistrali, che riescono a imporre un ritmo a uno stile di regia che si conferma ancora una volta una frenetica alternanza tra campi lunghissimi, fermi, lievi carrellate e stacchi velocissimi con movimenti a 90°, diritto ad un primo piano dei protagonisti (visto dalla prima fila come mi è successo, la cosa è un po’ penalizzante).
Anche l’uso della musica è curatissimo, con gli inediti di Alexandre Desplat (che spesso risuonano di voci fanciullesche, giusto a ribadire quanto sopra) intervallati da arie classiche o da vere e proprie lezioni alla comprensione della musica classica (The Young Person’s Guide To The Orchestra di Benjamin Britten, i cui lavori vengono richiamati più e più volte nella pellicola), un chiaro rimando all’apprendimento, ma anche un fortissimo mezzo di rottura della finzione scenica, quasi a farci notare ancor di più come il contributo di ogni singolo personaggio bambino contribuisca alla costruzione della melodia di un film che si alterna tra il duo dei protagonisti e la coralità della surreale cittadina e del campo scout, ovvero i punti nevralgici dell’altrettanto fittizia (e leggendaria) isola di New Penzance.
Il gioco raffinatissimo di miniature e riproduzioni attorno cui ruota tutta il discorso sulla cartografia, sui costumi di scena (la recita scolastica è una delle scene più impattanti della pellicola, aperta con quel già iconico “What kind of bird are you?” e chiusa con la spettacolare entrata in scena di Susy corvo) sulle tecniche di orientiring e sui vari edifici presenti (tra cui le folli sequenze all’interno di casa Bishop) arricchiscono la storia di tutti quei particolari che la rendono come una sorta di ritorno a casa continuo, dove quel piccolo particolare, quel piccolo dettaglio, creano subito un effetto di appartenenza, specie nel caso di un ulteriore visione (tradotto: quanto voglio il commentary di questo film, quanto!).

Data la mia (già nota e citata) insana passione per le copertine illustrate dei libri, non potevo esimermi dal parlare più approfonditamente dei sei libri che Susy legge a più riprese, dopo averli sostanzialmente rubati dalla biblioteca scolastica. Si tratta di sei titoli fittizi i cui estratti letti dalla protagonista sono stati scritti da Anderson stesso. Vi dico subito che , ci faranno dei libri e no, Anderson si è rifiutato di scriverli in prima persona.
Le sei splendide copertine che vediamo sono state realizzate da altrettanti illustratori; con gli scarti delle clip animate che dovevano inizialmente essere introdotte nel film durante la lettura e in seguito sono state scartate per una precisa scelta stilistica del regista, si è creato questo graziosissimo extra, che vi consiglio di recuperare, in quanto rende appieno l’essenza del film e costituisce un contenuto speciale per chi lo ha già visto:

Ovviamente nello stesso sono racchiuse ulteriori rimandi letterari. Personalmente mi ha fatto battere il cuore il fatto che “The Girl from Jupiter” sia scritto da Isaac Asimov Arthur C. Clarke. *O*

Sugli interpreti c’è poco da dire, come sempre azzeccatissimi, anche se un po’ di ricambio non sarebbe poi così disdicevole.
Bill Murray
depresso c’è, Edward Norton coi calzoncini c’è, Tilda Swinton fa quello che ci aspetteremmo da lei (ovvero la signora di ferro). Bruce Willis conferma ancora una volta che c’è qualcosa (c’è molto) da sfruttare nella sua personalità attoriale, ma il suo stereotipo è duro a morire.
Sui giovani protagonisti invece, bravi tutti e applausi: Jared Gilman riesce a convogliare alla perfezione l’idea di un adolescente timido ma dalla grande rettitudine interiore, risoluto più del mondo adulto che lo circonda (quando non manca del tutto di punti di riferimento nel suo passato). Le luci della ribalta però sono tutte per Kara Hayward, la cui intensa e volitiva presenza viene a tal punto sottolineata ed enfatizzata dal regista da rasentare l’involontaria estetica pedofilo-lolitesca. Non aiuta il fatto che l’estetica pura del film (quantomeno quella del personaggio stesso) la renda l’ombra adolescenziale di Lana del Rey.
Moonrise Kingdom bird scene

chissà chi sarà la protagonista del film.

Si tratta quindi di un film perfetto? No, è di certo una delle migliori creature di Anderson, ma è così andersoniana che non conosce mezze misure. Insomma, non è così democratica come poteva essere un dimenticatissimo ma delizioso Fantastic Mr.Fox, dove il tipo di storia e di realizzazione rendeva accettabili i vezzi del regista ad una fascia molto più vasta di pubblico (che comunque lo ha snobbato). Se da una parte il gusto culturale attuale fornisce ad Anderson un insperato seguito, dall’altra se vi infastidiscono tutte le tematiche occhialetto-con-la-montatura-nera-spessa-related, probabilmente non lo apprezzerete così come tutti i precedenti lavori dello stesso regista.

Moonrise Kingdom book jackets

Per me equivale a un’estasi mistica, sappiatelo.

Lo vado a vedere? A patto di non patire eccessivamente le bizze espressive del mondo andersoniano, sì, ne vale la pena.
Ci Shippo qualcuno? Con tutta questa marea di bimbetti e adulti in calzoncini, direi che non c’è nemmeno da porsi il il problema.
C’è il Fottuto Cervo Metaforico? Sìììì, anche se si tratta di poco più che una cerbiattina metaforica.