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adolescenti problematici, Amy Westcott, fantascienza, father issue, i film con gli alieni e le astronavi, Jaden Smith, M. Night Shyamalan, ma anche no, MA-TI-PREGO, Peter David, se ne sentiva il bisogno, Sophie Okonedo, voice over molesto, Will Smith, Zoë Isabella Kravitz
Non fraintendetemi, lungi da me lamentare di dovervi descrivere continuamente film di fantascienza (ma proprio con le astronavi, lo spazio e tutto il resto!) in questo anno 2013 così ricco sotto questo punto di vista. Certo che però ogni tanto sarebbe gradevole non stroncare veementemente ogni film di fantascienza che capiti a tiro. Un po’ meno, un po’ meglio, per favore.
D’altronde, già la premessa contiene due segnali d’allarme assordanti: M. Night Shyamalan che non ne imbrocca una da anni e il soggetto originale di Will Smith, che non mi pare contempi tra i suoi molteplici talenti la capacità di scrivere sceneggiature pregnanti.
E infatti.
Narra la leggenda (aka il press book) che l’idea per il film venne a Jaden Smith, il figliuolo di Will, mentre se ne stavano spapparanzati sul divano a vedere non so cosa. E lui disse “Babbo, babbo, quanto mi piacerebbe girare di nuovo con te dopo aver lavorato con Gabriele Muccino!”. Al babbo l’idea piacque e si stava già industriando a cercare qualche sceneggiatura, quando il figlio se ne uscì a dire “Dai, facciamo che io sono tuo figlio e siamo in una situazione difficile che sottolinea il nostro rapporto complicato!”. Questa l’esilissima trama del film, addizionato da un shot triplo di fantascienza per rendere esteticamente intrigante l’immortale e mai troppo vessata strada del father issue, il complesso del padre.
In realtà dallo spiegone introduttivo in voice over (di nuovo, per davvero) è evidente che qualcuno (per la precisione il vincitore del premio Eisner Peter David) si è accollato lo sbattito disumano di creare tutto un cosmo attorno all’esilissimo plot iniziale, che risulta anche l’aspetto di gran lunga più interessante del film. Per farla breve, l’umanità è dovuta fuggire dalla terra dopo averla distrutta (inserire classiche riprese di caseggiati, ciminiere e incendi), trasferendosi su Nova Prime. Gli alieni locali però non l’hanno presa benissimo e hanno allevato una sorta di animale caccia-uomini, l’Ursa, in grado di fiutare gli ormoni emessi quando si prova paura. Gli umani hanno risposto addestrando un gruppo scelto di persone, capaci di fronteggiare la paura, rimanendo perciò invisibili a questi mostri. Detto così suona veramente figo, lo è, peccato duri giusto i 10 minuti iniziali del film. La buona notizia è che è evidente che Warner Bros sperava di farci un franchise e perciò ha messo una marea di allusioni al fatto che c’è tutto un mondo da esplorare oltre al rapporto tra gli Smith, la cattiva è che il film si sta prendendo delle bastonate tali dalla critica che è estremamente probabile che l’unica cosa che vedremo mai di Nova Prime sono proprio i primi 10 minuti di After Earth.
Stavolta insomma è difficile dare la colpa al sempre vessatissimo M. Night Shyamalan, l’uomo che con la debacle di “The Last Airbender” fa sembrare “John Carter” quasi un successo. D’altronde lui è stato tirato dentro da Will Smith approfittando di una telefonata casuale, il che la dice lunga sulla recente carriera del regista e del potere di cui gode la setta degli Smith in campo cinematografico.
Lui ci mette del suo, stretto tra l’esigenza di promuovere la nuova telecamera digitale Sony F65 4K e dirigere un film che sembra una versione survival di un videogioco platform qualsiasi, con pochissimo materiale di tipo horror/tensione in cui è più versato.
Fa davvero stringere il cuore vedere come i vari reparti tecnici, tra costumi, scenografie e luci si industrino a immaginare un futuro lontano ma legato alla natura, figlio della volontà degli umani di non ripetere gli errori del passato, optando per un approccio organico/bio/naturale nell’architettura, nel vestiario, negli stili di vita. Questi dettagli sono la vera forza del film, dove i soldi investiti sono ampiamente ripagati. Purtroppo non si può dire la stessa cosa degli effetti speciali, che alternano cose passabili a CG veramente pessima (i babbuini giganti o peggio che peggio, l’aquila megagalattica).
Tornando a Will e Jaden, Jaden e Will, i cui ego ipertrofici si espandono fino a riempire ogni spazio disponibile della pellicola, schiacciando moglie e sorella a ruoli insultanti per il genere femminile tutto. Il film di fatto è dominato dalla loro presenza e dalle loro interpretazioni (il padre leggenda autoritario che fatica ad esprimere i suoi sentimenti e il figlio che desidera disperatamente la sua approvazione), tutt’altro che all’altezza per reggere la baracca.
Se proprio volessimo infierire, parliamo della frattura tra padre e figlio, della risibilità della sua causa. Un Ursa entra in casa Smith, la sorella maggiore nasconde il fratellino poco più che bimbo, prima di venire uccisa dalla bestia. Il padre rimprovera al figlio traumatizzato dalla brutale morte della sorella di non essere uscito fuori a farsi ammazzare pure lui, per provare che c’ha le palle, pur non avendo alcun tipo di allenamento o istruzione per affrontare la bestia ed essendo poco più di un marmocchio. Vergognose poi moglie e figlia, sempre al loro posto, sempre “sei tu il capo famiglia”, sempre frivole e le sciocchine mentre gli uomini c’hanno i drammi e la profondità. Che schifo.
Lo vado a vedere? No. L’idea di base è talmente retrodatata che fa tantissimo fantascienza dei ’50-’60, quella tutta esplorazioni spaziali e americani d’un pezzo e zero caratterizzazione psicologica. Tra una settimana esce Star Trek, potete farcela.
Ci shippo qualcuno? Per niente, ci sono solo padre e figlio ed è tutto così noioso!
Coefficiente salto sulla sedia? Pochissimo, a Shyamalan hanno dato giusto il contentino della forte metafora ecologista.