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Stavolta mi ritrovo davvero a soppesare le parole, scegliendole con cura, perché dare un giudizio complessivo su Man of Steel è pressoché impossibile.
Troppe le discriminanti da tenere in considerazione per tentare di prevedere a chi piacerà, mentre risulta molto più facile intuire chi scontenterà. Saranno in parecchi, perché ancora una volta va riconosciuto a Warner Bros di essere riuscita a coniugare i propri interessi nel rilancio di un franchise volto a sostituire parzialmente il Cavaliere Oscuro con l’ambizione di rischiare un budget decisamente consistente (225 milioni di dollari accertati, ma vedendo la pellicola sembrano decisamente di più) osando, tentando di tirare fuori un cinecomics maturo e qualitativamente alto.
La scelta chiave e la discriminante del gradimento è ancora una volta incarnata da Zack Snyder, dal suo stile personalissimo e graffiante, che imprime un carattere deciso al film, rendendolo però meno universale della trilogia di Batman che ricorre ovunque, dai nomi in produzione alla sceneggiatura.
Quello che personalmente mi fa promuovere per una calorosa promozione ma che forse lascerà molti disorientati (e per molti intendo il pubblico generalista col boccato Marvel) è che questo Superman è forse il primo, vero erede del mondo di carta e vignette che ne ha generati i protagonisti.
La recensione contiene [SPOILER].
“L’uomo d’Acciaio” mi ha nell’ordine: vagamente interessato, annoiato, stupito, esaltato. Difficile però darne una votazione complessiva, perché il film si presenta parecchio squilibrato tra la prima e la seconda parte.
Paradossalmente, chi era stato coinvolto per garantire la riuscita del film, di fatto è il responsabile principale delle sue debolezze: David S. Goyer e Christopher Nolan, entrambi ideatori del soggetto (basato abbastanza liberamente sulla mini-serie degli anni ’80 di John Byrne), il primo sceneggiatore e il secondo produttore del film. L’intento è ovviamente il tentativo di “nolanizzare” questa pellicola ben oltre la notevole influenza che il Cavaliere Oscuro esercita sulla cinematografia contemporanea, con esiti più o meno felici.
L’operazione non è poi così riuscita come certa stampa vorrebbe far credere. L’errore sta nel credere che un approccio più profondo, più dark, risieda nella sceneggiatura e non nella saga stessa di Superman, percorsa da vene artistiche che l’hanno malleato fino a fargli raggiungere tutti i gradi narrativi, dalla commedia a toni molto drammatici. Il Superman cartaceo non è (sempre) stato il finto imbranato che tra una battuta e l’altra salva il mondo da villains dalla spiccata ironia; quella che viene fraintesa come la “nolanizzazione” della pellicola (che poi, casomai, sarebbe la Goyerizzazione, dato che non solo in questo caso è il responsabile della stesura completa dello script) in realtà è il tentativo di portare su schermo le maggiori vette qualitative del comics americano, quelle che sconfinano nella graphic novel. Tentativo che, guarda caso, proprio Snyder aveva intrapreso con Watchmen.
Questo approccio non determina però la fedeltà alla fonte come nel caso sopracitato, anzi, uno dei pregi della sceneggiatura è quello di sviluppare la storia dell’eroe su un’impianto logico-scientifico che giustamente ha portato molti a parlare di un film fantascientifico. Si parla di bene e male, ma le sue radici non stanno in una S gialla e rossa, bensì nell’eugenetica, nel massiccio sfruttamento delle risorse energetiche di un pianeta, di scienza organica, di invasioni aliene realistiche e perciò autenticamente angoscianti, di linguistica (la creazione del Codice e dei rudimenti dell’alfabeto kryptoniano affidati alla linguista Christine Schreyer) fino al terraforming (anche se, che incoerenza, Zod dovrebbe parlare di kryptonforming, checcavolo!). Se siete dei fan della fantascienza letteraria, a terraforming avete esultato, lo so.
Su questo sottostrato logico e coerente, Goyer crea un nucleo tematico, quello dell’enorme valore e del potere rivoluzionario delle scelte. L’antitesi non si crea tra buoni e cattivi, ma tra chi può scegliere, chi lo costringe a farlo, chi non ha potuto e tutte le conseguenze dello scontrarsi delle scelte di questi individui. Il generale Zod in questo contesto si rivela uno dei migliori villain mai visti in un cinecomics. Come spiega Goyer “nessun cattivo pensa a se stesso come un cattivo, anzi, è l’eroe della sua storia”. Zod è geneticamente creato per difendere Krypton e la distruzione dello stesso lo lascia senza un vero destino da assolvere, così come è la sua stessa genetica ad alienarlo dal ragionamento morale che invece interessa Kal-el. Per Zod, per Faora, per i cattivi del film avere remore di fronte a un vero e proprio genocidio sarebbe tradire la propria missione di vita, sarebbe essere “cattivi”.
Similarmente, la creazione dell’Uomo d’Acciaio passa attraverso la descrizione delle scelte che ha compiuto, del contesto in cui sono maturate. Lo script decide di alleggerire il film tentando l’approccio comics, disseminando qua e là i ricordi e le esperienze di Clark bambino e giovane uomo, seguite poi dalle decisioni del guerriero, come a spiegarcene l’antecedente. Di fondo quasi tutto il film è un lento costruire le motivazioni e l’antefatto della fondamentale scelta di Kal-el, figlia dell’educazione dei suoi due padri Jor-El e Jonathan Kent: proteggere il genere umano, tradire le rimanenze della civiltà krytoniana, corrotta e uccisa dall’ignavia e la mancanza decisionale dei suoi capi, dal rinchiudersi in un recinto di regole la cui trasgressione equivale all’alto tradimento. Una lenta morte decisionale che porta Krypton alla morte fisica e Kal-el a diventare simbolo della speranza di una futura rinascita. Impossibile non sentire una profonda eco di rimostranza verso la situazione politica attuale, così come nello stesso Zod si intravedono le sfumature di un mondo militare così abituato al comando e all’obbedienza da non sembrare “progettato per agire” senza porsi domande. Il riferimento più esplicito? Il generale David Petraeus.
Siete già conquistati vero? Sarà il caso di raffreddare gli animi. Il punto debole che il film eredita dalla sceneggiatura non è un Clark Kent emarginato e lontano anni luce dagli stilemi del canone classico (tra questo e lo scontro finale con Zod, i puristi saranno accecati dall’odio) e nemmeno un certo approccio furbo che approda allo scenario classico della Metropolis che conosciamo smollando tutte le grane al sequel (a cui Warner Bros ha già dato l’ok). No, la grana principale è che la sceneggiatura è troppo corposa, troppo ricca di significati (vi ho saltato tutto il rapporto paterno, la similitudine tra la follia di Zod e Kal-el, quello materno, la modernizzazione di Lois Lane, l’ambivalenza alieno e Dio in Kent e tanto, tanto altro) troppo incapace di scegliere cosa scartare, troppo precipitosa di fare bene: troppo. Con così tanto materiale da illustrare e far digerire allo spettatore prima che si menino un po’ le mani, senza contare il tempo necessario a un minimo di spiegone su Krypton e Kal-el, la narrazione è terribilmente appesantita. Il film è lento, molto lento, incommensurabilmente lento per ben oltre il primo tempo. Quando si arriva alla risoluzione, dà spettacolo, ma ci vuole veramente tanto prima di arrivarci.
Altro problema: il significato è così profondo e curato che si mangia il significante. A parte Clark, le sue due famiglie e i kryptoniani, i comprimari scompaiono (ah guarda c’è Lawrence Fishburne, dice ben 30 parole! Christopher Meloni ha un personaggio fighissimo, ma vedi di morire che non abbiamo tempo per chi non sia protagonista!) e sorte simile tocca ai dialoghi, annacquati, poco mordenti, decisamente dimenticabili. Il messaggio rimane, ma i personaggi no; sono freddi, è difficile affezionarsi a qualcuno al Daily Planet.
Chi invece fa il suo lavoro ad altissimo livello, chi salva il film dall’oblio della noia è un Zack Snyder sempre graffiante, ma sorprendetemente sobrio, pacato, maturo. Non mancherà di irritare i suoi detrattori, ma non riconoscergli qui qualche merito significa prenderla veramente sul personale.
Gran parte dei meriti del film ricadono su Snyder, lo Snyder migliore, quello asservito alla causa, che mette da parte le esagerazioni, i rallenti, le sboronate che comunque hanno influenzato sostanzialmente il cinema contemporaneo. Si dedica completamente alla storia, esaltandola il più possibile. Zero rallenti, innanzitutto, anche se segnalo che tutte le lucette azzurre (lens flare) che Abrams aveva evitato in Into Darkness sono qui.
Il girato è magnificente, personalissimo ma senza essere invadente. Molta camera a spalla, la scelta di essere più liberi girando in 2D per poi affidarsi alla riconversione (motivo per cui ho scelto la proiezione stampa 2D, oltre al fatto che sono fermamente convinta che la stratificazione del 3D riduca la percezione dell’insieme dell’immagine e dei dettagli). Pacato, ma quando necessario visionario, sicuramente l’aspetto più memorabile del film. Snyder non solo ricrea il movimento, il volo, il fluttuare di Superman con tanto di pose da cristo crocifisso riproducendo fedelmente la postura, i vezzi e i movimenti del cartaceo. Si spinge oltre, inserendo tutta una serie di dettagli dall’infanzia di Clark (la farfalla, il bucato, il giocattolo rovesciato) che potrebbero essere piccoli riquadri descrittivi privi di dialogo, tipici del linguaggio dei fumetti. La dimensione divina e aliena di Superman ci viene veicolata tanto dalla storia quanto dalla costruzione di inquadrature, del suo primo emozionante volo, dei combattimenti finali. Chi parla di film “realistico” a mio parere sbaglia, perché se c’è una cosa che Snyder fa è spingere l’acceleratore sulla dimensione visiva e visionaria del mondo cartaceo, per esempio restituendoci magnificamente la visionarietà del sogno tra sole e teschi di Kal-el, una scelta che ti si imprime a fuoco nella mente. Che Superman non sia umano e succedano cose che nel mondo reale non sono possibili, “cose da fumetto” è palese in ogni momento, fin dalla spiegazione “a sfondo malleabile” del fantasma di Jor-el. Non è un Batman versione vigilante, snaturato dalla sua fonte, è un personaggio dei fumetti trasposto con la sua dignità su schermo cinematografico. Chi bazzica il mondo dei fumetti non potrà che sentirsi a casa, il resto del pubblico invece potrebbe non gradire. In questo Snyder ha un approccio ben più corraggioso di Nolan e Abrams: non è un rendere fruibile a tutti un prodotto specifico, è trasporto nella sua dignità, al massimo della qualità possibile, senza compromessi, in modo che *anche* i neofiti possano apprezzare.
Per non parlare delle scene d’azione; per grandezza e magniloquenza stanno su un livello difficilmente raggiunto in passato, proporzionalmente distruttive come poche altre. Per girato sono chiarissime e avvincenti…come hanno potuto scomodare Michael Bay? Sono concitate ma chiare, facili da seguire. Il genere di scena d’azione su cui anche Nolan dovrebbe fare un ripassino. A stupire però è la durata e la portata della distruzione operata dallo scontro tra Kryptoniani e Kal-el, ancora una volta teso a definire le loro condizioni sovraumane. La distruzione di New York negli Avengers aveva durata simile, ma non è paragonabile per devastazione e per approccio. Qui è percepibile l’angoscia della rovina, l’autentico terrore della gente. Non si stanno a fare battute perché tanto si sa, il cattivo perderà. Qui si muore, si collassa, ci si gira alle devastanti esplosioni (quindi Superman non è un cool guy!), ci si appoggia su edifici e si lanciano automobili con la semplicità con cui un uomo si appoggia alle macerie e lancia sassi. Per quanto ve lo descriva, non renderà la portata dello scontro finale…tanto che la sua risoluzione risulta un pugno nell’occhio, una battuta d’arresto innaturale nella grandezza della distruzione di Smallville e Metropolis. Per dire: la distruzione è così mastodontica che ci si è dovuti appoggiare all’esercito americano per comparse, mezzi aerei e di terra, creazione delle scene in post produzione.

QUESTA SCENA! Oh Zack, che scena, che scenaaa!
Chiudiamo il comparto tecnico con un accenno a due figure molto chiacchierate. Personalmente, una volta abituato l’occhio, il costume di Superman ideato da James Acheson e Michael Wilkinson l’ho trovato perfetto e non solo per come fascia la figura di un Henry Cavill che dargli dello statuario è offenderlo. L’inserimento in una sorta di filone kryptoniano di tute protettive (esibite da tutto il cast sotto le armature) ne giustifica l’aspetto, mentre i colori iconici sono tutti presenti, ma più smorzati rispetto al passato, meno pacchiani. Anche la texture rende plausibile questa “tuta da combattimento” mentre tutto il lirismo e l’eredità del mito si concentrano sullo svolazzare del mantello. I colori cardine blu-rosso-giallo sono vivi, così come Kal-el è “più vivo” rispetto al resto dei kryptoniani, che indossano costumi identici ma relegati alle tinte più cupe, blu e nero, di un popolo ormai in declino.
La colonna sonora di Hans Zimmer è perfetta, epica un momento e trattenuta e intima il successivo. Forse è meno ground breaking (dirompente non mi sembrava abbastanza, e rivoluzionaria mi sembrava eccessivo) rispetto al passato, ma è comunque notevole.
Pensavo di non uscire più dal tunnel delle considerazioni cervellotiche, invece eccoci qui a parlare di Henry Cavill, l’inglese mascellone che per la causa si è distrutto di allenamenti (tanto da arrivare a sollevare il doppio del suo peso corporeo. Il prezzo? Non riuscire a camminare dopo gli allenamenti tanto era atroce il dolore) e, dicono, abbia sfoderato un autentico accento da profondo cuore dell’America. Cavill è perfetto e non solo per mere rassomiglianze fisiche (comunque sì, è un figo pazzesco qui!) ma anche per la naturalezza con cui effettua il salto da emarginato vagabondo che vive ai margini della società americana con lavoretti di fortuna, quasi spaventato dal prendere una decisione (impossibile non associargli Logan all’inizio di Xmen) a Dio, membro di una specie superiore. Mette il costume ed ecco apparire l’aurea d’impertubabile superiorità, la moralità solida, quello sguardo di chi sa distaccarsi dalle cose umane. Non mancano incursioni nel dramma e nelle emozioni tipicamente umane, ma Cavill non difetta nemmeno in quelle. Persino, è credibile come figlio dei valori e dei mestieri “da uomo” del Kansas e dell’America vecchio stile, retaggio che forse giustifica un petto finalmente villoso. I Kent hanno solidi principi morali, non sono fighette della costa che passano il tempo a radersi gli (impressionanti) addominali!
Michael Shannon però rimane il migliore del cast, graziato dall’unico vero personaggio a tutto tondo assieme a Cavill. Gli altri si destreggiano, ma rimangono più nel canone e impressionano meno, lasciando comunque tutti un’ottima impressione. Forse non è un cast sfruttatissimo, ma è decisamente un cast di livello. Russel Crowe, Diane Lane, Amy Adams (la cui Lois Lane rifugge dall’irritante baraonda emotiva e ironia fin troppo esasperata del personaggio, evviva!), Anne Kuljian: tutti molto bravi ma poco sfruttati. Discorso a parte meritano Christopher Meloni, esaltato dallo scontro con Antje Traue. La sua Faora, evidente controparte di Cavill per il pubblico maschile, non è solo sensuale pur essendo la versione futuribile dell’oscuro signore, è ammaliante nella sua dimensione aemozionale verso il genere umano ma totalizzante nella fedeltà a Zod. Parla pochissimo, ma rimane moltissimo impressa.
Lo vado a vedere? Grosse controindicazioni sono una repulsione verso lo stile di Snyder, verso i cinecomics e verso i toni molto drammatici. Altrimenti direi di farci un salto. Grossomodo siamo sul livello di “Into Darkness”: dove uno toppa completamente il finale, l’altro manca completamente di un inizio decente. La coniugazione del meglio dei due film è il capolavoro scientifico che si chiede a gran voce. “Man of Steel” ha meno ritmo, ma più contenuto. Lasciano invece identiche perplessità (per non dire gatte da pelare) ai loro successori.
Ci shippo qualcuno? Ero qui ad aspettare. Sì, il chi però dipende dai vostri gusti. L’ipotesi più ovvia sarebbe Zod x Kal-el, ma io trovo che sia infinitamente più intrigante l’opzione con Jor-el, in quanto è evidente come i due personaggi siano identici nuclei d’emozione sparati ai due vertici opposti della società kryptoniana, uno su quello scientifico, l’altro sul militare. Senza dimenticare il ricordino che il loro confronto lascia sul volto di Zod, l’autentica stima reciproca intaccata dalla diversa visione sul futuro del pianeta. Se poi siete veramente smaliziati, non vi sfuggiranno le implicazioni dell’ombra di Jor-El manipolabile via mainframe da Zod. Lo so, sono tremenda.
Ma non è finita! Non ci vuole molta immaginazione a suggerire un Lois Lane x Faora, dato l’astio con cui la seconda tratta la prima, salvo poi tentare sempre di ucciderla. E il tentato omicidio multiplo è sempre indizio di un’ottima intesa sessuale, almeno nel mondo delle fanfiction. Che poi non serve nemmeno tutta questa immaginazione, lo pensa anche Clark.

Henry Cavill è così oltre che mi sento di shipparlo solo con mantello e il costumino
E gli easter eggs? Ce ne sono a pioggia, senza però arrivare ai livelli della Bad Robot:
- Molti i riferimenti al Cavaliere Oscuro (che per i DC fan non possono che portare immediatamente a chiedere a gran voce la Justice League): sul satellite si vede il logo delle industrie Wayne, il poliziotto parla di un “uomo che volava nel cielo come un pipistrello”. E, per veri fattoni, a un certo punto si legge sull’asfalto “Booster Gold”. Justice League everywhere!
- Indizi sull’arrivo di nuovi villain? Ci sono! Si vede il casinò che dovrebbe rimandare a Tony Gallo e quindi all’apparizione della qui assente kryptonite, così come si vedono in più riprese loghi della LexLuthor Corp (impossibile non notare quello sul camion-cisterna che poi esplode)
Personalmente il film l’ho adorato. E lo considero tranquillamente il miglior cinecomic di quest’anno. Bellissima recensione, scritta divinamente 😀