Tag

, , , , ,

Sto diventando un vero e proprio cecchino di profeti in patria, almeno in campo letterario. Cosa c’è che non va, perché non riesco entrare in risonanza con chi condivide il mio stesso orizzonte fisico?
Stavolta mi sono rivolta alla produzione fumettara nostrana, fidandomi del buon gusto rinomato della Coconino Press.
A dar retta alla breve sinossi proposta dal volume, il tema cardine di questa struggente storia acquerellata sarebbe la “precarietà degli affetti”, un’instabilità sentimentale che i giovani italiani vivrebbero in patria e all’estero, da affiancarsi a quella economica e lavorativa.
Sotto sotto però l’approccio italico rimane quello di abbozzare, rimandare, troncare e riannodare le fila della propria vita, in una costante malinconia che sembra più auto-indotta, così come la cappa d’angoscia per la mancanza di vie di fuga.
Lontanissimi dalla vibrante vitalità francese, energica anche nella disperazione, o dalla dedizione tutta anglosassone di rovinarsi la vita sì, ma in maniera assolutamente irreversibile.

I personaggi e le produzioni italiani invece nicchiano e io non riesco a non essere scettica. Anche come quando, in questo caso, sono avvolti da una confezione così poetica ed evocativa.

Le storie di Piero, Lucia e Nicola, tre ragazzi di provincia italiana che si allontanano e riavvicinano per tutta l’età adulta, sono infatti ritratte attraverso gli acquerelli di Manuele Fior. Questa tecnica permette di evocare, più che mostrare, le svolte della storia, che in effetti è costituita da una decina di brevi parentesi dominate da una distinto succedersi e alternarsi di palette cromatica. Nel loro rincorrersi e rifiutarsi, Piero e Lucia diventano parte dei caldi marroni-gialli dell’Egitto o dei freddi e malinconici violacei-blu del nord Europa. Se la palette cromatica è efficace (anche se un po’ ruffiana, via), così non si può dire del disegno e dell’organizzazione delle tavole. A fianco di bozzetti di sorprendente quotidianità delle forme ingigantite dalla gravidanza di Lucia troviamo fisionomie, anatomie e architetture genuinamente sbagliate.
Vero è che spesso è proprio l’effrazione volontaria del bel disegno a produrre una risposta emotiva, una simbolo grafico pregno di una forza che il canone non ha, ma in certi punti le linee sono così semplicemente, puramente sbagliate da essere tutt’altro che empatiche, trasmettendo solo una vaga sensazione di fastidio.
Sul fronte narrativo poi, non è che Cinquemila Chilometri al Secondo sia brutto o mal fatto, anzi, riesco facilmente ad immaginare la fetta di pubblico che potrebbe adorarlo.
Basta dare un’occhiata in giro per notare che non sono in pochi neanche quelli che, come me, sono rimasti freddini di fronte a una storia che si avviluppa su se stessa, senza mai arrivare veramente al dunque. Le vite adulte di Lucia e Piero sono prive di punti di svolta, di decisioni nette e irreversibili così come l’opera che abitano. Il loro girovagare in punta di piedi per il mondo senza mai viverlo davvero, riservandosi sempre una comoda via di fuga nel caso l’insofferenza superi il livello di guardia è così annacquato da non avere neppure la forza di suscitare fastidio nel lettore per la loro immaturità. Poi la provincia italiana, le sabbie assolate e gli scorci urbani bagnati di pioggia son belli sì, ma per quelli esistono anche raccolte d’illustrazioni.

Lo leggo? Nel caso, come me, possiate reperirlo in biblioteca o in qualsiasi altra modalità (legale) che vi permetta di saggiarne il contenuto prima dell’acquisto, merita almeno di essere preso in considerazione. La quarantina di minuti necessaria a sfogliarlo non sarà per tutti sprecata, anzi. Magari voi non avete delle pietre al posto del cuore o non discriminate personaggi che soffrono di strabismo mordi e fuggi. In caso contrario però andateci con i piedi di piombo, dato il non proprio irrisorio prezzo di copertina di 17 euro.
Ci shippo qualcuno? Materiale non manca, però a mancare è proprio l’entusiasmo.

Cinquemila Chilometri al Secondo di Manuel Fior, Coconino Press, 144 pp., 17 euro, 2013.