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adolescenti problematici, Cannes, Cannes 2007, Costumismi, delicate palette cromatiche, Eddie Redmayne, fangirlism, Hella Joff, Hugh Dancy, Julianne Moore, la forza salvifica dell'Ammmore, Mads Mikkelsen, omoaffettività, Ship Sheep, Stephen Dillane, Tom Kalin, Tumblr, Una lei tra di noi, vestirsi al buio
Tempo d’estate, tempo di recuperi, che siano filmici, telefilmici, letterari, fumettosi o videoludici. Durante l’anno si accumulano consigli e segnalazioni e solo la concomitanza del Nulla Assoluto su grande e piccolo schermo che si scatena con l’arrivo delle zanzare ci dona il tempo necessario a rimetterci in pari.
Poi però ci sono i casi disperati come la sottoscritta, cronicamente sommersa da liste intitolate “da recuperare”, che proprio in questo periodo si fa venir voglia di provare qualcosa a scatola chiusa, o quasi.
Data la capillare informazione cine-televisiva a cui mi attengo, è davvero difficile che qualcosa di così famoso sfugga del tutto al mio radar, ma d’altronde il mondo è così grande e selvaggio! Se siete assaliti dall’impulso avventuroso di provare un film senza saperne nulla a riguardo, esistono varie vie per scovare qualche titolo.
Uno dei metodi più recenti e dall’effetto più violento, è affidarsi alle gif su Tumblr e sfruttare le frange più hardcore di qualche fandom. Esempio: fu dalla gif di (cito) “Iron Man che va a letto con Spider Man” che arrivai a Wonderboys. Cioè, dopo aver capito che era un film vero e non un fotomontaggio ben fatto.
Siccome là fuori è pieno di gente disposta a spararsi intere filmografie dei nuovi idoli alla ricerca di materiale compromettente per poi farci le gif bromance, diventa abbastanza semplice trovare film sconosciuti da provare.
In questo caso è bastato scrollare per qualche minuto la tag #Hannigram, cercare gif di improbabili AU, dirottarsi su IMDb (ma senza leggere la trama, imbroglioni!) e scegliere un film con Mads Mikkelsen e uno con Hugh Dancy, accumunati da…beh, dovreste averlo già capito. Il risultato è il post a seguire e una ridotta nostalgia verso l’ormai concluso Hannibal, mitigata dalle pellicole più che sui generis in cui i protagonisti sono riusciti a cacciarsi nel passato recente.
Savage Grace di Tom Kalin
Quando un film viene incluso nella Quinzain des Réalisateurs a Cannes, potete farci soldi che vi attende un film PESO. Tuttavia non è raro che da questa selezione di autori misconosciuti saltino fuori i grandi del futuro: un sacco di gente è partita da qui. Tom Kalin invece qui si è fermato, forse azzoppato da un film che ha veramente poco di memorabile. Quel poco di memorabile per giunta è sul lato più perverso e giffabile, con un baciarsi spinto a tre tra Julianne Moore, Hugh Dancy e Eddie Redmayne e in seguito una scena parecchio intima tra i futuri William Graham e Marius. O almeno, Tumblr la vende così.
Il film, che gode di colori e luce assolutamente incredibili donate dalla realizzazione in Spagna, ripercorre una versione romanzata della vita di Barbara Daly (interpretata dalla Moore) ragazza povera a cui riesce l’arrampicata sociale grazie al matrimonio con l’erede dell’impero fondato sull’invenzione della bachelite Brooks Baekeland, qui interpretato da un irriconoscibile Stephen Dillane baffuto. O almeno, così l’hanno venduta, anche se la pellicola sembra più incentrata sul figlio di lei, Antony, che la uccise a seguito della schizofrenia di cui soffriva, aggravata dai tentativi materni di guarirlo dall’omosessualità. Insomma, una sorta di grande caso americano di cronaca, con tanto di corollario morbosetto tutt’attorno, poi passato su carta e infine su pellicola.
Il film segue la crescita del ragazzo, sospeso in un’ovattata agiatezza borghese percorsa dalle continue tensioni tra il padre, più volte suggerito come un omosessuale represso, e la madre, incapace di sfogare la sua frustrazione, specie dopo essere stata abbandonata per un’altra donna. In fatto di traumi freudiani i genitori di Antony non gli fanno mancare niente: il padre si sistema con la sua prima fidanzatina, la madre sviluppa con lui un rapporto morboso fino al consumarsi di un vero e proprio incesto. In tutto questo che ci fa Hugh Dancy col capello leccato? Beh, fa il raffinato sostenitore e confindente di Barbara, dichiaratamente omosessuale ma poi nemmeno troppo schifato da un ménage à trois con madre e figlio. Tempo d’apparizione netto: 15 minuti.
Per quanto il quarto d’ora sia in effetti memorabile, ciò non toglie che il film non funzioni, anche se non è così scontato trovare un colpevole. Fotografia, scenografia, costumi e realizzazione tecnica generale sono veramente gradevoli, con queste tonalità pastello illuminate dal sole spagnolo e la vita bucolica che via via si fa meno sognante e più cupa man mano che Antony cresce e diventa più instabile.
Se è vero che Eddie Redmayne non possiede la caratura interpretativa per restituire le sfumature tanto complesse di un personaggio simile, è vero che il suo aspetto inquieto, efebico e naturalmente etereo donano un fascino innegabile al suo Antony. Julianne Moore invece qua e là sembra costretta e poco naturale, specie quando le costrizioni materne su Antony arrivano al limite del sopportabile. Hugh Dancy raffinato dandy è una perla, così come Stephen Dillane nerboruto magnate della plastica. Sospirone languido.
Lo recupero? Difficile spiegare perché, tuttavia nonostante il ragguardevole cast e una storia sospinta da vagonate di morbosità, la narrazione risulta piatta, senza mordente, sciapa. Nel caso vogliate recuperarlo, occhio: le scene più morbose possono risultare parecchio disturbanti.
Una Lei tra di Noi di Hella Joof
Avendo svolto l’intera ricerca utilizzando il titolo originale del film (“En Kort en Larg”), la visione è stata l’equivalente di uno schiaffo. Mikkelsen l’ho sempre visto in questi film super dramma in cui o è un malvagio/psicolabile/disturbato forte o gli altri pensano che lui lo sia. Cominciare a vedere un film pensando di trovarci la versione omoerotica del cattivo tipo di Mads Mikkelsen e ritrovarsi a vedere la versione danese di un film di Ozpetek che poi sfocia nel Cinemozioni 5 più posticcio in salsa omosessuale è stato abbastanza traumatizzante. A posteriori però sono contenta, perché mi permette di parlarvi di un altro Cinemozioni5 pessimamente sublime.
Frenate gli entusiasmi, se pensate di aver rimediato la versione maschile di “Imagine Me & You” (di cui vi ho parlato QUI): Una Lei tra di Noi si merita il titolo che ha, perché è vicino all’abominio sotto innumerevoli punti di vista.
Partiamo dal presupposto che un Ozpetek poco ispirato e prigioniero di un gran cast posto su vari livelli di omofilia in genere ci si augura che non valichi i confini nazionali, quindi vedere che certi scivoloni li fanno anche gli inappuntabili danesi mi fa provare una sensazione a metà strada tra il rassicurante e il deprimente. La trama del fllm è presto detta: Mads Mikkelsen è un architetto realizzato e dichiaratamente omosessuale, con tanto di camicina viola con voillant a ribadirlo. La sera in cui chiede al suo compagno di sposarlo, il nostro si prende una clamorosa sbandata per la cognata. Da qui parte una relazione clandestina che porta il tenerissimo compagno di Mads a perdere un occhio (e a esibire bende in stile pirata per il resto del film), Mads a mettere incinta la donna e poi volerla sposare per soddisfare il suo desiderio di paternità. Già questa breve descrizione mette in luce la scarsa plausibilità di un film la cui fruibilità è ancor più aggravata da aggiunte di umorismo danese completamente lost in translation.
E questa è la parte seria della pellicola, che negli ultimi dieci minuti vira minacciosamente nel cinemozioni 5 con una serie di svolte narrative assolutamente improponibili, tra cui voglio citare: aerei che cambiano rotta per amore, Mads che cavalca una puledra fino all’aeroporto, sposa incinta che non se la prende per essere stata mollata all’altare e che lo incita con un “in qualche modo risolveremo”. L’ho già detto Mads principe azzurro a cavallo?
Se la trama suscita perplessità anche nel più accomodante degli spettatori, quello che ha messo seriamente alla prova la mia sopportazione sono state le evanescenze lilla anziché nere. Ebbene sì, quando tra una sequenza e l’altra c’è un grosso stacco, lo schermo non va sfumando in nero per passare alla scena successiva, nossignore, appare dal nulla questa immagine di transizione monocolore, stile Pantone, dello stesso violetto acceso della camicina di Mads (qui sopra una rara immagine della stessa).
Se già sentite il bisogno di cavarvi gli occhi dalle orbite, fate un regalo a voi stessi e fatelo *prima* di vedere il tremendo guardaroba del cast, di gran lunga il versante più agghiacciante del film. Non credo di aver mai visto un cast così malvestito. Ok che i nordici hanno carenze nel senso del vestire armonico, ok l’esagerazione topica del mondo omosessuale, ma se ripenso a certi gilerini pelosi arcobalenati, a certe sciarpe di topo morto, a certi accostamenti fucsia e pitonato, sento ancora la tachicardia. Raramente ho visto così tanta gente vestita così tanto male (ma nemmeno con il gusto di esser vestiti da cani, proprio male e basta!) in un solo film. TREMENDO. AGGHIACCIANTE.
Ci cinemozioniamo? Qui siamo a un livello biechissimo, proprio da farlo in anonima con un sacchetto di carta in testa. Il selling point è indubbiamente un Mads Mikkelsen protagonista che fa faccine coccolose per tutto il film, fino a trasformarsi nel principe azzurro che corre a rinconquistare la sua fiamma cavalcando nel traffico cittadino. Certo, Mikkelsen così indiscutibilmente sano di mente (a parte l’essere un po’ stronzo) può risultare un po’ destabilizzante, in effetti.
Scene memorabili? Mads a cavallo, l’aereo che torna all’aeroporto di partenza per coronare il suo sogno d’amore. Mads che fa il tenero imbranato. In negativo, quasi ogni capo d’abbigliamento indossato dal cast.