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Brit Marling, fantascienza, fatto con du lire, film col dramma dentro, film PESO, il film SciFi rivelazione dell'anno XXXX, Mike Cahill, piangerone, tristezza a palate, William Mapother
Questo film del 2011 non è certo una novità, anzi, attendeva da tempo che trovassi il tempo e lo stimolo per dargli un’occhiata. Un pieno recupero insomma, giustificato dal numero di segnalazioni che lo riguardavano. Forse non il post più impellente, ma spero necessario affinché qualcuno possa essere ispirato dallo stesso a provare la visione di questo piccolo gioiello, ricambiando indirettamente il favore fattomi dai sussurri e le voci della Rete.
“Another Earth” rientra a pieno titolo in quel gruppo di film fantascientifici dell’ultimo decennio ormai diventati cult del genere, in cui la forza della storia e del messaggio riesce a supplire alla pochezza del budget e alla pochezza di fantascienza visibile, dato appunto il costo proibitivo del suo allestimento.
Pur essendo un film dichiaratamente fantascientifico, Another Earth lo è più a livello mentale e strutturale che fisico, dato che l’elemento futuristico sta letteralmente sullo sfondo. Nel suo incipit un nuovo pianeta appare nel cielo e, mentre si dipana la dolorosa storia dei due protagonisti, questa scoperta e le sue ripercussioni continuano a fare capolino dalle tv in sottofondo, dalle chiacchiere dei comprimari in scena, dalle reazioni della gente per strada.
Svelarvi qualcosa in più su quanto avvenga sul fronte fantascientifico sarebbe un delitto, ma darvi un’idea chiara della storia in primo piano lo sarebbe ancor di più, quindi perdonate l’estrema vaghezza con cui ne parlerò. Pur essendo appena tratteggiata, la quota fantascientifica è la cifra stilistica del film, in quanto viene sfruttato a livello di scrittura questo realistico salto nel futuribile per indagare meglio e più in profondità non lo spazio lontano, ma quanto di più presente e vicino ci sia, l’umanità.
Come una certa fantascienza letteraria americana usa il futuro per esprimere il disagio verso il presente imperialista e capitalista della sua nazione, così qui lo si sfrutta per indagare il disagio interiore, in cui i sentimenti di dolore e lutto la fanno da padrone, seppur con sfumature diametralmente opposte.
Per Rhoda Williams il film illustra il difficile cammino dalla colpa all’espiazione dopo un evento capace di distruggere tutte le sue certezze di 17enne dal roseo futuro, mentre per John Burroughs segna l’accettazione della perdita (ma si può parlare di vera accettazione dato il finale? Borroughs supera la perdita o trova un modo per illudersi ancor di più?) e di elaborazione del lutto.
Come forse avrete intuito, non è certo il film più rilassante e spensierato del mondo, anzi, risulta abbastanza PESO. Tuttavia, a differenza di tanta fantascienza che nel pessimismo trova il suo sbocco finale come consuetudine e riflesso condizionato, la pellicola sceglie una chiusura complessa e credibile, per certi versi positiva per entrambi i suoi protagonisti. L’elemento più sorprendente è però la complessità data a questo viaggio di andata e ritorno nel dolore umano, la levità con cui rimane lontanissimo dal patetismo e dalla spettacolarizzazione dello stesso. Il punto forte del film è l’impressionante capacità della sua sceneggiatura di comprimere in poco più di un’ora e mezzo un caleidoscopico spettro emozionale e una marea di spunti di riflessione tutto fuorché banali. Il tutto coadiuvato dalla regia scarna, essenziale ma curatissima di Mike Cahill, che sfrutta a pieno un setting inconsueto per questo tipo di storie (il nevoso e poco glamour Connecticut) per regalare al suo lavoro una dimensione estetica davvero originale, con un paio di scene memorabili concentrate sul finale.
William Mapother è l’attore dal perfetto volto comune votato a una parte di cui ovvia agevolmente il patetismo che tante star avrebbero sprigionato, ma la vera sorpresa è Brit Marling, così talentuosa da essere difficilmente inscritta in un ruolo. Coautrice insieme a Cahill della sceneggiatura, produttrice ma soprattutto sorprendente attrice autodidatta. Il suo viso, oltre ad essere un biglietto da visita non da poco, veicola tutto il quieto strazio di una giovane donna a cui uno sbaglio ha tolto tutto il senso e quasi tutte le parole. Decisamente da tenere d’occhio.
Lo recupero? Direi di sì, a meno di non soffrire troppo le produzioni più indie. Se invece fantascienza, produzioni da due lire duecentomila dollari, sottili hipsterismi e minimalismo un po’ fighetto vi piacciono, decisamente da provare. Ha alcuni punti di contatto con “Melancholia”, non gli somiglia poi così tanto, se non appunto nell’evocare quel miscuglio di emozioni sommessamente strazianti.
Ci shippo qualcuno? No, perciò userò questo spazio per dirvi che fatica! Voi guardatevi il film e poi immaginatevi quanto è stata dura spiegarvi qualcosa parlando del nulla.
Il finale [SPOILER][mavvà] Ok, “Another Earth” sembra creato per suscitare più domande che fornire risposte, rimanendo volutamente vago sull’intera faccenda Terra2. E anche lì, si percepisce chiaramente un vorrei ma non posso finanziario. Il finale del film con l’arrivo dell’altra Rhoda (diciamo un Alt!Rhoda in nome dei vecchi tempi) è volutamente spiazzante e io mi sentivo nelle vene che sarebbe nata la teoria subliminale e contorta tra fattoni di realtà parallele. Infatti.
Secondo alcuni seguiamo il film su entrambe le terre, senza saperlo. Personalmente lo trovo un po’ forzato, dato il continuo innesto di gente che in sottofondo parla chiaramente di Terra2 (la chiameranno anche là così?) ma soprattutto perché la teoria specchio infranto di Rhoda si basa sulla speranza che i destini suoi e di Alt!Rhoda si siano spezzati proprio nel momento in cui ha causato la morte della famiglia di John. Per tutto il film seguiamo una Rhoda affranta, quindi anche Alt!Rhoda ha distrutto il suo avvenire? Non credo. Penso semplicemente che dopo la rottura, le linee temporali abbiano ripreso ad avvicinarsi e Alt!Rhoda (vestita proprio come una del MIT di successo che non investe la gente) sia arrivata sulla Terra con un volo parallelo a quello che Rhoda non ha preso come forma di espiazione. Figata.