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Annette Bening, Antonio Banderas, Deborah Ann Woll, Jonathan Dayton, la forza salvifica dell'Ammmore, Manic Pixie Dream Girl, Paul Dano, Valerie Faris, Zoe Kazan
Ho un problema con Zoe Kazan, artefice principale di questo film. Infatti, oltre che ad averne scritto la sceneggiatura e curato la produzione, ha deciso di calarsi nei panni della protagonista di questa storia romanticamente depressiva. Ovviamente provo stima per una giovane donna con un così sviluppato senso
del controllo artistico, però le sue esternazioni sul dibattito seguito al film hanno messo un po’ in crisi la mia interpretazione dello stesso.
Perché io sono uscita dal cinema fermamente convinta che la Kazan con uno stile molto allusivo alla letteratura americana contemporanea (non per niente, si parla di libri) avesse decostruito i più intimi bisogni e desideri di un giovane scrittore geniale ma socialmente disastroso, che si ritrova tra capo e collo una donna immaginaria che può plasmare come desidera. Invece no, se dici a Zoe Kazan che “Ruby Sparks” è un’efficace decostruzione e critica dello stereotipo della manic pixie dream girl, a quanto pare lei si offende.
Occhio, parte un excursus.
La succitata definizione applicabile alle protagoniste di un certo cinema americano fighetto è stata coniata dal critico Nathan Rabin ed effettivamente è difficile non vedere un certo schema prefissato dietro queste “ragazze dei sogni tutte strambe”, a spanne. Stando al suo creatore, questa definizione ricalcherebbe uno certo stereotipo cinematografico fatto di donzelle attraenti, femminili, un po’ strambe e soprattutto senza altra connotazione se non quella di salvare la controparte maschile del film dalla propria immaturità attraverso una relazione romantica con il loro modo di fare sopra le righe. Non sono personaggi a tutto tondo, sono una sorta di deux ex machina per la maturazione di protagonisti sempre complessati, introversi ma sensibilissimi e geniali. Quello che aggiungo io è che esiste anche una sorprendente iconografia legata a queste figure, tutta abitini svolazzanti, accessori vagamente indie, biciclette, trucco acqua e sapone, ballerine e mai un pantalone o un tacco stiletto. L’imperativo è essere adolescenziali e principesse.
Ruby Sparks rientra appieno in questo canone, con l’aggiunta che la sua funzione subordinata ai desideri del protagonista maschile è resa esplicitamente. Calvin è il classico giovane scrittore talentuoso con un grande esordio alle spalle, una patologica incapacità di relazionarsi al prossimo e una difficile storie d’amore che fatica a lasciarsi alle spalle. Che sia un hipster fighetto nel senso peggiore del termine vi viene urlato dai suoi occhialetti, dal suo fermo utilizzo della macchina da scrivere, dalla zazzera che gli copre il volto. Ruby è una sua creazione, un suo sogno messo su carta per tentare di superare il blocco del secondo libro, solo che alla fine la dolce creatura gli si materializza in casa, programmabile a piacimento tramite il manoscritto.
Ovviamente essendo lo stereotipo del giovane scrittore emotivo, Calvin non ne approfitta sul piano sessuale, quanto più cerca di creare una versione femminile di sé con cui sviluppare tutto il contatto umano che altre persone e parenti, avendo personalità distinte e dai tratti spesso a lui poco graditi, rendono più difficoltoso soddisfare.
Il film si articola in un lento crescendo che espone a poco a poco la grottesca pretesa di Calvin verso Ruby: pur non volendola influenzare, Calvin si sente smarrito e minacciato quando la ragazza è libera di essere se stessa, smarrito dal suo distacco dall’ideale da lui ricercato. Così nel finale il vero squallore nascosto dietro il desiderio dello scrittore viene drammaticamente esposto, svelandone l’aridità interiore, l’incapacità di accettare il libero arbitrio dell’altra. Forse avrei preferito che la pellicola omettesse l’ultimo minuto scarso, volto a essere rassicurante, ma capace di distruggere la potenza del messaggio lanciato.
Il punto è che per la Kazan è misogino usare un termine che espone la misoginia di certo cinema (?) e Ruby non è una raffinata decostruzione di un sogno erotico maschile che nasconde dietro una scarsa predisposizione all’accettazione dell’altra, ma qualcosa di diverso. Non voglio nemmeno indagare su cosa sia questo diverso, prima di scoprire che Ruby è l’ennesima bambolina al servizio di un giovane uomo che deve imparare a confrontarsi con la realtà. Preferisco concentrarmi sulle adorabili performance di Antonio Banderas e Annette Bening, coppietta new age alle prese con una rovente passione post divorzio di lei e sull’interpretazione misurata di Paul Dano, a cui tocca l’ingrato compito di diventare, scena dopo scena, sempre più meschino e patetico, pur soffrendo come un cane.
Lo recupero? Ruby Sparks è una romantica storia d’amore con una vena depressiva che si ingrossa sul finale. Sicuramente è un film gradevole, non sarà un piangerone ma potrebbe lasciarvi un retrogusto amaro nel post visione.
Ci shippo qualcuno? Esiste qualcosa di più ship block di una manic pixie dream girl?
Coefficiente cinemozioni5? Bassino, è troppo geek chic e intellettuale per rientrare nella categoria e per giunta non la butta mai in caciara.