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adolescenti problematici, Ender's Game, fantascienza, Hugo Award, i libri con gli alieni e le astronavi, libri col DRAMMA dentro, Libri letti per poter (s)parlare del film, Nebula Award, Orson Scott Card, tristezza a palate, umani fanno il mazzo ad alieni
Il ciclo di Ender di Orson Scott Card, vagamente conosciuto nello Stivale, è ormai considerato un classico della letteratura per ragazzi (e non solo) nel mondo anglosassone, tanto da rientrare in numerose liste dei migliori libri del Novecento e nelle letture scolastiche estive.
Nato come racconto breve nel 1977 e rielaborato e ampliato in forma di romanzo prima e saga a puntate poi, vincitore della doppietta Hugo-Nebula Award per due anni consecutivi, rimane uno dei titoli fantascientifici che ha saputo mantenere la propria popolarità anche dopo il declino del genere nei favori del pubblico generalista.
Letto nel 2013 però Il gioco di Ender, primo libro di una saga di cinque volumi e svariati racconti, dimostra di essere invecchiati precocemente, per motivi esterni al testo.
Provo invidia per chi lesse il Gioco di Ender al momento della prima pubblicazione, nel 1985, ma anche per la me stessa che ne scorreva le pagine in un’edizione tradotta circa un decennio fa. Nel frattempo la storia crudele dei fratelli Wiggin è stata sottoposta più o meno intenzionalmente a quanto è capitato in ambito cinematografico a un’altra grande saga, quella di John Carter.
Un passo indietro: se a Orson Scott Card è stato riconosciuto di aver creato una storia avvincente e dirompente, è anche vero che gli hanno sempre rinfacciato di averla scritta in maniera tremenda. Il cuore narrativo nella sua essenza è di altissimo livello: è la narrazione di una società adulta votata all’educazione di uno stratega perfetto, pronto ad attuare lo xenocidio più micidiale, l’eliminazione della razza aliena dei Buggers dall’intera galassia, mondo dopo mondo, pur di preservare l’umanità. Il lettore assiste alla creazione del killer perfetto, il killer innocente, ma anche alla delineazione della più marcata differenza tra adulti e bambini, i soggetti potenziali su cui avviene l’addestramento: la capacità manipolatoria spinta fino alle estreme conseguenze, la giustificazione di qualsiasi distorcimento emotivo, stress psicologico e manipolazione dei rapporti interpersonali più intimi per mantenere il candidato più promettente, Andrew “Ender” Wiggin, in un costante stato d’isolamento e pericolo imminente, affinché sviluppi al massimo grado le sue capacità. Lo spezzone migliore del libro è indubbiamente quello derivato direttamente dal racconto breve, integrato con un breve incipit. Il vero merito di Orson Scott Card è quello di aver creato un miscuglio di addestramenti militari, prove al limite dell’umanamente sopportabile, deliri onirici e crudeli realtà virtuali, tutto per documentare minuziosamente il contraccolpo di ogni tattica dei generali sulla psiche di Ender. La descrizione del continuo oscillare tra bisogno di affetto e terrore della debolezza, tra speranza di un’autentica sponda nel mondo adulto e inarrestabile diffidenza verso chiunque fino all’ossessione (più che giustificata) verso ogni minima forma di manipolazione è così cristallina e veritiera che il libro è diventato una delle letture consigliate per l’addestramento dei futuri Marine.
Il gioco di Ender è un racconto di guerra tanto più realistico quanto più viene data importanza alla vittoria in quella che è una simulazione, un gioco per addestrare le giovani reclute. Un gioco che Ender comincia a giocare ben prima dei sei anni, quando approda alla Battle School orbitante in cui, poco più che undicenne, ha già compreso l’insensatezza di questa ossessione alla vittoria, ma sa di essere condannato a vincere, pena la vita.
Sulla terra invece, in un mondo ancora diviso tra Alleati e Patto di Varsavia, si consuma un gioco ancora più sottile, quello dei due blocchi mondiali, uniti nel combattere l’improvvisa minaccia aliena ma pronti a scannarsi non appena scomparirà. Qui si muovono nell’ombra gli altrettanto geniali fratelli di Ender, il sadico Peter e la dolce Valentine, che attuano un progressivo condizionamento dell’opinione pubblica rimanendo nell’ombra, in un gioco che mette in evidenza come i Wiggin siano una sorta di trinità. Se i ruoli inizialmente sono ben definiti, più il libro avanza più i ruoli di vittima, persecutore, complice e protettore sfumano tra i tre, rendendone sempre più ambigua la relazione.
Purtroppo però sia le premesse sulla guerra aliena sia questo mondo distopico in cui sono bandite le religioni e il controllo sulle nascite è talmente stretto da creare coercizione e derisione sociale sui “Terzi” nati (come Ender) non occupano che un ruolo marginale, tanto da dare l’impressione di una cornice appena abbozzata, come nel più trito dei libracci con cui molti identificano la fantascienza tutta. Questo il limite di Scott Card, insieme a uno stile di scrittura semplice se non semplicista, asciutto, persino affrettato. Lo stesso cuore narrativo nelle mani di una penna più abile ci avrebbe consegnato un capolavoro immortale, invece abbiamo un ottimo libro, dirompente nel suo periodo, con un finale poco coeso ma forse necessario a rendere ancora più amaro il game over di Ender, “colui che porta a termine”, appunto.
L’invecchiamento precoce del libro è dovuto maggiormente al suo ruolo di padre putativo della Young Adult, o meglio, della letteratura giovanile come genere distintamente ed economicamente recintato rispetto al resto della produzione letteraria. Più o meno consapevolemente (e se chiedete a me, più) con l’avvento di questa nicchia editoriale i suoi autori sono andati a pescare a grandi mani in quello che è considerato un classico per ragazzi, sia nello stile di scrittura che nelle tematiche. Impossibile non notare il filone distopico di giovani adolescenti chiusi da qualche parte e costretti a fare qualcosa contro la loro volontà, uniti e divisi dai giochi di potere degli adulti.
Quello che rendere “Ender’s Game” distintamente superiore ai suoi epigoni è l’approccio. Ingiustamente, l’intreccio del libro di Scott Card è andato via via logorandosi man mano che veniva preso in prestito da altri, incapaci di crearne uno proprio. Così le vicende di Ender oggi risultano quasi familiari, quasi ovvie, prive della crudezza che potevano avere anche solo un decennio fa.
Tuttavia “Il gioco di Ender” a mio parere risulta superiore ai suoi successori, anche ai più celebri e blasonati, per lo stesso motivo per cui ritengo che incentivare la divisione in adult e young adult sia un errore. Orson Scott Card ha come protagonisti adolescenti per uno scopo ben preciso legato alla storia, ma non li identifica e non li insegue come pubblico. Ender funziona come funziona “L’isola del Tesoro”, altro classico per ragazzi che però contiene uno dei personaggi moralmente più ambigui della letteratura moderna. Non sono libri tagliati suoi giovani, bensì libri dalla voce così limpida e potente da saper muovere anche i sentimenti dei giovani lettori. A differenza dei primissimi lettori, non ritengo che i giovani abbiano bisogno di essere particolarmente guidati, di contenuti selezionati; sono loro stessi, coi loro gusti e la loro soglia d’interesse, a selezionare le loro letture. Un bell’esempio di questa teoria è “Among Others” di Jo Walton (di cui vi ho parlato QUI), dove la protagonista legge fin al più “scabroso” (cfr. Triton) libro a portata di mano, ricavandone le sue personalissime riflessioni.
Nella quasi totalità degli Young Adult più celebri invece si decide di affrontare di petto temi “alti” o difficili, come la morte, la malattia, la guerra, la sofferenza (vedi tutte le distopie), ma l’approccio spesso non è sincero fino in fondo e raramente viene portato alle sue naturali conseguenze. Letti con gli occhi di un adulto, molti si rivelano essere libri quasi monchi, restii a tirare le fila del discorso, a volte forzatamente ottimisti. Non credo che i lettori meritino questo, né da adulti né da giovani.
Orson Scott Card è stato più volte accusato da critici e saggisti di descrivere un novello Hitler, di essere costantemente impegnato ad assolvere Ender dal peso morale di quanto compie. Il punto a mio parere è proprio quello: viene sfruttata la giovane età e l’empatia di Ender per crearne il killer perfetto, che nel contesto del gioco risulta il più spietato di tutti, libero come può essere un undicenne dalle implicazioni morali e dai rimorsi che uno stratega veterano non può non affrontare. Ender è un innocente nelle intenzioni, ma paga amaramente per ogni vittoria conseguita. Come osservano i suoi compagni Alai e Dick, non sono veramente bambini, sono anziani veterani di guerra innestati troppo precocemente in corpi che cominciano da poco a fare i conti col “dopopartita”. Il libro è costruito per creare un innocente colpevole, per mostrarcene il contraccolpo.
Al contrario nella maggior parte delle distopie giovanili contemporanee, i protagonisti sono costantemente trattenuti dal compiere un atto di vera violenza (di cui è costellata la vita di Ender) o se lo compiono sono più che giustificati dall’autore stesso e non ne pagano le conseguenze se non in minima parte. Katniss quanto uccide nell’arena? Mai, ogni sua azione criminale è dettata dall’assoluta necessità. Pur trovandosi in situazione di vita o di morte, l’autrice trova sempre il modo di non farle sporcare troppo le mani. Assiste a morti terribili di innocenti (ma molte delle peggiori sono riservate a giovani moralmente compromessi), ma le viene consentito di scardinare il sistema, di uscirne abbastanza bene, di vincerlo riportando un numero di perdite accettabile, almeno nelle prime fasi della trilogia. Orson Scott Card non concede questo lusso a Ender, a cui non è mai concesso di fuggire davvero dal gioco, anzi, più viene a conoscenza degli antefatti più se ne scopre colpevole.
Non che Orson Scott Card sia un faro luminoso di coerenza intellettuale. Difficile però non aspettarsi le sue sparate omofobe, data la sua stretta aderenza alla chiesa mormone (e molti suoi ragionamenti scorrono a basso voltaggio anche in Ender, di pari passo a uscite sorprendentemente liberali).
La vendetta più dolce è leggere il libro, vedere il film e poi shippare con l’intensità di mille Tumblr Ender e Alai o darsi direttamente all’incest, peraltro già più che accennato nel libro. Seppellire Scott Card e la sua omofobia sotto un fiume di fanart e fanfic: questa è una vendetta.