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La vendetta del Diavolo (Horns) di Joe Hill, edito da Sperling&Kupfer, 391 pp, 2012.
“Che imbarazzo”: questa più o meno la mia reazione di fronte alla copertina dell’edizione italiana di Horns, letto per quella singolare curiosità che mi spinge a i recuperare alcuni libri prima di vederli su schermo, evitandone accuratamente altri. Non che la scelta del titolo italiano o l’immagine di copertina si riferiscano a contenuti poco fedeli al libro, è fa veramente libro thriller simil-satanista che trovi usato a 2,99 euro nel mercato rionale qualche anno dopo. In America si direbbe che la copertina è cheap, non nel senso di economica, nel senso di barbonata. Dopo aver finito il tomo sono propensa a dire che Sperling&Kupfer hanno avuto l’onesta di non fingere una ricercatezza di facciata che non si trova nelle pagine.

La questione di come rapportarsi a Joe Hill è problematica e mai neutrale per la scomodissima parentela che si porta dietro; qualcuno può veramente biasimarlo per aver provato a rimanere sotto pseudonimo agli inizi di carriera? Almeno scrivesse delicati racconti crepuscolari o minuziose ricostruzioni storiche. No, la sua vocazione lo porta a immergersi nelle atmosfere orrorifiche di cui il padre viene chiamato Re, e non solo per il cognome che porta. Non si tratta del genere letterario da me più battuto (anzi, sono altresì ignorante come una capra sullo stesso) o amato, ma la curiosità di vedere come si muoveva l’autore del molto apprezzato “Una Scatola a forma di Cuore” era tanta. Visto l’adattamento cinematografico imminente di Horns, mi sono buttata su quello e forse è stato quello il mio errore.

La Vendetta del Diavolo è un libro dallo spunto interessante ma poco riuscito negli esiti finali. Così poco riuscito che, assieme a un’evidente propensione a finire sul grande schermo anche con un budget limitato, risulta uno strumento malleabile nelle mani di sceneggiatore e regista, implorando di non prendere anche su schermo la via più prevedibile. Lo spunto della vicenda è intrigante, in grado di piazzare momenti di tensione alla fine di ogni capitolo: dopo una notte di sbevazzate e vandalismi a Ig, ventiseienne la cui vita è già un mezzo incubo dall’uccisione della fidanzata, spuntano delle corna. Le protuberanze non lo costringono a una fuga precipitosa perché nessuno sembra notarle, pur vedendole, ma hanno altri spiacevoli effetti. Per esempio quando incontri qualcuno, per quanto amico o familiare che sia, quello si sente in dovere di raccontarti con assoluta, brutale sincerità quel che pensa di te. Nel caso di Ig, la narrazione si riduce a infinite varianti di “lo sappiamo tutti che l’hai ammazzata tu Merrin, schifoso stupratore, spero tu muoia male perché non sono riusciti a incastrarti con un giusto processo”. Un contatto fisico porta Ig a vedere gli eventi più spiacevoli e meschini del malcapitato. Non è una bella esperienza per il protagonista, almeno per la prima parte “kafkiana”; poi il libro si prende una lunga parte centrale in cui mostra le radici adolescenziali dei rapporti tra protagonisti che sono stati introdotti attraverso le reciproche accuse e le infamanti rivelazioni, per avviarsi con una volta decisamente thriller a scoprire cosa è successo la notte in cui Merrin è morta, chi è stato e cosa farà Ig cornificato quando riuscirà a mettere le mani addosso a questa persona.

Sicuramente ha uno stile asciutto e incisivo, particolarmente versato nell’evidenziare la peggio umanità insita in ciascuno di noi. Insomma, non un libro rassicurante, almeno in prima battuta. Sicuramente è un page-turner, difficile da riporre anche nelle sue svolte meno riuscite. Tuttavia i suoi punti forti, la linea dura verso i suoi protagonisti e il risvolto demoniaco che Ig finisce per abbracciare, vanno scemando verso la fine. L’intreccio diventa trasparente agli occhi del lettore, tanto che il piano di Ig per vendicarsi, gli intoppi che verranno a crearsi e le risoluzioni volte a metterci una pezza sono più che anticipabili: sembra che Hill non sappia proprio occultare i piccoli pezzi lasciati per strada, necessari a innescare le reazioni a catena successive. Sul piano complessivo lo considero parecchio deludente: c’è poco spazio per gli elementi visionari (le corna, la casa sull’albero) che risultano essere i più concreti, gestiti benissimo e fortunatamente senza il bisogno di dare una spiegazione precisa per la loro apparizione o funzionamento. Gli elementi reali invece, a partire dal flashback adolescenziale, si risolvono in una lunga serie di figurine che tentano di essere personaggi a tutto tondo ma finiscono per scontare la loro prevedibilità. Su tutti, le due ragazze di Ig vengono confinate nel territorio positivo, sì, ma in veste di martiri.

Sul film invece mi sento di essere moderatamente ottimista. Lo spunto di partenza è ottimo (e molto cinematografico, così come il resto di un film che propone molti dialoghi, tanti colpi di scena e alcune scene d’azione che possono fare un grande effetto anche con un budget ridotto). Essendo poi il resto così annacquato, è un materiale di partenza perfetto per essere tradito, malleato, piegato alle esigenze del grande schermo e reso, si spera, meno prevedibile.
Daniel Radcliffe cornuto è il motivo per cui il film di Alexandre Aja sta ricevendo tante attenzioni. Sinceramente non immaginavo un tipo come Radcliffe leggendo di Ig, ma avendo già fatto un ottimo lavoro su questo genere di adattamenti con “The Woman in Black”, gli concederò una chance, se le recensioni iniziali non saranno troppo disastrose.
QUI potete vedere una prima clip del film rilasciata in vece del trailer (per dire quanti soldi girano in questa produzione), in cui Radcliffe ha stupito per l’impressionante riproduzione dell’accento americano del suo personaggio.

Lo leggo? Si tratta di uno di quei casi in cui il film può risparmiarvi la fatica, dato che il tomo si dimentica in fretta. Da quel che ho capito non è che Joe Hill sia così scadente in toto, ma questo libro gli è riuscito peggio del suo esordio o dei successivi. Perché adattare proprio questo allora? Budget, suppongo.
Com’è l’edizione italiana? La traduzione sembra buona ma segnalo una marea di refusi parecchio fastidiosi, specie nei capitoli finali, dove compaiono in numero crescente. Molto fastidioso, dà proprio l’idea di progressiva trascuratezza nell’editing.

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