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il sospetto locandinaCon le nomination degli Indipendent Spirit Awards (QUI) si apre ufficialmente la stagione dei premi cinematografici americani e la lunga corsa alle nomination degli Oscar 2014. Cosa cambia per lo spettatore comune? Sostanzialmente nulla, mentre per gli addetti ai lavori ogni nomination (o mancata nomination) ha un’importanza capitale. Si cominciano infatti a i titoli che potrebbero aver colpito i giudici da quelli che poi sono riusciti a farlo veramente. Da qui in avanti fino a Febbraio si susseguiranno una marea di premiazioni, molte delle quali vedono nelle commissioni giudici che fanno parte dell’Academy e che quindi voteranno anche per le statuette dorate.

Questa valutazione è ancora più rilevante per i film internazionali in lizza. Come ho già avuto modo di spiegare, oltre alla qualità conta tantissimo la visibilità che le pellicole riescono a raggiungere entro i confini americani. Agli Indipendent Spirit Awards hanno prevalso pellicole già note e non può che far piacere notare che Sorrentino ha passato quest’esame, guadagnando la nomination. In un mondo in cui “La Vita di Adele” non esiste, il cliente più scomodo potrebbe rivelarsi Jagten (lett. “la caccia”), con cui la Danimarca tenta di nuovo l’impresa dopo la nomination di “A Royal Affair” nella scorsa edizione.


Quest’anno ben 76 nazioni hanno inviato un film in rappresentanza della propria cinematografia. Con tanta concorrenza, diventa fondamentale avere il film giusto per incontrare i gusti dell’Academy, anche solo per sperare nella nomination. L’unica controindicazione de “Il Sospetto” è proprio la candidatura dello scorso anno, che potrebbe fargli perdere punti come rappresentante europeo in una cinquina in cui la competizione è davvero agguerrita.

Il film danese però ha tutte le carte in regola per farcerla e parecchi assi nella manica. Innanzitutto è veramente un riuscitissimo film, il che non guasta. Thomas Vinterberg, in qualità di ideatore e sceneggiatore con Tobias Lindholm e anche come regista ha fatto un lavoro davvero di alto livello, senza sbavature, maneggiando per giunta una tematica spinosa. Dire che Jagten sia un film sulla pedofilia sarebbe però fuorviante ed è un vero peccato che nella percezione comune sia passata quest’impressione dominante. Thomas Vinterberg ci deve aver pensato molto e aver concluso che per intavolare il discorso che voleva fare c’era bisogno di un crimine talmente efferato e condannato unanimemente dal sentire comune da permettergli di fare una riflessione filmica di questo tipo. La pedofilia è un mezzo (peraltro piuttosto pericoloso da maneggiare, specie quando il film postula chiaramente dall’inizio che si tratta di una bugia infantile senza alcun fondo di verità) per arrivare all’idea centrale, quella del processo sociale ancor prima che statale. Vinterberg è interessato fino a un certo punto al crimine che la piccola Klara addossa a Lucas perché la sua attenzione è rivolta a documentare il processo a cui ogni singolo cittadino della piccola comunità sottopone il malcapitato.

Nel compiere questa operazione, il film risulta semplicemente perfetto. La reazione di ogni cittadino (la direttrice dell’asilo, la famiglia di Klara, i compagni di caccia, il figlio di Lucas e la sua nuova fiamma) viene registrata dal momento in cui apprendono la notizia a quello in cui prendono una decisione. Lo spettatore è fin da subito in posizione privilegiata affinché il caso non lo distragga. Sappiamo che Klara è una bambina problematica, con ossessioni maniacali e un tic facciale pronunciato, spesso dimenticata dai genitori all’asilo o per strada, esposta suo malgrado ad immagini pornografiche, nota per la sua fervida immaginazione. Lucas, il suo maestro d’asilo che tenta di ottenere l’affidamento del figlio dopo un divorzio difficile, è l’unico a occuparsi di lei con trasporto, tanto che la bambina sviluppa una cotta per lui. Lucas è un membro stimato della piccola comunità, pieno di relazioni sociali e amici, vanta un certo successo con le donne. Alle avances (già mature, a ribadire l’ambiente poco infantile in cui Klara sta crescendo) della piccola, cerca di reindirizzare le sue attenzioni verso i suoi coetanei. La bambina lancia un’accusa vaga, una sola volta, quello stesso pomeriggio in cui è stata respinta.

il sospetto klara madre

In altre parole l’innocenza del protagonista è certificata ed è proprio così che lo spettatore può concentrarsi sul mutamento repentino del suo status all’interno della piccola comunità. Le sue dimensioni ristrette accentuano ancora di più le meccaniche sociali di colpa e punizione, perché non ci sono media da incolpare o stranieri, sono i suoi conoscenti di una vita a condannarlo senza appello. Si ripete uno schema che alterna incredulità al sospetto, fino alla repentina certezza granitica. Così una “bambina dalla fervida immaginazione” dice la verità perché “i bambini non mentono mai, non su queste cose”, il migliore amico Theo ripudia Lucas perché “mia figlia non può aver mentito” e così via, con un processo di ostracizzazione che porta a una sorta di psicosi collettiva.
Quando però una verifica della polizia prova che le accuse dettagliatissime mosse da altri bambini sono false oltre ogni possibilità e forse frutto dell’ansia di dare ai propri genitori preoccupati la risposta che si aspettano, si ferma la giustizia statale, ma non quella cittadina. Lucas viene rilasciato ma è giudicato ancora colpevole, pestato, colpito nei suoi affetti da anonimi.
Il film però mostra anche che alcuni credono all’amico, senza ridicolizzare il dramma dei genitori di Klara, da sempre legatissimi a Lucas, l’autenticità del loro orrore rispetto a quanto accaduto. Tuttavia Vinterberg si dimostra tagliente nel mostrare come una supposta reazione psicologica di negazione li schermi a più riprese dall’ammissione di Klara di aver mentito per dispetto verso Lucas.

Il risvolto più terrorizzante è però l’anonimato, la violenza perpetuata al riparo dell’ombra: Lucas non sai chi gli abbia giocato i tiri più crudeli e quindi non sa quale sia il giudice che continua a condannarlo, non può affrontarlo. Questo anonimo che lo colpisce si ammanta del senso comune per agire, senza dare a Lucas la possibilità di difendere se stesso, come invece accade al supermercato. Dell’epilogo spesso si cita proprio questo aspetto, mentre io ho trovato toccante la scena immediatamente precedente il finale: [SPOILER] Lucas è stato reintegrato nel gruppo cittadino, ma è l’ombra del vecchio se stesso. Nei suoi occhi smarriti che balzano da un viso all’altro in cerca di una muta accusa si percepisce la sottile paura dell’animale braccato che sa che la caccia non si è conclusa, non si concluderà mai. Lucas ha vicino la sua famiglia e la sua comunità, ma sarà per sempre un uomo solo, diviso dall’impossibilità di dimenticare il tradimento subito dai suoi affetti e da un sospetto impossibile da sopprimere che alcuni continuano a provare. [/SPOILER]

Mads Mikkelsen non a caso è nuovamente protagonista della pellicola danese che tenta il colpaccio. Innegabilmente un volto noto negli Stati Uniti aiuta molto in termini di visibilità e interesse. C’è da dire che però qui Mikkelsen è il fattore x che trasforma un buon film in qualcosa di memorabile, tanto da vincere come miglior interprete maschile al festival di Cannes 2012. Non è stato scelto, come si potrebbe pensare, per il fatto che la sua fisionomia suggerisca un lato oscuro e criminale (errore comprensibile, a scorrere la sua filmografia), bensì perché è in grado di far percepire dalla sua postura e del guizzo dei suoi occhi il cambiamento che quest’esperienza scava dentro un’uomo buono e sensibile. Vorrei citare anche la piccola Annika Wedderkopp, impressionante per il livello di sfaccettature che riesce ad imprimere alla recitazione nonostante la tenera età. Seriamente, a tratti è quasi disturbante.

jagten mad mikkelsen

Lo recupero? Davvero un ottimo film, non PESO nel senso che ci si aspetterebbe. Certo, magari toglie fiducia nel genere umano, però quale riflessione sul vivere comunitario non finisce per farlo? Sicuramente annienta quel residuo di fiducia nei bambini rimasta dopo la visione di “Atonement”. Se vedete una bimba bionda con gli occhi azzurri che vi sorride, l’opzione più saggia è scappare nella direzione opposta.
Ci shippo qualcuno? Sì e con quale elegante suggerimento da parte del film stesso! Il rapporto tra Lucas e Theo (il padre di Klara) è quel tocco che rende il film ancora più straziante. Theo ama sua figlia e vuole crederle ma è dilaniato dalla separazione dal suo amico d’infanzia e vive un tormento interiore difficilmente riassumibile a parole. La loro riconciliazione e la dipendenza quasi patologica di quest’ultimo verso Lucas (senza contare la scena da ubriachi) rendono la cosa più che sospetta. Promosso.
Fottuto Cervo Metaforico – in un film che si intitola “La Caccia” non può mancare. Il film ancora una volta si apre con un padre che spara a una cerva, che stramazza al suolo morta. Qui la metafora è piuttosto palese, con Lucas che si trasforma in meno di un mese nell’animale braccato.