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A otto anni di distanza, anche i più disfattisti devono capitolare e ammettere quanto “300” di Zack Snyder abbia impattato, nel bene e nel male, sull’immaginario visivo in campo cinematografico e televisivo. Da qui ad avventurarsi nel sequel di un film i cui protagonisti sono più che deceduti e la conclusione sembra marchiare a fuoco la scritta fine della storia però ce ne vuole.
Frank Miller però era dell’idea che un secondo capitolo dovesse essere realizzato, a costo di piegare alle esigenze narrative tutto ciò che i poveri liceali hanno imparato a memoria a suon di versioni al ginnasio. Così nasce “Xerxes”, la graphic novel che consente di ritornare nel mezzo delle guerre persiane, ficcando la testa in quel gap di due anni lasciato tra la penultima e l’ultima scena del predecessore.
Questo però è solo il primo paletto della lunghissima serie di imposizioni che il film si trova a affrontare. Se infatti “300” rimane insuperabile, un film più ispirato e dirompente del suo sequel, è pur vero che i suoi realizzatori hanno fatto veramente di tutto per piantar grane a questo secondo progetto.
Zack Snyder, ancor oggi alla ricerca di un equilibrio ispirato che da quel lontano 2006 gli è rimasto precluso, ha contribuito solo alla sceneggiatura, chiamandosi fuori per la regia. Così la Warner Bros. ha chiamato Noam Murro, regista pubblicitario mai al lavoro su progetti così mastodontici per bugdet e comparto effetti speciali. Snyder si è tirato fuori ma ovviamente al suo predecessore è toccato l’infame compito di girare un film a-la-Snyder, perché di fondo l’ispiratore era ancora nei paraggi e una virata decisa sostanzialmente impossibile.
Da un film con “300” nel titolo la gente si aspetta rallenti, slow motion, battaglie impossibili, soluzioni visive fumettistiche, addominali al vento e spruzzi di sangue sproporzionati ai colpi inferti: Noam Murro ha dato al pubblico tutto questo a spizzichi e bocconi, riuscendo nelle rimanenze a dare un’impronta personale al materiale. Impresa non da poco, perché essere vincolati a un registro così vicino al ridicolo e su cui si è pasteggiato per anni (Snyder stesso ci ha insistito a più riprese) significa non poter godere della freschezza e dell’effetto sorpresa che si potevano giocare nel 2006. La soluzione stilistica sembra un compromesso tra Snyder e un’altra fortissima fonte d’influenza degli ultimi anni: Game of Thrones. Influenza talmente palese che ci sono due scene sostanzialmente identiche: l’utilizzo alternativo delle mappe militari e una sorta di Black Water realizzata con più soldi.
Se già il primo “300” abusava dei voice over e degli spiegoni tanto quanto del rallenti, il secondo si trova sul gobbo anche una quantità abnorme di giustificazioni da fornire. 300: l’alba di un impero riesce a sembrare un film d’azione pur vedendosi sottrarre prezioso minutaggio per spiegare le origini di tutti i nuovi arrivati (Artemisia, Dario, Temistocle) e dell’antologico ma un po’ bistrattato Xerxes, che nella prima pellicola ci veniva detto essere un dio Re, prendi, ciapa su e non fare domande.
Rodrigo Santoro torna ad interpretare un personaggio che ormai è iconico, ma nonostante il tempo a lui dedicato, rimane poco più di un bamboccio metrosexual ingioiellato. Lui e Temistocle, il protagonista putativo della storia, hanno delle origini interessanti e tanto da dire/fare/mostrarre, ma non funzionano mai veramente. Xerxes perché rimane sempre una pedina nelle mani di qualcuno, Temistocle perché Sullivan Stapleton è fisicamente adatto alla sfida ma incapace di trasmettere la sottile arguzia del manipolatore. Di fondo Temistocle ci viene presentato come una sorta di Ulisse che, con la sua favella, ha la meglio sulle due compagini femminili Gorgo e Artemisia, riuscendo a far loro fare quello che vuole. Peccato che entrambe riescano a metterlo in secondo piano.
Il grande rimpianto che lascia questo film è quello di non sfruttare un possibile confronto (diciamolo: un possibile cat fight!) tra i due personaggi più riusciti: Lena Headley ormai vedova che piange il suo Leonida e Artemisia, la comandante della flotta persiana. Non stento a credere che per questo ruolo bello e terribile Eva Green sia stato il primo e l’unico nome saltato fuori. Constatando che l’attrice non riesce mai ad infilarsi in un film che non sia una baracconata commerciale o una microproduzione pesissima, la sua gestione di un ruolo tanto violento ed estremo è da applausi. Ruba talmente la scena al cast maschile che ad un certo punto, il film smette di far finta che sia un comprimario e la mette nel centro della scena. Lei in cambio gli salva il film, nonostante passi i primi 40 minuti a fare tutta una serie di scene riassumibili con una gif not amused e gli tocchino combattimenti per cui si è dovuta molto allenare e una delle scene di sesso più potenzialmente ridicole di sempre, per cui è dovuta tornare a mostrarci perché Bertolucci la scelse ai tempi di “The Dreamers” (come sono diplomatica oggi).
Se Eva Green buca così tanto lo schermo è anche merito di Alexandra Byrne, ormai La Costumista dei cinecomics e dei film più pop sul mercato. Basta vedere sventolare il mantello blu di Temistocle per capire che la costumista di Thor è di nuovo in azione, stavolta parzialmente limitata dai vincoli stilistici del primo film. Anche se Byrne sostiene che i costumi più difficili siano i non-costumi degli uomini in battaglia (a suo dire tanta pelle nuda rende essenziale essere precisi nel dove aggiungere o togliere un centimetro di tessuto), è impossibile non rimanere estasiati dalla commistione di femminilità e aggressività della lunga galleria di mise che sfoggia la Green, coronata dall’armatura spinale che il regista non può che continuare a inquadrare.
Anche a livello di effetti speciali il film non deve essere certo stato una passeggiata. Si sa, questo genere di pellicole è tutto green screen e storyboard, però un conto è una gola tra le montagne e Sparta, un conto è un plot che prevede numerose battaglie navali in cui far interagire un numero di attori, stunt men e comparse non banale. Mi è sembrato tutto all’altezza, ma lo sguardo magnetico di Eva Green potrebbe aver reso più indulgente.
Lo vado a vedere? A patto di apprezzare “300” e questo genere di pellicole, non ci vedo nessuna controindicazione. Contate che Eva Green da sola mette seriamente in dubbio l’eredità democratica lasciataci da Atene. Certo, con più libertà creativa e un protagonista carismatico, avrebbe potuto essere tutta un’altra cosa, ma non mi pare il caso di lamentarsi.
Ci shippo qualcuno? Se ricordate bene, nel primo film Leonida dà dei ricchioni agli ateniesi, tutti poeti e artisti. In questo contesto Temistocle e la sua mancanza di famiglia risultano più che sospette, considerando la sua cerchia di amicizie maschili e Hans Matheson in veste di nuovo Jared Leto. Mhhhhhh.