Tag
adolescenti problematici, Alexander Skarsgård, amori adolescenziali, Brenton Thwaites, dawson casting, fantascienza, Jeff Bridges, Katie Holmes, la forza salvifica dell'Ammmore, Libri letti per poter (s)parlare del film, ma anche no, Meryl Streep, mondi distopici, Odeya Rush, Phillip Noyce, Taylor Swift, voice over molesto, young adult
In tutta la faccenda “The Giver” – libro, film, flop al botteghino e codazzo di polemiche annesso e connesso – l’uscita che mi ha stupito di più è quella dell’autrice di un titolo considerato un classico per ragazzi negli Stati Uniti, uno di quei libri che per i compiti delle vacanze o per piacere la maggior parte delle ultime infornate di adolescenti americani ha letto.
Infatti Lois Lowry non solo non si è dissociata dal forte rimaneggiamento del suo scritto originale, ma si è anche spesa in prima persona nella promozione del film, sostenendo che la sceneggiatura attualizzasse e potenziasse il contenuto originale del libro.
IL LIBRO
The Giver di Lois Lowry, Giunti, 2010, 249 pp., traduzione di Tommaso Pincio.
Mentre da noi “Il mondo di Jonas” (il primo titolo affibbiatogli da Mondadori, che lo pubblicò per la prima volta negli anni ’90) è un romanzo per ragazzi come tanti altri, in America il primo libro della tetralogia della Lowry è un caso editoriale, amato dai giovani lettori, consigliato dagli insegnanti e vittima di tentativi di bando dai programmi e dalle librerie scolastiche, tanto da apparire nella lista dei titoli più colpiti da richieste di bando degli anni ’90 e ’00.
Svelare le tematiche che hanno attirato tante critiche a un libro che si rivolge a un pubblico giovanissimo (forse ancora più acerbo di quello oggi identificato come young adult) costituisce un enorme, ingiustificato spoiler. Vi basti quindi sapere che “The Giver” è un altro titolo seminale – assiem a “Ender’s Game” – per quello che poi è diventato il filone distopico/fantascientifico della YA contemporanea.
Il giovane protagonista, il dodicenne Jonas, introduce il lettore nell’utopia più che rodata in cui vive, dove un attento controllo sociale su ogni attività umana (dai nuclei familiari al clima, fino all’utilizzo del linguaggio) consente il mantenimento di un’uniformità d’intenti e vedute e una perenne, immutabile serenità. Dopo generazioni di eugenetica e pianificazione sociale, il conflitto è completamente estirpato da questa realtà, dove davvero nessuno sembra soffrire. Lo stesso Jonas riesce ad intuirne i limiti del suo vivere solo quando viene designato come successore del donatore, l’anziano che conserva in sé tutte le memorie del passato e che ha il compito di fornire suggerimenti agli amministratori basandosi sulle esperienze pregresse che solo lui ricorda.
Mentre accoglie le memorie passate di felicità e dolore, Jonas scopre quale sia il vero prezzo dell’armonia in cui è vissuto e solo dopo averlo compreso fino in fondo agirà di conseguenza in un finale tra il lirico e l’allegorico che chiude il primo volume.
Ciò che rende questo libro potente è la capacità dell’utopia di rivelare a poco a poco anche al lettore di cosa sia stato privato Jonas, concetti che in quanto personaggio non può spiegare perché il suo lessico è stato accuratamente privato di ogni termine per farlo. L’efficacia del libro deriva dalla delicatezza con cui Lowry affronta con il suo giovane pubblico le tematiche più difficili e controverse che esistano, inserendo un paio di scene davvero disturbanti anche per chi ha l’esperienza necessaria per intuire cosa ci sia dietro buona parte dei misteri del mondo di Jonas (quel “ciao ciao piccoletto!” me lo ricorderò finché campo).
Il grosso limite del volume è quello di mancare di un’adeguata struttura logica, tanto da risultare qua e là davvero incoerente. Anche il risvolto fantascientifico finisce per sfociare nella magia, dato che l’utopia si perpetua attraverso pesanti interventi genetici che vengono dati per scontati, talmente avveniristi da risultare poco credibili, soprattutto in mancanza di una qualsivoglia spiegazione.
Lo leggo? Nonostante manchi della coerenza necessaria per essere un “libro per grandi”, rimane una lettura affascinante anche per il pubblico adulto, soprattutto per come Lowry gestisce in maniera emozionante ma mai accondiscendente temi così complicati. Proprio per questo motivo in tanti l’hanno criticata, per aver voluto affrontarli con i lettori più giovani, scrivendo un libro così intenso da smentire proprio chi vorrebbe i lettori in erba ipertutelati e censurati preventivamente di ogni contenuto “difficile”.
L’edizione italiana a cura di Giunti, che ha recentemente ripubblicato tutta la serie, è davvero bellissima: illustrazioni curate ed eleganti, volumi con copertina rigida, prezzo ragionevole (in edizione cartacea) e una traduzione che mi è parsa molto puntuale. Unico appunto; la carta utilizzata è veramente bianca. Personalmente lo apprezzo molto ma so che per molti con problematiche agli occhi leggere su questo tipo di supporto è davvero problematico. Niente paura: trovate tutto anche in ebook.
IL FILM
Uno dei pochi aspetti positivi di questa pellicola è che sarà un motivo vivente per ogni produttore che in futuro tenterà di adattare un libro young adult per soddisfare sia gli appassionati sia il pubblico generalista.
Se la Weinstein ha un merito è quello di aver preso parecchio sul serio ogni tipologia di pellicola su cui ha lavorato, anche quando appartenente a generi “di serie b”, lavorandoci con serietà e soldi.
The Giver non fa eccezione e dalle primissime sequenze è chiaro che il film si prende piuttosto sul serio, cercando di sfruttare le peculiarità del mondo di Jonas in chiave cinematografica. La scelta del bianco e nero non era scontata e si potevano evitare tanti grattacapi glissando su questo e altri dettagli.
Tra i produttori compare anche Jeff Bridges, che è legato a questo progetto da anni e ha garantito che l’adattamento non avrebbe cercato di edulcorate le scene più dolorose (in fondo hanno scelto Alexander Skarsgård in funzione di quella particolare sequenza, anche se rimango convinta che un volto ordinario avrebbe reso il risultato ancor più micidiale. Da uno dagli Skarsgård ci si aspetta sempre qualcosa di malvagio, no?)
Peccato che tutto questo sforzo venga vanificato dal tentativo d’inserire a forza il film nel filone delle saghe distopiche più remunerative, a costo di stravolgerne la trama e le (già tenui) logiche interne. “The Giver” non è “Hunger Games” né “Divergent” e il tentativo di renderlo più somigliante a prodotti così distanti ha completamente vanificato lo sforzo produttivo dietro il film. La sceneggiatura del film è tremenda, fedifraga nel peggior senso del termine e votata alle peggiori logiche commerciali.
Jonas funziona perché è la sua innocenza da dodicenne a palesare tutto il dolore dell’anziano donatore: trasformarlo in un sedicenne con l’ormone impazzito interpretato da un venticinquenne nemmeno poi troppo versato (Asa Butterfield in “Ender’s Game” da tanti di quei punti a Brenton Thwaites! Tanti!) è stata una mossa capace di scontentare i fan e far disamorare il resto degli spettatori, che hanno immediatamente identificato il film come l’ennesimo epigono di questo filone. L’unico lato positivo della love story totalmente inventata con Fiona è vedere sullo schermo la magnetica Odeya Rush per qualche minuto in più. Purtroppo però quest’inutile toppa sentimentale finisce per rovinare le dinamiche tra il trio di amici, caratterizzate appunto dall’asessualità che permea tutta la comunità.
Un altro grave difetto della sceneggiatura è quello di scivolare continuamente nella distinzione tra buoni e cattivi, riservando a al rapporto Jonas-capo della comunità (Meryl Streep col parruccone) una sorta di semplicistico ribaltamento di sessi di quanto succede tra Donald Sutherland e Jennifer Lawrence a Panem. Questo snatura completamente la storia originale, dove le azioni più orribili vengono compiute da individui innocenti, perché solo il donatore e Jonas possiedono le memorie necessarie a comprendere la brutalità che scorre sotto traccia nella loro idilliaca comunità, ma sono impossibilitati a comunicarle con gli altri. Riguardo a quell’accenno d’intesa tra il Donatore e il capo Comunità, non voglio nemmeno pronunciarmi.
Altro tratto parecchio spiazzante del film è l’isteria del casting, che affianca attori di prima classe a scelte quantomeno bizzarre: Katie Holmes? Taylor Swift? Tra l’altro la sua partecipazione è così irrisoria da non giustificare nemmeno il prezzo del biglietto per i fan della cantante.
Lo vado a vedere? Continua la corsa delle major verso la nuova saga di successo per giovani ma dopo gli imponenti successi commerciali e qualitativi di Harry Potter e Hunger Games non si intravede ancora niente di paragonabile all’orizzonte. The Giver poteva essere il film capace di spostare i gusti verso un tipo di distopia YA leggermente differente, se non fosse stato così snaturato. Se siete interessati, è consigliabile rivolgersi alla versione letteraria.
Ci shippo qualcuno? Il volto di Brenton Thwaites blocca ogni possibilità di cattivi pensieri.
Davvero ben scritta! Ho solo noleggiato il film.. Che giudico “filmetto di fantascienza” ma comunque piacevole. Sono un po’ indeciso se leggere o meno il libro
Sicuramente non ti porterà via troppo tempo nel caso si rivelasse una delusione, dato che si legge in un paio d’ore.
Magari prova a vedere se la tua biblioteca ha una copia, se non vuoi rischiare. ^-^