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Alejandro González Iñárritu, Andrew Niccol, c'e' anche un po' d'Italia, Roy Andersson, Saverio Costanzo, Venezia 71, vincitore di premio a forma di qualcosa di un metallo solitamente dorato
Si è chiuso oggi il settantunesimo festival del cinema di Venezia e Roy Andersson si è portato a casa un Leone d’Oro per “A pigeon sat on a branch reflecting on existence”. Film che, come il titolo suggerisce, non farà certo il tutto esaurito nelle nostre sale cinematografiche, sempre se e quando uscirà.
Questo 2014 è stato un anno indubbiamente difficile per la kermesse veneziana, che fa ancora i conti con il cambio ai vertici e con il progressivo disinteresse delle major hollywoodiane verso questa tradizionale piattaforma di lancio verso la stagione dei premi. Se per parlare di qualità bisogna aspettare di vedere il materiale (per chi a Venezia non c’è stato serve almeno un annetto) per livello di buzz e hype quest’anno si è rivelato decisamente più dimesso del precedente, tanto da indurmi a disertare l’aggiornamento quotidiano per penuria di notizie.
Sarebbe ingiusto parlare di ecatombe perché qualche bel colpo la Laguna se lo è aggiudicato, ma è innegabile che la concorrenza del Toronto International Film Festival stia diventando sempre più preoccupante. Il TIFF comincia mentre Venezia è ancora in corso, fornisce una trasferta più comoda per i grandi attori americani e soprattutto sta diventando anno dopo anno il vero banco di lancio per le pellicole americane che puntano ai premi più prestigiosi, piazzato strategicamente assieme al New York Film Festival proprio all’inizio dell’alta stagione.
Una volta questo ruolo lo svolgeva Venezia, ma orientalizzazione estrema voluta dalla precedente gestione, film in concorso non sempre all’altezza, giovani promesse cannibalizzate da Cannes, cantieri infiniti mai ultimati e premiazioni sempre più insensate ne hanno diminuito l’appeal in maniera preoccupante. Anzi, filmoni come Gravity finiscono per scegliere questa passerella vuoi per George Clooney, padrino indiretto della mostra e nume tutelare del glamour veneziano – quest’anno assente – vuoi perché al TIFF si comincia a soffrire il sovraffollamento e accaparrarsi una buona copertura mediatica è più semplice se intorno a te c’è il deserto.
Solo un quinquennio fa un “Gone Girl”, un “The Imitation Game” e ogni altro filmone americano tenuto in caldo per l’autunno avrebbero fatto carte false per aprire Venezia, ora invece i buyers e la stampa stanno altrove e perciò aggiudicarsi questi titoli non è più scontato, nonostante il calendario favorisca Venezia su Cannes, un po’ troppo primaverile per lanciare i film più promettenti.
C’è da dire che anche in passato sono stata piuttosto cattiva con Venezia che invece, zitta zitta, nelle pellicole più piccole ha conservato parecchi titoli che hanno fatto bene, si sono fatti notare o attendono di farlo a questo giro di Oscar, senza contare che letteralmente il miglior film dell’anno secondo l’Academy era stato presentato qui.
Quest’anno però o la critica è stata severissima, o la giuria ha distribuito leoni che ci sorprenderanno nel sonno o semplicemente la selezione generale nelle varie categorie è più deludente. Pochi nomi di sicuro hype nel concorso, pochissime pellicole davvero promosse a pieni voti, persino la sezione Orizzonti si è rivelata meno innovativa del solito. Basta parlare della spedizione francese: un quartetto di film che partivano favoriti – data la nazionalità del presidente di giuria – letteralmente massacrati dalla critica.
La giura, salvo poche eccezioni, ha però ignorato che i beniamini della stampa e i film su cui avevo messo gli occhi. Per questo, a seguire, trovate una concisa selezione dei titoli che cercherò di recuperare, quelli che sono convinta possano aiutarmi a rivalutare un altro anno di Laguna vista dalla pianura padana.
BIRDMAN – Alejandro González Iñárritu
Scelta quasi scontata, essendo l’unico titolo di un certo peso mandato dalla lontana Hollywood insieme al codazzo di attori glamour.
A conti fatti Alejandro González Iñárritu ha scelto bene a venire in Laguna perché anche se non ha ottenuto lo stesso strepitoso responso di “Gravity”, il suo Birdman è comunque balzato all’attenzione di chi comincia a fare previsioni e pronostici per la notte degli Oscar, bruciando la concorrenza che invece dovrà contendersi le attenzioni della stampa al TIFF.
Il film ha convinto quasi tutti, pur avendo qualche debolezza. A colpire sono state soprattutto le performance di due grandi attori lasciati in disparte da anni: Michael Keaton ed Edward Norton, che hanno allungato la loro ombra in prospettiva candidatura, aiutati anche dal fatto che l’Academy adora queste storie di caduta e resurrezione. L’intero film ruota intorno a questo stesso concetto, un attore divenuto celebre per l’interpretazione di un supereroe che si trova a fare i conti col suo ego e il suo fallimento, nel tentativo di riacquistare visibilità a teatro. Pare che la caratteristica pesantezza delle pellicole di Iñárritu sia smorzata da un’inconsueta ironia che pervade tutta la pellicola, anche se ovviamente amarissima e un po’ crudele. Contando che nel cast figurano anche Emma Stone e Andrea Riseborough, per me è già una visione obbligata.
Data d’uscita italiana: 5 febbraio 2015
HUNGRY HEARTS – Saverio Costanzo
Oltre i facili proclama della stampa italiana, bisogna ammettere che quest’anno la spedizione italiana ha raccolto più consensi che in passato. Se quindi devo sceglie un “C’è anche un po’ d’Italia” che possa attirarmi, punterei su questo film di Saverio Costanzo.
Indubbiamente “Anime Nere” ha fatto un’impressione generale migliore, specie sulla stampa straniera, però mi ha disamorato appena il costrutto tipico di film italiano impegnato sulla criminalità organizzata raccontata dall’interno di una famiglia si è palesato all’orizzonte.
Hungry Hearts invece ha raccolto consensi a metà, tuttavia è indubbiamente più anomalo e internazionale nel respiro, nonostante anche qui il tema non sia esattamente leggero: una giovane coppia (lei italiana, lui americano) va a vivere in America ma dopo la nascita della prima figlia l’ossessione della donna per preservarne la salute ne incrina il rapporto col padre, preoccupato che possa mettere in pericolo la vita stessa della bimba. A Saverio Costanzo bisogna riconoscere di aver presentato un film lontano dai topoi festivalieri italiani (vivaddio!) e di aver saputo coinvolgere un attore già noto indie-internazionalmente come Adam Driver, che qui dicono bravissimo (Coppa Volpi) al fianco di Alba Rohrwacher (altra Coppa Volpi), che sappiamo già bravissima da tempo.
Data d’uscita italiana: 31 Agosto 2014
OLIVE KITTERIDGE – Miniserie HBO
Nel vuoto pneumatico lasciato da Hollywood qualcuno ha già saputo piazzarsi con intelligenza e attenzione, ottenendo un lancio stellare a costo ridotto che i concorrenti su piccolo schermo si sognano, lustrando al contempo il proprio lato impegnato (tette chi?).
Non è la prima volta che HBO manda le sue miniserie più raffinate in Laguna, ma stavolta ha concesso qualcosa in assoluta anteprima e per di più selezionando il titolo più adatto all’atmosfera autoriale del festival.
Leggendo i commenti di chi ha potuto dare un’occhiata a questo atteso adattamento di uno degli più acclamati vincitori del premio Pulitzer degli ultimi anni si capisce che la scommessa è vinta: Olive Kitteridge sarà anche un prodotto televisivo, ma per molti è stata una delle visioni migliori di questa edizione.
Peraltro la serie vanta un cast stellare che non ha proprio niente da invidiare ai titoli più blasonati in concorso: Frances McDormand e Bill Murray da soli donano quel fascino da grande schermo alla produzione, ma ci sono tanti nomi interessanti tra i comprimari.
Il libro io l’ho letto e devo dire che la sfida di portarlo sullo schermo è notevole: si tratta di una serie di frammenti di vita vissuta nel Maine in cui presto o tardi fa capolino questa donna livida e ruvida, Olive, di cui il libro è una sorta di ritratto senza sconti, attraverso i suoi occhi e quelli dei suoi cittadini. Chiariamo: una roba molto peso, ma a quanto pare capace di fare giustizia al suo blasonato materiale di partenza.
Data di trasmissione – un 2014 non meglio precisato negli Stati Uniti
GOOD KILL – Andrew Niccol
Piazzato agli sgoccioli della kermesse e passato quasi inosservato, Good Kill figura nella mia selezione per il nome che si trova a fianco, quello di un regista e sceneggiatore neozelandese particolarmente versato nella fantascienza da cui dobbiamo farci perdonare l’immane torto di aver condannato senza appello quello che poi si è rivelato un piccolo classico della SF anni ’90, elegante e minimale Gattaca.
Andrew Niccol non è particolarmente prolifico, perciò un po’ di tempo per lui si trova sempre, anche perché sia come sceneggiatore sia come regista ha toppato solo un paio di volte.
Good Kill vede tornare al suo fianco Ethan Hawke insieme a Zoe Kravitz e January Jones (in pratica mezza First Class) per quello che è stato definito il Top Gun del nuovo millennio. Al posto dei non proprio eterissimi piloti, i droni, guidati da qualcuno che gioisce ad ogni colpo con un “good kill!”, standosene seduto dall’altra parte del mondo.
Ripeto, non se ne é parlato tantissimo (però non se ne è nemmeno parlato male) ma Niccol ha l’indubbio merito di essere piombato per primo su una materia sempre più eticamente scottante, piazzandoci in mezzo il suo tormentato protagonista.
Data d’uscita italiana: 5 settembre 2014
THE TROLLBOX – Graham Annable, Anthony Stacchi
Titolo fuori concorso di cui si è ingiustamente parlato poco, almeno qui da noi. Personalmente mi basta che venga scomodata la LAIKA per farmi arrivare al cinema col biglietto in mano, ma chi è riuscito a recuperarlo a Venezia ha garantito che siamo di fronte all’ennesimo gioiello in stopmotion. Per darvi un’idea, l’ultimo è stato Paranorman, che era semplicemente meraviglioso. Il metascore in questo caso è sotto la sufficienza, il che è francamente un mistero, ma penso vi distrarrò da questa informazione con l’impressionante cast di doppiatori originali: Jared Harris, Ben Kingsley, Nick Frost, Elle Fanning.
Stavolta siamo di fronte all’adattamento di un libro per bambini in cui un bimbo orfano viene allevato da una comunità di troll che usano scatole e scatoloni come rifugio, corazza e abbigliamento.
Data d’uscita italiana: 2 ottobre 2014
IL SESTO SENSO
Al sesto posto, quelli che ci ho pensato a lungo, vorrei ma non posso, potrei ma forse non voglio, ancora no.
Oltre al vincitore e al già citato Anime Nere, ho messo gli occhi su The Look of Silence – quanto sono belli i titoli di Joshua Oppenheimer? – che però non voglio affrontare prima di aver colmato la mia grave lacuna…non ho ancora visto The Act of Killing, lo confesso.
Loin des hommes non è stato esattamente amato dalla critica, però Viggo Mortensen e un certo citazionismo in cui mi riconosco mi hanno fatto drizzare le antenne.
E poi non volevo fare la mulleriana della situazione, però vabbé, Nobi pare confermare che Shinya Tsukamoto è proprio il regista giapponese più figo che sia possibile (più o meno) reperire anche qui da noi.
Invece One on One di Kim Ki Duk (a quanto ho capito un po’ meno folle delle sue ultime uscite, ma comunque bello) lo boicotto perché se sento ancora quella pretenziosissima pubblicità che mandano ciclicamente su Radio24, rischio di causare un incidente stradale.
She’s funny that way non è esattamente una novità per registro e stile, ma c’è sempre spazio per una commedia romantica nella mia lista di recuperi, specie se ispirata ai classici del genere degli anni ’30.
neanche un occhiata all’osannatissimo Giacomino?
Se supero il momento videocassetta educativa al liceo magari, perché no.
altrove e perciò aggiudicarsi questi titoli non