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ttf1Spiace essere freddini nell’accoglienza di un film di quel genere che si finisce sempre per rimpiangere con nostalgia di fronte al green screen che livella le produzioni. I due volti di gennaio è un thriller d’annata e non solo perché tratto da uno dei romanzi più celebri di Patricia Highsmith, la scrittrice americana ormai considerata tra i grandi nomi del genere.
“The two faces of January” sembra prodotto nell’epoca in cui è ambientato (1962) per sontuosità ed accuratezza della ricostruzione, che non a caso vede il ritorno di chi aveva curato la preparazione di “Tinker, Tailor, Soldier, Spy”, film che sapeva ammaliare con un intreccio di esterni carichi di fascino e interni ricchi di carattere.
Stavolta al posto della fumosa Londra c’è l’assolata Grecia turistica e una parentesi ad Instanbul (forse scelta perché meno costosa della Parigi del libro), ma il cast arruolato per questo thriller dalle sfumature del giallo classico inglese non ha niente da invidiare a quello che è un mio cult assoluto dell’ultimo quinquennio.

Un’innocua coppietta americana è in vacanza nel Mediterraneo, alla stregua di un incipit della Christie, quando incontra uno spiantato studente americano che fa da guida ai compatrioti e trova il tempo di spillargli qualche spiccio. Truffe di poca rilevanza rispetto a quanto combinato da Chester (Viggo Mortensen) in patria tanto che, braccato dai creditori, finisce per usare il fascino esercitato dalla moglie Colette (Kirsten Dunst) sul giovane Rydal (Oscar Isaac) per tentare di risolvere la complicata situazione in cui si è cacciato.
Fin da subito è evidente che i personaggi vengono da un mondo cartaceo in cui la loro psicologia è ben più complessa di quello che passa solitamente per le sale. L’intera vicenda ruota attorno ai rapporti piuttosto ambigui tra i tre protagonisti, sempre incapaci di giudicare se l’altro li stia aiutando o truffando. Il tutto intorbidito dalla gelosia che Chester prova per Rydal, evidentemente attratto da Colette; il marito non può fare a meno di usarla per tenersi stretto il suo biglietto d’uscita dalla Grecia, ma questo non evita i suoi violenti accessi di gelosia.

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Il problema è che Hossein Amini, l’acclamato sceneggiatore di “Drive” qui all’esordio come regista, stupisce per il livello del suo girato ma sbaglia clamorosamente nella sceneggiatura. Nonostante sulla carta ci sia davvero tutto quello che rimpiangiamo dei film di suspance e inganno del passato, compreso un cast di tutto rispetto, la sceneggiatura è quanto di più scialbo e poco ispirato si possa immaginare. Capace di rendere il film prevedibile e i personaggi distanti e distaccati, la pellicola non riesce mai a dire qualcosa di memorabile, a tenere lo spettatore sulle spine. Anzi, più il livello adrenalinico si alza, più l’attenzione dello spettatore scema. A salvare il film è unicamente la regia, anch’essa piuttosto classica nell’impostazione e con un paio di risoluzioni molto, molto cinematografiche vecchio stampo. Alla Hitchcock, per intenderci. Le scene ad Instanbul per esempio sono notevolissime, specie se consideriamo che siamo di fronte ad un esordiente nel campo, peccato che in qualità di veterano della scrittura dia una pessima prova.

Viggo Mortensen e Oscar Isaac sono magnetici come al solito, ma purtroppo la sciatteria della scrittura consegna loro personaggi teoricamente complessi ma in realtà piuttosto insipidi, di cui allo spettatore non importa molto. Un po’ per le dinamiche della trama, un po’ per manifesta superiorità del cast maschile, Kirsten Dunst ci prova anche eh, ma scompare letteralmente tra i due protagonisti maschili che se la contendono.

i due volti di gennaio dunst mortensen isaac

Lo vado a vedere? Non è che in sé sia un film brutto, anzi, se soffrite come la sottoscritta la cronica mancanza di pellicole vecchio stampo una puntata al cinema non è una cattiva idea; più per godere dell’ottima produzione che per la presa che il film potrà avere su di voi.
Ci shippo qualcuno? Ecco, sotto questo aspetto il film non è affatto scialbo, anzi. Nella visione distorta di chi ha frequentato per troppo tempo Tumblr e ne ha rimediato irreparabili danni psicofisici, due uomini non possono contendersi una donna a suon di colpi bassi senza in realtà provare un bruciante sentimento di desiderio sessuale reciproco. Ve lo giuro, potete anche provarci eh, ma dopo una modica esposizione a certi ambienti malfamati, lo strisciante dubbio prima o poi finirà per ruotare la visione di quei pochi gradi dal “entrambi amano lei” a “su di lei proiettano un inconfessabile desiderio di possesso dell’altro al livello sessuale”.
Appurato che le premesse sono già pericolose, aggiungeteci che qui Kirsten Dunst è praticamente trasparente, schiacciata dal magnetismo e dalla bravura di Mortensen (uno che di trascorsi fangirlistici ne ha una marea!) e di Isaac.
Quello che personalmente mi ha dato il colpo di grazia è stato il mastodontico father issue che condisce il rapporto tra Chester e Rydal. Senza anticiparvi troppo, il giovane ha un rapporto tremendo col padre e sin dal primo incontro proietta la sua insoddisfazione di figlio sull’altro quasi fosse una figura paterna. Se già la differenza d’età non fosse stuzzicante per una accanita esponente del #TeamGerontofilia come chi vi parla, il shipping esplode quando tra un’ubriacatura e l’altra anche Chester sembra voler assumere questo ruolo paterno, senza per questo smettere di essere una carogna. Sul finale l’intera faccenda dà parecchie soddisfazioni. Peccato che il film sia così poco coinvolgente da non far esplodere il disperato urlo silenzioso della fangirl in incognito anche se sì, qualche soddisfazione la dà.