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tmr2Nuova settimana, nuovo adattamento young adult in arrivo nelle nostre sale cinematografiche. In attesa che una Jennifer Lawrence post scandalo fotografico torni a sbancare i botteghini (e, si spera, a chiudere l’ondata di film giovanili del 2014) nei panni di Katniss, a tentare la scalata verso un franchise di successo ci prova The Maze Runner, primo libro della saga (cinque libri all’attivo) pubblicata da James Dashner a partire dal 2009.
Dopo un paio di tentativi di proporre prodotti lievemente differenti, si torna sul sentiero ben collaudato del racconto survival con note fantascientifiche inserite in un mondo distopico i cui contorni sono misteri tutti da svelare. Il tutto però in chiave possibilistica, perché dal cast alla regia giù giù fino alla produzione è evidente che stavolta i soldi più che averceli in partenza si spera di farli strada facendo.

Già in questo articolo sottolineavo come la cifra stilistica più forte di questo adattamento fosse proprio quella di riunire dietro e davanti alla macchina da presa giovani talenti ancora tutti da mettere alla prova.
Sotto questo punto di vista il film è assolutamente riuscito, il che è già una grossa sorpresa. The Maze Runner ha come protagonista assoluto un giovane di nome Thomas, che si risveglia senza ricordi in una radura popolata da ragazzini e circondata da un labirinto colossale e popolato da creature notturne letali. Nonostante Thomas sia il protagonista indiscusso e il punto di vista dello spettatore su questa strana società autoregolata e talvolta brutale (il paragone più spesso scomodato è quello con “Il signore delle mosche”, anche se ben annacquato), un ruolo importante lo gioca il gruppo eterogeneo di ragazzi che consente la sopravvivenza del gruppo ed esplora il labirinto, alla ricerca di una via d’uscita.

Se Dylan O’Brien (fattosi notare in “Teen Wolf”) gestisce bene il classico estraneo e prescelto che piomba in un ordine prestabilito e finisce per sconvolgerlo, attorno a lui antagonisti e comprimari sono all’altezza della sfida, rendendo più digeribile e credibile l’interazione con il classico protagonista scassacazzo /so’ tutto io /sono il prescelto/ sono arrivato da 5 minuti ma ho già capito tutto. In tempi di social justice è importante sottolineare l’evidente sforzo di creare un cast variegato per etnie e sfumature dell’epidermide, anche se poi nei ruoli chiave troviamo, non a caso, tre caucasici. Se O’Brien e Will Poulter se la cavano bene con i due classici leader dalle polarità opposte e Ki Hong Lee riesce a ritagliarsi un po’ di visibilità, ci tengo a sottolineare che ancora una volta Thomas Brodie-Sangster (Jojen di “Game of Thrones”) riesce a donare una nota di sottile ambiguità e naturalezza a una pellicola che ne ha un gran bisogno.

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L’aspetto più riuscito del film è strettamente legato al nome dietro la macchina da presa: Wes Ball è all’esordio come regista ma è un art director d’esperienza con alle spalle parecchi film indie dalla resa visiva potenziata. Questo approccio visivo e scenografico ha giovato enormemente a un film in cui tra i protagonisti figura anche un elemento paesaggistico, quel labirinto la cui resa, dal design agli innesti tra CG e scenografie, è l’elemento più riuscito della pellicola. Il labirinto e il suo inserimento nella storia danno carattere al film, rendendolo distinguibile dai tanti concorrenti basati sulle medesime premesse.
Con grande saggezza, Ball punta sulla concretezza e sull’apparenza massiccia e imponente del labirinto in pietra, limitando al minimo l’apporto tecnologico e sfruttando le ombre colossali e gli intricati sistemi meccanici che ne cambiano i percorsi interni per tingere le sequenze ambientate al suo interno di tonalità teen horror.

Il grosso, enorme limite di The Maze Runner è la tempistica. Solo un paio di anni fa questo film avrebbe enormemente giovato di una trama allora inconsueta e sorprendente, ovvero l’effetto novità di cui godette Hunger Games. Invece “The Maze Runner” arriva tardi, troppo tardi, quando l’impostazione delle regole di un mondo distopico è ormai ampiamente standardizzata e, ancor peggio, la risoluzione dei misteri che lo regolano già meticolosamente esplorata. Chi sono i ragazzi della Raduna? Chi li ha messi lì e perché? Sono domande a cui il film non può sottrarsi e quando tenta di darvi risposta finisce per rovinare quanto di buono visto fino a quel punto, scegliendo motivazioni poco realistiche, risoluzioni che ricadono ampiamente nel territorio del cliché e uno dei più fastidiosi finali aperti degli ultimi mesi (nota: finale aperto a cui seguirà un secondo capitolo, già in corso di pre-produzione).

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Lo vado a vedere? The Maze Runner è sicuramente superiore agli ultimi young adult passati senza colpo ferire nelle sale italiane (Ender’s Game, The Giver, Resta anche domani), però il risultato complessivo tra elementi riusciti e passi falsi non riesce ad essere pienamente convincente. Il sequel potrebbe essere risolutivo in questo senso, peccato che il libro da cui è tratto sia considerato nettamente peggiore a quello in analisi.
Ci shippo qualcuno? Scusate, cosa pensate di fare in una radura popolata da ragazzini in piena età ormonale che vivono all’aria aperta e ballano attorno a falò estivi? Contando che l’unico personaggio femminile arriva a film inoltrato e ne passa una buona metà addormentato, direi che non rimane altro da fare che vederci cose. Il tutto ruota ovviamente attorno a Thomas (e già Dylan O’Brien grazie a Teen Wolf è un favorito di Tumblr), sia che vi piacciano i rapporti conflittuali, sia che vi piaccia un bel mix etnico, sia che, come me, troviate assolutamente irresistibile la zazzera bionda che sfoggia Thomas Brodie-Sangster, tutto impegnato a lanciare occhiate oblique e significative a tutto il cast mentre infila uno spiegone dietro l’altro.