Tag

, , , , , , , , ,

moon overMoon over Soho (Peter Grant series) di Ben Aaronovitch, Gollancz, 2011, 375 pp., 7,99 sterline.
Dopo un annetto e spicci, mantengo la promessa di tornare a parlarvi della serie letteraria dedicata al poliziotto londinese Peter Grant, complice l’atmosfera halloweeniana che ben si sposa con una Londra percorsa da maghi in divisa e creature orrorifiche. Moon over Soho è il secondo capitolo della saga di Aaronovitch, che sembra più che intenzionato a proseguire sulla strada lasciata intuire già dal primo volume, “I fiumi di Londra”: caso poliziesco autoconclusivo, trama orizzontale dedicata al Folly e ai maghi della Londra contemporanea che si sviluppa lentamente, volume dopo volume.
Il post è privo di spoiler ma se non conoscete la saga che ha portato Aaronovitch al successo internazionale forse è il caso di dare prima un’occhiata alla recensione del primo volume, Rivers of London, che contiene anche tutte le indicazioni sull’edizione italiana e la sua discutibile traduzione.

Moon over Soho è il volume più chiacchierato della serie, perciò ben prima di leggerlo mi ero fatta un’idea ben precisa di cosa mi sarei trovata di fronte e quale sarebbe stato il livello di gradimento come lettrice. Il secondo tomo infatti pare essere il meno amato della serie, soprattutto perché incentrato sull’universo jazz londinese, che costituisce un elemento importante della scia di omicidi su cui indaga il protagonista. Senza contare che il volume ha suscitato molte polemiche sia per la scarsa presenza di personaggi femminili sia per la loro rappresentazione, critiche a cui Aaronovitch ha risposto in maniera discutibile, finendo addirittura per scatenare la sua fanbase contro chi aveva posto la questione in termini critici ma sempre educati e pacati. Contrariamente alle mie aspettative, Moon over Soho mi è piaciuto molto, decisamente più di quanto mi aspettassi, nonostante le due questioni qui sopra siano piuttosto concrete e pongano delle problematiche non trascurabili sul futuro della serie.

Partendo dal jazz, è sì il perno attorno a cui ruota parte dell’indagine su una serie di delitti, ma nonostante io sia parecchio ignorante in materia musicale, non l’ho trovato pesante ed eccessivo, anzi, mi è sembrato un elemento inconsueto, fresco e ben amalgamato con il resto della narrazione. Bisogna poi sottolineare come Grant e Nightgale siano alle prese con due casi distinti: uno riguarda delle morti apparentemente naturali nel mondo dei jazzisti, sui cui cadaveri è però rivelabile un forte vestigium (la traccia personale lasciata da ogni creatura che utlizzi la magia sull’oggetto/soggetto del suo incantesimo), l’altra invece è una serie di macabri delitti che non ha nulla a che fare con il mondo della musica e delle quali sembrerebbe autore un mostro quasi mitologico: una vagina dentata. Il jazz è il filo rosso che percorre i vagabondaggi di Peter a Soho e permette ad Aaronovitch di approfondire la figura di suo padre (un ex trombettista jazz con problemi d’alcol) e il rapporto con sua famiglia, evolvendolo parecchio rispetto alla situazione iniziale.

My Dad says that being a Londoner has nothing to do with where you’re born. He says that there are people who get off a jumbo jet at Heathrow, go through immigration waving any kind of passport, hop on the tube and by the time the train’s pulled into Piccadilly Circus they’ve become a Londoner.

Non mancano però altri fili rossi da seguire: oltre ai due intricatissimi casi, che culminano a metà libro con una vera e propria moltitudine di cadaveri sparsi per Londra, ci sono novità sul passato di Nightgale e Molly, sulla difficile condizione fisica di Lesley e su tutto un nuovo tuffo dell’amatissima Londra e nella realtà della polizia londinese, con scorci sulle modalità investigative e sull’esperienza giornaliera del poliziotto medio sinceri, divertenti e molto not my division. L’unico tratto indigesto di una trama così ricca è la lentezza con cui si procede a svelare l’intreccio orizzontale. In questo volume compare per la prima volta quello che sembra essere il cattivo della serie, ma sia la sua entrata in scena sia quel poco che si sa di lui, urlano “sequeeeeel” in maniera un po’ troppo sfrontata.

Sulla questione femminile invece mi trovo più che d’accordo. Moon over Soho è un libro quantomeno problematico, che si salva in extremis, nell’ultimo manipolo di pagine. Per una persona come me, cresciuta a pane e saghe arturiane, la mancanza quasi assoluta di personaggi femminili in un libro non è a priori una condanna e non condivido parte delle critiche mosse a Ben Aaronovitch per come il suo ruspante, giovane protagonista valuti sempre sul piano dell’aspetto le donne che si trova ad incontrare durante le indagini. Tuttavia ho trovato assolutamente detestabile come Aaronovitch abbia messo in panchina l’unico personaggio femminile attivo e genuinamente intrigante tra i comprimari, Lesley, utilizzandola come escamotage per dare qua e là un’accelerata alle indagini di Peter Grant. Al suo posto ci sono sparute apparizioni di Stephanoupoulos (sempre descritta come un personaggio dai tratti fisici e caratteriali fortemente maschili) e della poliziotta ninja, al momento poco più di una collega gnocca. Il problema è proprio quello: Ben Aaronovitch al momento non sembra in grado di gestire un personaggio femminile rilevante senza che il suo tratto prevalente sia l’avvenenza.

moon over 2

In questo senso la protagonista di Moon over Soho è un personaggio odioso e insopportabile. Peter Grant conosce Simone mentre indaga su una delle “morti jazz” e ci finisce a letto, nonostante lei sia una testimone e una possibile sospettata. Simone è un personaggio odioso e non per i suoi modi zuccherosi e per come ci provi senza ritegno con Grant con il cadavere del fidanzato ancora tiepido, no, bensì perché Aaronovitch non le dà altra carta da giocare che la sua prorompente avvenenza, l’unico tratto ricorrente nelle sue apparizioni, salvo poi liberarsene quando questa smette di tornargli utile. Mossa ancora più detestabile perché ricalca quanto successo nel primo volume, salvo il fatto che Beverley Brook aveva dalla sua almeno l’utilizzo della magia e una psicologia un filo più complessa dell’inestinguibile sete di sesso.
Ironicamente, il personaggio femminile che Aaronovitch riesce a gestire meglio è quello forse più negativo di tutti, Cecilia Tyburn Thames, che si conferma ancora una volta l’unica a cui l’autore permetta di tener testa alla saccenteria del protagonista. #TeamTy
Grava poi sul romanzo questo non detto micidiale: perché tra tutti i maghi passati e presenti a Londra non c’è una sola donna? Com’è possibile che un poliziotto sveglio come Grant non abbia chiesto lumi in merito a Nightgale, assorbendo questo gigantesco non detto come del tutto naturale?

But London didn’t care. She never does when you leave her, because she know foe every one that leaves another two arrive. Besides, she was too busy painting nen lipstick and dolling herself up in red and gold.

Queste mancanze sono ancora più stridenti se confrontate con l’attenzione quasi paranoica con cui Aaronovitch ritrae la Londra contemporanea e multietnica. Su questo punto lo scrittore sembra impegnato in una vera crociata, con la maggioranza dei suoi protagonisti appartenenti a qualche minoranza e Nightgale costantemente rimproverato per bocca di Grant quando dice o fa cose troppo da bianco. Stavolta ho trovato questo tratto troppo marcato, primo perché ora sappiamo a quale epoca appartenga Nightgale e non è carino vederlo costantemente maltrattato da Grant (che nella risoluzione del caso si dimostra parimenti ipocrita ed egoista) nonostante i suoi sforzi nell’essere corretto verso un apprendista di colore che ha scelto sfidando il mondo magico, secondo perché quando l’autore consuma pagine su pagine per sostituire la dicitura black magic – magia nera – con ethically challenged magic, ignorando che il binomio bianco-nero ha valenze simboliche in tutte le culture che vanno ben oltre il problema del colore della pelle, beh, sembra un’esagerazione ingiustificata simile alle sparate della Tumblr social justice. Ok la cultural appropriation e il white washing, ma assillare il lettore così insistentemente su queste problematiche salvo poi trattare i personaggi femminili poco più che come bocconcini o carne da macello non è particolarmente coerente né gradevole.

ben aaronovitch

Lo leggo? Moon over Soho è l’avvincente secondo volume di una saga commerciale (nel senso positivo del termine) che punta all’intrattenimento del lettore con casi polizieschi articolati, una bellissima Londra percorsa dalla magia, segreti tutti da svelare e un paio di svolte parecchio pulp. Lo scopo di Aaronovitch è spingerci a leggerne (e acquistarne) di più e ci riesce perfettamente, nonostante il libro presenti qualche scelta quantomeno discutibile. Rimane per me un’ottima lettura estiva e anzi, ha rinnovato la voglia di procedere nella serie, magari anche più speditamente, sperando che le problematiche di cui vi parlavo rimangano un passo falso del secondo volume.
Ci shippo qualcuno? Purtroppo il mix dell’insistente, odiosissima presenza di Simone, l’insopportabile trattamento che Grant riserva a Nightgale e le sparute apparizioni di quest’ultimo rendono sotto questo aspetto il volume molto meno godibile rispetto al precendente.

NOTE

  • Dall’ultima volta che ne ho parlato, la serie ha raggiunto quota cinque volumi: Rivers of London, Moon over Soho, Whispers Underground, Broken Holmes e l’imminente Foxglove Summer. Inoltre l’autore è già al lavoro sul sesto libro, che dovrebbe intitolarsi The Hanging Tree.
  • Ho interpellato varie volte Fanucci per sapere se avessero intenzione di continuare o meno con la pubblicazione della serie (al momento ferma al primo volume in italiano); la risposta è stata abbastanza vaga ma possibilista.
  • Nel 2015 la serie di Ben Aaronovitch diventerà anche un fumetto, in attesa che qualcosa si sblocchi sul fronte televisivo.
  • Curiosità: l’autore ha rivelato che le vendite americane dei suoi romanzi sono insoddisfacenti, almeno per l’editore Del Rey, mentre in Germania vende circa 10 volte tanto, costituendo un caso editoriale del genere fantasy.
  • L’illustrazione di Peter Grant nell’articolo è stata commissionata da Aaronovitch all’illustratore Wayne Reynolds. La trovate nella sua interezza QUI.
  • Il blog e l’account twitter di Ben Aaronovitch
  • Lunedì 27 ottobre l’autore ha pubblicato sul suo blog un racconto breve dedicato ai giochi olimpici di Londra, 1948. [QUI]