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Adam Driver, Autocompiacimento registico, bianco e nero, Charlotte d'Amboise, fotografia leccatissima, Gardy consiglia, Grace Gummer, Greta Gerwig, Michael Esper, Michael Zegen, Mickey Sumner, New York, Noah Baumbach
Girato interamente in quel di New York quasi clandestinamente, in rapporto 1,85:1 e in bianco e nero, Frances Ha si qualifica al primo sguardo come una pellicola indie fatta e finita, con speranze pressoché nulle di sfondare al botteghino italiano. Questo però non giustifica una ricorsa di quasi due anni della sottoscritta, che peraltro a differenza di molti di voi vive nei pressi di una delle città più cinematograficamente ricche di sale nell’intera penisola. Eppure questo piccolo film di cui si è parlato tantissimo tra i cinefili e che è entrato in molte top 10 del 2012 sono riuscita a recuperarlo appena una settimana fa, proiettato per un unico giorno in quel di Milano, in una rassegna chiamata “Rivediamoli” ma che di fatto costitutiva il primo e unico passaggio milanese di questo film, certamente di nicchia ma meritevole di una programmazione meno affrettata.
Frances Ha è un film davvero intenso, memorabile. Se ne scrivo con tanto ritardo è principalmente perché ci tengo che anche voi conosciate questo piccolo titolo e gli diate una possibilità. Diretto da Noah Baumbach che l’ha coscritto con la compagna Greta Gerwig, Frances Ha ridefinisce il concetto stesso di film casalingo, girato ed interpretato facendo leva su una serie di conoscenze nel giro dei giovani attori newyorkesi, da cui qualcuno è già riuscito a passare nella fascia più mainstream (vedi Adam Driver).
Nonostante mezzi e forze coinvolti richiamino alle piccole produzioni americane fighette che si incontrano puntualmente al Sundance, Frances Ha è un film dall’identità così forte e dal risultato così strambo e riuscito da finire per essere riconducibile solo a un filone, quello dei film artistici di qualità che tempo un paio di anni ed entrano nel catalogo della Criterion Collection.
Frances Ha è una commedia romantica incentrata sulla vita della 27enne Frances, una ballerina in precaria situazione affittuaria e affettiva che si ritrova improvvisamente senza un alloggio e senza un lavoro sicuro a New York. La pellicola ruota letteralmente attorno a Frances, costantemente sullo schermo, sia che si relazioni con gli amici sia che piroetti spensierata per le strade della Grande Mela. Stramba, disordinata emotivamente e materialmente, dolce e vagamente irresponsabile, la protagonista assoluta del film è uno di quei personaggi capace di entrarti nel cuore e di farti soffrire con lei delle meschinità banali di cui è continuo oggetto da parte di coloro che dovrebbero essere i suoi legami affettivi nella metropoli, a partire da Sophie. L’intera vicenda è messa in moto proprio dalla migliore amica di Frances (interpretata da un’irriconoscibile Mickey Sumner), che condivide con la protagonista un rapporto così profondo da sfiorare l’amore platonico o, come dice Frances “una coppia di vecchie lesbiche che non fanno più sesso da anni”.
Nonostante l’ironia e il surrealismo newyorkese siano parte della vita di Frances tanto quanto quella dei suoi sbandatissimi amici, l’abbandono improvviso di Sophie per andare in un nuovo appartamento lascia la protagonista in una situazione precaria affettivamente ancor più che economicamente. Mentre il film ricorre suggestioni musicali e visive da novelle vogue e il bianco e nero in risoluzione moderna dona alla vicenda un’intensa malinconia ma anche un’allure senza tempo, il pubblico si strugge con Frances, incapace di dare una direzione precisa alla sua vita, spaventata dalle decisioni e dai compromessi della vita adulta non più rinviabili eppure ancora protagonista di colpi di testa irrazionali, di affrontare il domani senza mai scoraggiarsi, senza mai perdere la sua positività e la sua dolcezza, ma soprattutto non soccombendo quasi mai alla rassegnazione e al risentimento, anche quando il mondo sembra voltarle le spalle e correre in avanti, lasciandola sola.
Quella di Frances è un’altra epica della gioventù americana contemporanea, qualcosa tra Lena Dunham e un Woody Allen d’annata meno cinico. Pur partendo da quella precarietà economica e da quella confusione emotiva, da quella che qualcuno chiamerebbe mancanza di spina dorsale (o quantomeno capacità decisionale), il film riesce ad essere esuberante, divertente e sognante grazie alla stupenda interpretazione di Greta Gerwig, che assieme a Brie Larson rimane una delle attrici più promettenti e capaci delle nuove leve americane. Frances Ha però si spinge oltre il ritratto sterile e devastato di una generazione che sostituisce cinismo e cultura pop a un piano per il futuro preciso. Niente è facile per Frances ma quello che non viene mai meno è quel suo proiettarsi sempre in avanti, anche quando il futuro sembra tutto meno che invitante, rifiutandosi di tradire i propri sentimenti, di rimanere con i piedi per terra e arrendersi alla consuetudine.
Lo recupero? Non fatevi spaventare dal genere indie e dal formato inconsueto. Se c’è un film che sa parlare al cuore delle persone, oltre a quello dei cinefili, è proprio Frances Ha, bello. Diretto, complesso e poliedrico senza perdere mai di vista il proprio obiettivo, questo piccolo film è per giunta cinematografico all’ennesima potenza, capace di raccontare la contemporaneità ma senza perdere il gusto di farlo su grande schermo, con lo stile veloce e sfavillante di Noah Baumbach. Se poi per situazione sentimentale, generazionale e lavorativa siete vicini alla protagonista, allora saprà colpirvi ancor più nel profondo. Frances Ha è una divertente commedia romantica newyorkese con uno sguardo alla Woody Allen, un’intensità cinematografica senza tempo da novelle vogue e il polso della contemporaneità sempre sotto osservazione. Se ciò non bastasse, Frances è quel tipo di personaggio forse impossibile da redimere, ma di cui ci si innamora in un battito di ciglia.
Ci shippo qualcuno? Dal 2012 ad oggi ho visto poche relazioni su schermo romantiche e palpitanti quanto quella sui generis di Sophie e Frances.
- QUI trovate una lunga intervista a Greta Gerwig realizzata proprio dai fantastici ragazzi della Criterion e resa pubblica da VICE.