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Cannes, Cannes 2014, Chloë Grace Moretz, fotografia leccatissima, Johnny Flynn, Juliette Binoche, Kristen Stewart, lesbo en passant, lesbofilm, Olivier Assayas, riprese di paesaggi commissionate dall'Ufficio Turismo, se capisce e non se capisce
Avevo già addocchiato questo film durante il suo passaggio a Cannes 2014, non tanto per il riscontro della stampa, quanto piuttosto perché chi come me sente il bisogno d’indulgere di tanto in tanto in film a tematica lesbica (supposta, suggerita, piaciona, romantica, drammatica, piangerona, PESO, fanservice o chiaramente indirizzato a un pubblico maschile) deve per forza di cose rimanere sempre vigile. Se amate i film da slasher impenitenti e pensate che la cinematografia vi trascuri, provate a cercare quelli che io chiamo lesbofilm. Le alternative sono tre: darsi al porno, scavare negli esordi delle attrici già affermate (quando sono meno schizzinose in fatto di ruoli) o rimanere sempre all’erta per intercettare quelle due, tre uscite all’anno che vale la pena recuperare.
Capite la mia parziale delusione quando, spinta dall’insistente chiacchericcio sulla componente lesbo di Clouds of Sils Maria, in sala mi sono ritrovata a vedere un film autoriale vagamente PESO che parla di tutto (teatro, vecchiaia, lesbismo, amore, morte). Parla e basta.
Non che mi aspettassi sexy cat fight o che esiga rotolamenti di giovani sudate tra le lenzuola per uscire veramente soddisfatta dalla sala. Considerate che uno dei miei film preferiti del filone (e in assoluto) è Mulholland Drive, che vanta un bacetto a stampo e una scena di masturbazione, eppure è un capolavoro. Mi sarebbe andato benissimo anche un bel film tutto giocato sull’ambiguità, con accenni lievissimi (eppure cruciali) nel rapporto tra le protagoniste. Ecco, “Sils Maria” è esattamente questo tipo di film, trasformato inspiegabilmente dalla stampa in qualcosa dal profumo di pruriginosità, senza che nemmeno il trailer lavori troppo in questo senso.
Sarà stato il taglio cortissimo che sfoggia Juliette Binoche o l’aura da tom boy impenitente ormai inseparabile dalla figura di Kristen Stewart, o semplicemente la voglia di aumentare i click per la recensione di un film autoriale altrimenti invendibile? Non saprei, però come sempre una mia teoria ce l’ho. Per esporla però devo far partire un bel
…flashback!
Olivier Assayas è uno sceneggiatore e regista che ha già avuto modo in passato di lavorare con la talentuosa Juliette Binoche in una serie di film scarsamente memorabili. A ben vedere entrambi vantano una fama poco relazionabile all’effettivo numero di lavori davvero di qualità in cui sono riusciti a infilarsi. Durante uno dei loro progetti comuni la Binoche abbozza quella che sarebbe poi diventata la trama principale del film, uno strano miscuglio di elementi autobiografici, riflessioni metaletterarie e un impulso artistoide insopprimibile. Assayas ci pensa un po’ su, forse non gli viene nessuna idea migliore e sviluppa lo script mentre l’ufficio turismo della Svizzera gli fornisce qualche soldino e un setting spettacolare che regala uno scenario naturale perfetto a una storia ambigua e piena di presagi.
Va da sé che l’attrice ormai vicina alla vecchiaia che lotta contro l’accettazione di questa realtà sarà colei che ha ispirato il personaggio e che forse sta provando gli stessi sentimenti di Maria Enders, geniale attrice teatrale che esordì interpretando Sigrid, la maliziosa giovane che inganna e seduce una donna matura e ora si ritrova ad accettare d’interpretare Helena, la sedotta e abbandonata.
In fase di casting però avviene la piccola magia che cambia le sorti del film. Per la parte della nuova Sigrid viene ingaggiata Chloë Grace Moretz e in quella dell’assistente di Maria e coprotagonista del film viene scelta Kristen Stewart. Il film è molto ambizioso e tenta di essere estremamente artistico: di fatto si tratta di un metafilm sull’opera teatrale al centro della vicenda. Le vere protagoniste non sono le attrici o l’assistente, bensì i personaggi di Helena e Sigrid: Maria e le due giovani ragazze non fanno che parlare, parlare e parlare dell’ambigua piece “Majola’s snake”, ne recitano interi spezzoni, descrivono come questo o quel passaggio le fa sentire, ne osservano i bellissimi paesaggi* in loco. Il contenuto di questi dialoghi è risibile, ma il risultato collaterale è quello su cui punta il film: attraverso le interpretazioni che dà ogni personaggio di Sigrid ed Helena, lo spettatore intuisce l’essenza del personaggio stesso. La piece teatrale è incentrata sul tema della perdizione e della disperazione causata dall’inesorabile avanzata del tempo, ma pian piano queste pagine colonizzano così tanto il film che a sua volta le tre protagoniste diventano artificiali, involucri meta che forniscono tre risposte diverse all’inesorabile baratro che è il pensiero della morte.
E le lesbiche? direte voi. L’opera teatrale narra di una passione omoerotica e questo sottotesto impregna di un dubbio già la carriera di Maria, che a inizio film ci tiene a precisare che non è mai stata lesbica. Liquidiamo velocemente Chloë Grace Moretz, ormai intrappolata in una carriera imbarazzante e in un type casting che la obbliga ad essere sempre la giovane sfrontata e amabilmente sgradevole. Ci eravamo innamorati del suo talento, ma qui appare sfocata, ripetitiva, tanto che il dubbio sorge in maniera preoccupante: saprebbe recitare un ruolo che non sia questo?
Mai avrei pensato di dirlo, ma la salvatrice del film è Kristen Stewart, l’impacciata ragazza trasformatasi in una tom boy adulta e consapevole, ampiamente sottolineata dalle scelte di guardaroba, trucco e parrucco del film. La Stewart si cala con naturalezza nel ruolo ma soprattutto quando è in scena sfodera una chimica innegabile con la Binoche, una fisicità estremamente realistica e quasi da presa diretta sugli eventi. La chimica tra Binoche e Stewart, l’ambuiguita del loro rapporto e il perenne non detto sono i veri punti di forza del film.
Tuttavia Sils Maria è solo un buon film, e nemmeno un film per tutti. L’idea alla base è intrigante e anche il continuo curiosare nel dietro le quinte della vita delle celebrità è sempre stuzzicante. Il problema è la struttura e il ritmo impressi al film dal lavoro di Assayas, assolutamente non all’altezza di un progetto tanto ambizioso. Il libro è rozzamente diviso in tre capitoli le cui cesure sono poco chiare, al contrario della consapevolezza di una sceneggiatura che costruisce le svolte narrative in modo dolorosamente lento ed evidente. Solo sul finale c’è un fluire di elementi e colpi di scena ben ritmati, ma per arrivarci è tutto un faticoso inerpicarsi di indizi mal disposti e scelte artistiche fin troppo ambiziose per le capacità di Assayas.
Lo vado a vedere? Sils Maria è un buon film il cui numero degli spunti equivale quello delle pecche. Se l’idea di vedere interagire Binoche e Stewart sul filo dell’ambiguità vi piace, provatelo, ma vi avverto: siamo in pieno territorio con pretese artistiche, sempre se capisce e non se capisce, spesso un filo PESO. Se volete il sottotesto ma non vi ispira il genere, provate a scorrere la tag lesbofilm in cerca di qualcosa di più adatto alle vostre esigenze. Se invece vi piacciono i film pretenziosi e meta fino all’eccesso, la vostra ricerca finisce qui.
Ci shippo qualcuno? Questo è uno di quei post in cui la risposta è il post stesso.
Il finale di Cloud of Sils Maria: ovviamente [SPOILER] non ero ancora uscita dalla sala e già sapevo che la Rete si sarebbe popolata di persone alla ricerca disperata di qualcuno che facesse chiarezza sul finale, per cui eccoci qui.
Il finale del film è volutamente ambiguo: Valentine scompare nel nulla e Maria non fa mai riferimento alla vicenda. Morta, scappata, scomparsa sulle cime di Sils Maria? Il film vuole che diate voi la risposta perché nel dare la risposta finirete anche voi per posizionarvi nel Team Sigrid o Team Helena, che poi è proprio il punto di tutta la storia.
Vi fornisco la mia personale interpretazione, vediamo cosa ne ricaverete sul conto della sottoscritta: prima di scomparire Valentine accenna al fatto che non viene mai detto nell’opera teatrale che Helene si suicida, che si tratta solo dell’interpretazione più popolare dell’ambiguo finale. Helene scompare e secondo Valentine potrebbe cambiare vita, per scappare dai debiti e da Sigrid. Personalmente ritengo che il punto non sia che fine ha fatto Valentine (un personaggio artificiale quanto Sigrid ed Helena stesse) ma bensì cosa ci dice di lei la sua surreale uscita di scena, identica a quella di Helena. A mio parere il messaggio del film è che Maria ha ben ragione a non riuscire a calarsi nei panni di Helena, a desiderare di interpretare Sigrid adulta, perché è quello che è. Il film divide il mondo in Sigrid ed Helena, capaci di manipolare ed essere manipolate, ma non di passare all’altro schieramento in campo amoroso.
Valentine è un Helena, perciò capisce, comprende e ama Helena e subisce il controllo di una Sigrid in età ormai avanzata, eppure capace di manipolarla. La sua uscita di scena è l’unica per lei possibile, quella di Helena. Maria invece è il personaggio che deve ancora scoprire come comportarsi, cosa fare, perché è ancora Sigrid nonostante le condizioni fisiche e sociali non le permettano più di esserlo e la morte dell’autore gli impedisca di avere un copione prestabilito da seguire, da imitare nella propria vita.
*Nel film ha un ruolo molto importante un fenomeno meteorologico chiamato “serpente di Majola”. Talvolta si formano delle nubi sul lato italiano della catena montuosa e poi s’introducono velocemente nella vallata di Mojola, che sembra quasi percorsa dallo strisciare di un serpente di nuvole. Secondo gli abitanti il serpente è simbolo di nefasti presagi. Il film sfrutta in maniera poco smaliziata quest’intrigante parallelo, ma le immagini del fenomeno incluse nella pellicola sono spettacolari, davvero suggestive.