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vert ITALIANO MEDIO 3 bMarcello Macchia non è certo il primo comico italiano a intraprendere la strada del cinema e delle locandine terrificanti, ma è un esordio in veste doppia di regista e protagonista che si attendeva da molto, anche al di fuori dalla sua cerchia di fan.
I suoi precedenti lavori (i trailer per Mai dire, la serie tv per Mtv Mario), oltre che ad essere dei cult assoluti per i cultori del genere, rendono ben più coerente del solito l’idea che alla regia e al montaggio di questo film ci stia il comico, dato che si è fatto le ossa con una videocamera regalata da adolescente e notti passate a montare i primi cortometraggi girati con gli amici.

Italiano Medio è un successo e un fallimento artistico nella misura in cui lo si misura sul suo creatore, un comico lontano dallo standard italiano, uno capace di anticipare l’avvento degli Honest Trailer quando la comicità su Youtube era ancora una landa inesplorata.
Nell’odissea del suo alter ego Giulio Verme, sdoppiato in una versione iper responsabile, ambientalista e in una cafonazza da basso popolino Marcello Macchia si affida al suo format consolidato di gag linguistiche, nonsense e grottesco, tentando però di fare alla storia un respiro più cinematografico. Talvolta l’impresa riesce, soprattutto nell’impostazione di una storia che a un certo punto smette di ruotare intorno a lui e si focalizza con una certa brutalità sul mondo in cui Giulio, Marcello e tutti noi viviamo, non risparmiandoci nessuno dei suoi orrori e rifiutando nettamente di rassicurare.
Talvolta però il meccanismo s’inceppa, rendendo il film un buon primo tentativo che purtroppo non replica l’esordio fulminante e sotto alcuni aspetti davvero raffinato del Maccio in versione seriale. L’impressione è che a Macchia sia stato chiesto di fare qualche concessione in direzione del cinema italiano comico che tutti conosciamo (con le immancabili gag sulle scoregge che lui stesso ridicolizzava in Natale al Cesso) e di ammorbidire un po’ quel taglio disperato e pessimista che ha permesso a tanti suoi tormentoni di rimanere nel tempo, perché sintesi perfetta di battute memorabili e critiche alla società moderna.

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La soluzione trovata da Maccio è quella di una storia in cui ad essere preso di mira è contemporaneamente l’altissimo e il bassissimo, il socialmente impegnato e il personalismo più gretto, fino a ridurli all’espressione di un’unica società, quella italiana. Per non spaventare il pubblico più interessato a Maccio che a Marcello, avvolge quest’ottimo spunto in una serie continua di rimandi, citazioni, veri e propri easter egg che ripercorrono tutta la sua carriera e fanno la gioia dell’appassionato, che ride il doppio: sia per la battuta normale sia per la felicità di rivedere su grande schermo i contenuti più amanti di tanti indimenticabili spezzoni visti in tv o sul web.

L’altro limite evidente è quello produttivo, che a ben vedere non è nemmeno così pezzente ma sicuramente a livello visivo non esprime appieno una qualità cinematografica. I soldi non sono poi tantissimi e alcune scelte languono per mancanza di comparse o scenografie, ma tutto sommato in passato si è visto ben di peggio.
Sul cast invece voglio andare contro corrente, perché trovo che nel mondo già cristallizzato di Capatonda continuino a funzionare di più i ruoli ormai consolidati di amici del regista conosciuti con i loro pseudonimi (in particolare Herbert Ballerina è versatile e in un paio di situazioni davvero salvifico per far riprendere ritmo al film) rispetto agli innesti attoriali di questa pellicola, mal assortiti visivamente (dato che una delle cifre stilistiche di Macchia è quella di arruolare fisionomie e corpi che in genere nei media non ci arrivano mai) e non sempre a proprio agio con le controparti macciocapatondiane.

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Lo vado a vedere? Si ride e si ride grassamente se negli anni avete incluso nel vostro repertorio espressioni figlie dei lavori di Marcello Macchia. Avrei preferito che quella risata terribile generata dal paradosso di ridere su qualcosa che ti disgusta della tua stessa vita fosse più ricorrente rispetto alla risatina imbarazzata su quanto non avrei mai voluto vedere nel repertorio di Maccio Capatonda. Con tutti i suoi difetti, speravo che il risultato si avvicinasse di più al film di Boris (che vi dico: più lo rivedo e più diventa per me è un piccolo capolavoro di cattiveria italiana).
Ci shippo qualcuno? Non direi, però fate conto che vi stia facendo l’elenco di tutto quello che nei prossimi anni citeremo a ripetizione.