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adolescenti problematici, Angelina Jolie, Azzurritudine, biopic, c'e' anche un po' d'Italia, Deve far male!, film dal fronte, Jack O'Connell, Joel e Ethan Coen, l'addominale prende aria, Miyavi, momento patriottico bandiera inclusa, omoaffettività, Oscar 2015, Oscars, ritratto di relazioni umane prima che lavorative, Roger Deakins, spara spara ci stanno massacrando, tratto da una storia di poco falsa
Angelina Jolie non è certo l’unica attrice famosa che sta tentando il salto dietro la macchina da presa (anche se è un vezzo solitamente più tollerato ai colleghi maschi), ma bisogna riconoscerle che al secondo tentativo non lascia davvero nulla d’intentato.
Dopo In the Land of Blood and Honey persiste nel genere di guerra, ma con un squadra tale che fa sorgere il malizioso sospetto che a lei non rimanga poi molto da fare oltre che apporre la sua firma. Non dopo che i fratelli Coen ti sistemano l’ennesima sceneggiatura tratta da una storia vera e Roger Deakins cura la fotografica delle tue ambizioni registiche.
Data la notevole lunghezza e la ricchezza di tematiche affrontate, non è semplicissimo dare un parere generale su Unbroken, un film che condensa in sé tante linee narrative ed eventi drammatici che si sarebbero potuti realizzare almeno un paio di lungometraggi con lo stesso materiale.
Sicuramente non si può negare all’italoamericano Louis Zamperini di aver vissuto una vita ricca di spunti per il tanto inflazionato genere biopic: adolescente problematico salvato dallo sport, atleta olimpico, soldato americano sul fronte, naufrago nell’oceano, prigioniero di un pazzo sadico, costretto ai lavori forzati.
Invece di scremare o riassumere le sventure di guerra di Zamperini, il film si butta a capofitto nelle stesse, creando un lunghissimo scorcio sulle sofferenze del suo protagonista, finendo per somigliare a un dettagliato resoconto di un martirio laico. Da ragazzo scapestrato Zamperini compie un’incredibile parabola che urla qui c’è un MESSAGGIO!, passando dall’essere un atleta che si allena per i giochi olimpici tra un campo di battaglia e l’altro al diventare uno dei naufraghi più rassicuranti della storia marina tutta. Certo tutto si può imputare ad Angelina Jolie tranne che di non avere gran gusto in fatto di bellezza maschile: se l’azzurritudine degli occhi del protagonista Jack O’Connell aiuta a superare i momenti più lenti del film, nell’esercito americano versione Jolie è oggettivamente impossibile trovare un commilitone che sia men che un fusto. Realismo 0 – Fangirlismo 1.
Tanto che quando la parabola di Louis assume contorni biblici e i messaggi e i simboli diventano quasi cristiani, chi è il sadico tentatore che tormenta il bel protagonista? Un soldato giapponese che non ha ottenuto l’avanzamento di carriera che tutti si aspettavano e ha sviluppato perversioni e ossessioni imprevedibili, che riversa puntualmente con raro sadismo sul nostro. L’uccello, così come soprannominato dai prigionieri americani, non manca di una certa eleganza e di un rapporto ambiguo e sempre più stretto col protagonista. Il fatto che poi lo interpreti Takamasa Ishihara, noto oltre i confini Giapponesi per essere un cantante dal bell’aspetto e dal raro inglese comprensibile (Miyavi > Rinko Kikuchi > Ken Watanabe), alimenta il sospetto che la Jolie sotto i suoi messaggi di pace e fratellanza sia una fangirl. Jolie una di noi.
Se il film avesse insistito sul lato più sensuale e sul forte sentimento tra commilitoni paradossalmente il risultato finale sarebbe stato migliore. Unbroken non è un brutto film, anzi, la regia della Jolie, pur classica, non manca di una certa ricercatezza. Inoltre non mancano incendi e ghiaccio, ovvero le due ambientazioni climatiche che Roger Deakins ha trasformato in un vero e proprio marchio di fabbrica e da cui, al solito, anche qui strappa un paio di scene dalla fotografia memorabile.
Il problema è che il film è tutto sbilanciato sul messaggio da dare, insistito, retorico, onnipresente, capace di pervadere ogni pertugio della narrazione, sicuro di poterci convincere di un paio di posizioni che spiegano la presentazione a Papa Francesco e che non stonerebbero nell’intervista a una Miss Italia. Allo spettatore non viene mostrato nulla senza inserirci un messaggio perentorio dentro, svilendo un’ottima fattura perché non si è mai davvero concentrati sul linguaggio cinematografico, quando su la forte istanza che si vuole consegnare al pubblico, senza lasciargli la possibilità di cavarci le proprie conclusioni.
Lo vado a vedere? Francamente io mi aspettavo ben di peggio, ma si poteva comunque fare molto di meglio, soprattutto considerando i nomi coinvolti. Considerando il ben di Dio che sta uscendo in questi giorni e la durata biblica, date precedenza ad altro…
Ci shippo qualcuno?…a meno che non siate fangirl con un debole per la divisa, allora dovete proprio recuperare questa uscita della Jolie tutta fusti tra loro sempre solidali e sottili perversioni giapponesi che creano rapporti di dipendenza stile Sindrome di Stoccolma. Punizioni fisiche da yaoi, gemiti e tutto il comparto io non mi fido di nessuno tranne di te, perché tu sei il mio più caro amico, no aspetta che ti torturo mentre di guardo languido, la presenza di una vecchia conoscenza potteriana come Domhnall Gleeson e del dio del visual Miyavi. Aggiungeteci che nel film tutti i commilitoni bellocci hanno un debole per Louis, e beh, direi che è il caso di scomodare…
C’è anche un po’ d’Italia – la madre di Louis non sa l’inglese e ci sono notevoli intermezzi parlati in italiano all’inizio del film, dove il protagonista viene additato come un mangia spaghetti. E forse c’è un po’ di verità in tutto ciò se in punto di morte da disidratazione in mezzo all’oceano ai compagni naufraghi racconta il miracolo degli gnocchi di sua madre.
Ma sai che guardando il solo trailer mi sono detta “Ma quanta roba ci sta in questo film?” da Momenti di gloria a Merry Christmas Mr. Lawrence, da the fighter a un’altra decina di film, insomma mi ha dato l’impressione di un contenitore zeppo di rimembranze. Troppe forse. Non vorrei sbilanciarmi senza averlo visto, ma davvero temo che ci sia dentro troppo di “già visto”, scusami il tremendo giro di parole. E se poi mi dici che è retorico quanto basta/temo, allora mi sa che per ora lo lascio da parte. E comunque quel “Jolie una di noi” mi ha fatto morire X°D
A volte ricorda altri film, ma non più della media dei biopic. Più che altro dà l’idea di focalizzarsi su un episodio per molto tempo, quando finisce pensi che il film si chiuda e ZAC! parte un altro episodio. Per due ore e venti! XD
Io ormai leggo le tue recensioni PRIMA di vedere i film, per sapere cosa valga la pena notare al cinema.
E comunque #JolieUnaDiNoi
Ps: non era la sindrome di Stoccolma?
Questo è il complimento migliore che potessi ricevere e mi riempie di orgoglio e responsabilità.
D’altronde sento in me il forte dovere civico di dirvi cosa si riesce a shippare e cosa no: se non lo faccio io, chi ci penserà?
Errrrr, è evidente che a furia di fare dentro e fuori da sale e proiezioni straparlo, o strascrivo, a seconda della modalità.