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Anne Fontaine, è così francese!, delicate palette cromatiche, fa molto Francia, Fabrice Luchini, Gemma Arterton, gente figa, Jason Flemyng, Mel Raido, Niels Schneider, voice over molesto
Non ho mai fatto mistero della mia adorazione per Gemma Arterton, la bellissima attrice inglese che negli anni ha provato quanto troppa avvenenza possa essere deleteria per chi abbia aspirazioni professionali che vadano oltre l’apparire. Pur essendo uno dei film più gradevoli della sua più recente filmografia, anche Gemma Bovery si inserisce in questo filone, quello che sfrutta la notevole presenza scenica della Arterton come corpo e volto, per farne un’icona, un oggetto del desiderio, al pari di una moderna Brigitte Bardot.
Adattamento filmico di una graphic novel di Posy Simmonds pubblicata a puntate sul Guardian, Gemma Bovery è l’ultimo film della regista francese Anne Fontaine, una commedia ambientata nella pittoresca Normandia dove si scontrano due tipi di snobismo: quello dei parigini intellettuali di sinistra scappati dalla capitale e quello delle ricche coppiette inglesi affascinate dalla natura e gastronomia autoctona.
Fabrice Luchini interpreta Martin, un professore universitario fuggito dal caos di Parigi per tornare nella nativa Normandia a fare il pane come suo padre e a godersi la tranquillità agreste da borghese di sinistra, con moglie e figlio.
La sua serenità però viene sconvolta quando da accanito lettore di Flaubert si ritrova per vicini di casa una coppia inglese (lei decoratrice d’interni, lui restauratore) che di cognome fa Bovery. Bellissima, vagamente insoddisfatta e sempre impossibilmente sensuale, Gemma entra nei sogni di Martin, che più che fantasticare sulle sue forme diventa voyeur della sua liaison clandestina con il giovane Hervé (il bel Niels Schneider, attore feticcio di Xavier Dolan).
Il film di Anne Fontaine unisce un’ironia inequivocabilmente francese sui ricchi borghesi autoctoni e importati a un andamento ondivago, che spaesa lo spettatore e lo fa arriva a fine film meno colpito di quanto ci si aspetterebbe dagli eventi del finale. D’altronde la regista francese non ha mai regalato al pubblico una pellicola che convincesse davvero, limitandosi ad inanellare una serie di ritratti francesi gradevoli nell’esposizione ma facilmente dimenticabili.
Il selling point del film è indubbiamente composto dal duo di protagonisti. Da sincera ammiratrice delle sue forme e del suo talento, spiace vedere ancora una volta la povera Gemma Arterton limitarsi a fare l’oggetto del desiderio flaubertiano della situazione, senza una vera e propria personalità, declinata dallo sguardo di ora questo e ora quell’uomo che la desidera o delle donne che la invidiano, ora come novella Emma Bovery, ora come bomba sexy, ora come mogliettina adorabile. Un destino a cui l’attrice sembra poter scappare in un unico modo: invecchiando.
Anche come corpo splendido poi la Arterton qui è sinceramente sprecata. Per esempio Tamara Drewe – il film di Frears tratto da un’altra graphic novel che ironizzava sul buen retiro nella campagna inglese per scrittori – è nettamente migliore di questo, nonostante lì lo sfruttamento del fascino della Arterton fosse molto, molto più esplicito. Dai, chi non ricorda l’esposiva scena della staccionata con protagonista il lato b della suddetta? Il salto di qualità però era di trasformare la carne desiderabile di Tamara, ex bruttina tornata nel paesino natale a gettar scompiglio, nel contenitore di un vero e proprio personaggio, capace di dimostrare l’esistenza dell’attrice dentro il cropo della lentiginosa dea giunonica inglese. Sforzo che Gemma Bovery, piazzandola in abitini frou frou e impermeabili sexy (una citazione di Quantum of Solace?) non sembra proprio voler affrontare.
Lo vado a vedere? Solo per gemmofili e francofili, specie abbastanza rara in Italia. Gemma, noi tifiamo sempre e comunque per te.
Ci shippo qualcuno? No, ma ho molto apprezzato la presenza di Schneider, se capite cosa intendo. Mettiamogliela ‘sta foto nel profilo Imdb!