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Alba Rohrwacher, Berlinale, Berlinale 65, Bill Condon, Dane DeHaan, film PESO, Jayro Bustamante, Kenneth Branagh, olga, Patricio Guzmán, Radu Jude, vincitore di premio a forma di qualcosa di un metallo solitamente dorato
Si è chiusa ieri l’edizione numero 65 della Berlinale. Per la legge di Murphy l’anno in cui ho potuto dedicare solo una porzionale minima della mia attenzione giornaliera a quel che succedeva alla Berlinale 65 (Sanremo e le uscite degli Oscar, difficile trovare una settimana altrettanto densa) segna un ritorno a un livello qualitativo dignitoso della kermesse, soprattutto per quanto riguarda il concorso principale.
A seguire trovate la mia solita, breve selezione delle pellicole di cui si è parlato meglio, che hanno attirato la mia attenzione e che sarebbe bello poter vedere anche nei cinema italiani prima del 2020.
Ovviamente il manifesto come di consueto è abbastanza terribile e odio profondamente chiunque non abbia pubblicato uno straccio di locandina del suo film sfasandomi la scansione grafica del post.
Se volete dare un’occhiata a cosa è successo un anno fa QUI (oppure nella sezione Essential, in alto).
EL CLUB
Il film di questa Berlinale, quello che da subito è diventato il vincitore morale, sconfitto solo da una scelta politica figlia della potente lobby cinematografica iraniana. Di Una separazione se ne fa uno ogni decennio, ma dato che Teheran osteggia i suoi registi loro possono scippare Lorrain e il Cile del riconoscimento che inseguono da anni, in nome di una decisione politica che non mette il cinema al centro. Che nervi!
Detto questo, pur non essendo una folle sostenitrice di No – i giorni dell’arcobaleno (bellissimo e paraculissimo) non vedo l’ora di vedere El Club, una pellicola ironica, cupa, piena di tensione, che parla di preti pedofili. BOOM! Più precisamente di un gruppo di preti pedofili che vive in una sorta di esilio naturale sulle sperdute coste cilene con una suora, la cui vita è ben lontana dal pentimento e dalla preghiera. Impedibile e voglio dirlo adesso: se Cannes e Venezia non trovano niente di clamoroso, l’anno prossimo è Oscar come miglior film in lingua straniera. L’ho detto.
45 YEARS
Il filone geriatrico festivaliero dopo Amour e Nebraska è più vivo che mai (pun intenteded) e Andrew Haigh pare averne tirato fuori l’ennesimo filmone (che almeno ha la decenza di avere una locandina) . Charlotte Rampling e Tom Courtenay sono una coppia rodata di mezza età che si prepara a festeggiare il 45esimo anniversario di matrimonio, quando viene ritrovato in Svizzera il corpo imprigionato nel ghiaccio di una sua vecchia fiamma di lui, scomparsa nel periodo precedente al matrimonio. Sconvolti e incapaci di affrontare apertamente questa crisi, aumenta la tensione per via dell’amore e della gelosia mai scemate nei riguardi della donna scomparsa anni prima. Posso sentire da qui il PESO, ma d’altronde stiamo sempre parlando di Berlino. Pare che la Rampling e Courtenay abbiano eclissato tutti i giovani della Berlinale, per cui largo alla gerontofilia e attendiamo pazienti.
AFERIM!
Il western rumeno di Radu Jude che:
1-ha la locandina, bravo!
2- è piaciuto alla quasi totalità dei giornalisti che non lo hanno snobbato.
Riguardo a questa pellicola non sono esattamente impaziente perché non è proprio il mio genere d’elezione, ma l’ambientazione è così inconsueta (Europa centrale, 1835) per una storia così rodata (due cavallerizzi che cercano uno schiavo fuggito e incontrano una marea di gente per strada) che un po’ di curiosità me la genera a prescindere.
Comunque sembra piuttosto divertente e ben realizzato, quindi perché no?
CINDERELLA
In tanti rimpiangono il primo Kenneth Branagh tutto Shakespeare e autorialità, ma sua declinazione mitologico favolistica sta facendo faville anche nel cinema commerciale e io sono molto contenta di leggere che la sua Cenerentola live action sia piaciuta così tanto. Questo gioco ormai lanciatissimo nella Casa del Topo con risultati molto deludenti stavolta funziona proprio perché fa vivere la tradizione tirandone fuori la potenza e la bellezza senza tempo, senza affidarsi alla facile ironia o allo stravolgimento della storia per stupire e svecchiare.
Se ne è parlato un gran bene, costumi e scenografie (Dante Ferretti alert!) sono mirabolanti, la Blanchett sarà sicuramente fantasmagorica, ma anche la Collins e Robb Stark sono adorabili. Non vedo l’ora!
THE PEARL BUTTON
Ovviamente non può mancare un rappresentante del genere documentaristico, specie se è sempre accompagnato da lodi e dall’aggettivo “particolarissimo” che ricorre in buona parte delle recensioni.
Il cileno Patricio Guzmán firma questo viaggio nell’oceano che accarezza la lunghissima costa cilena, con l’intento di restituire le voci che l’oceano ha imprigionato a partire dalla creazione del pianeta e la formazione delle terre, fino all’arrivo degli indigeni e dei conquistatori europei.
Al centro c’è il mistero dei bottoni di perla che vengono spesso rinvenuti sul suo fondale.
Detta così sembra una puntata speciale di Cosmos, il che non fa che deporre a favore di questo film, che tuttavia non pare avere chance concrete di arrivare da noi.
Ixcanul
Il giovane regista Jayro Bustamante è il nome che gli addetti ai lavori consigliano di tenere d’occhio per i prossimi anni.
Tornato in Guatemala e riavvicinatosi alla cultura dei Kaqchikel Maya (i discendenti del popolo decimato dai conquistadores), Bustamante ne ha ricavato un film che non presenta una cultura altra, ma sviluppa al suo interno una storia vivida e straniante.
María ha diciassette anni e vive alle pendici di un vulcano, lavorando alla locale piantagione di caffé. Il suo desiderio di vedere il mondo oltre la montagna è tanto grande da abbandonare il promesso sposo e sedurre un lavoratore intenzionato a lasciarsi dietro la piantagione, salvo poi lasciarsi alle spalle solo la protagonista, sedotta e abbandonata. Costretta a tornare indietro, María riscopre sotto una nuova luce i riti della sua cultura millenaria. Deve essere davvero qualcosa d’insolito.
KNIGHT OF CUPS
Cosa faremmo senza il nostro Malick annuale? Io smetterei di avere gli incubi con Olga Kurylenko che fa piroette nei campi di grano per tre quarti di to the Wonder, per dire.
Knight of Cups lo inserisco giusto perché arriverà entro breve anche da noi, ma nessuno si è strappato i capelli per l’ennesimo soliloquio della voce fuori campo di un protagonista (bianco e 30enne) fagocitato alle logiche di Hollywood a cui l’eterea donna che piroetta accanto a lui servirà per ritrovare un senso più profondo nella propria esistenza. Protagonisti Christian Bale e Natalie Portman, il resto è un grosso sbadiglio.
MR HOLMES
Questo invece è stato liquidato come Ian McKellen che interpreta un anziano Sherlock Holmes apicoltore in quello che è poco più di un film TV.
Basato sul romanzo di Mitch Cullin “A Slight Trick of the Mind” e ambientato nel 1947, per me McKellen che interpreta un 93enne Sherlock impegnato a badare alle sue api e a pensare con nostalgia ai casi passati è più che sufficiente, soprattutto se poi va al cinema a vedere i film di cui è protagonista e scuote la testa sconsolato per il mito che è diventato.
Un buon film TV diretto da Bill Condon non è il massimo della vita, certo, ma a volte è sufficiente.
UNDER ELECTRIC CLOUDS
Finalmente un mastodontico film russo super PESO a confermare e rinfrancare la nomea di questo festival!
Alexey German Jr. firma una pellicola che non è piaciuta proprio a tutti ma che ha il merito di raccontare al resto del mondo cosa sia la Russia, intesa come territorio e come popolo, e dove si stia dirigendo avendo lasciato dietro di sé un passato sicuro e glorioso per un futuro piuttosto incerto e sinistro.
Film episodico che da quel poco che ho capito non brilla certo per ritmo, quanto piuttosto per il lirismo delle immagini. Decisamente non per tutti, ma gli estimatori del genere e della cinematografia russa probabilmente vi troveranno il degno successore del fortunato Leviathan.
VERGINE GIURATA
Siamo finalmente arrivati al momento del c’è anche un po’ d’Italia, che potremmo tranquillamente sostituire con c’è anche un po’ di Alba. Ridendo e scherzando Alba Rohrwacher si è passata Cannes, Venezia e Berlino, raccogliendo ogni volta unanimi consensi circa il suo talento. Manca il premio serio per lanciarla sul piano internazionale, ma sicuramente il suo è un nome già conosciuto nel circuito festivaliero, che ha giovato al film di Lara Biscuri.
Hana è una giovane albanese che per sfuggire a una vita di moglie e serva s’inizia al un antico voto di castità: in cambio della sua sessualità e femminilità, potrà vivere da uomo e godersi la propria libertà. Dopo anni di reclusione nella natura albanese però la ragazza vive una crisi spirituale e parte alla volta di Milano, dove vive la sorella. Per essere un film italiano è parecchio allettante e poi Alba è la Mia Wasikovska di noialtri.
LIFE
Se ne è parlato pochissimo e pare che il biopic sul giovane James Dean non abbia scaldato i cuori, ma il fatto che a interpretarlo sia il sempre più altero Dane DeHaan e che la pellicola del raffinato Anton Corbijn ruoti tutt’attorno a un’amicizia maschile di piccoli gesti e grandi complicità per me è più che sufficiente, specie se stiamo parlando di DeHann. Insomma, non è che io abbia bisogno di un motivo veramente forte per deliziarvi con la foto qui sotto, no no.
Lo so che l’articolo è lungo e parla di tante cose interessanti ma… McKellen che fa Holmes! Parole che da sole dovrebbero mettere Guy Ritchie in un angoletto a piangere lacrime di pentimento. Che importa se sembra un film TV? McKellen che fa Holmes!
Ognuno ha le sue priorità, è per quello che esiste questa lista, però a me lo Sherlock di Guy Ritchie piace moltissimo!
Quanto sono “fuori” per aver letto il sempre più etero Dane DeHaan (inteso ovviamente in senso ironico)?
Ricordiamo che la nostra zazzera bionda preferita è tipo felicemente sposato da anni. In ogni caso, king of drama queens!