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Causa diretta podcast su Gamesurf, purtroppo quest’anno non sono riuscita a coprire con un bel live blogging estenuante la cerimonia di premiazione degli Oscar 2015. Tuttavia per i morigerati e i lungimiranti che hanno preferito il sonno ristoratore al glamour hollywoodiano, ho preparato un compendio del meglio e del peggio di quanto successo ieri notte, quando Hollywood ha proclamato vincitori e vinti del 2014 cinematografico.
Prima che vi lamentiate per il ritardo, lasciatemi sottolineare che è un riassunto / compendio gif incluse.
Il red carpet è più omogeneo del solito: sfilano completi con giacche dal taglio Tom Ford declinato in vari colori per lui (bianco per Cumberbatch e il cast di Grand Budapest, qualcuno osa il rosso borgogna di D&G raggiungendo il pieno effetto mimetico, la maggior parte si affida al nero o al blu, come Eddie Redmayne) e una parata di vestiti bianchi, neri o rossi per lei. In pochissime si scostano da questa rigida palette prestabilita. Cose memorabili poche, ma anche pochi orrori da segnalare.
Riceviamo e segnaliamo la crisi conflittuale tra madre e figlia dodicenne che si respira tra Melanie Griffith e Dakota Johnson (che azzecca una delle mise migliori della serata). Subito un film disney in cui sono madre e figlia, amiche nemiche.
Lady Gaga sforna il fashion statement della serata: pur avendo scelto una mise molto sobria e abbastanza condivisibile, i suoi guanti rossi da donna delle pulizie riempiono Internet di meme ancor prima che cominci la cerimonia.
Innanzitutto parliamo della conduzione di Neil Patrick Harris: gli ascolti sono in flessione e riflettono una serata prevedibile, poco ritmata e senza grosse sorprese di conduzione. Il bilancio migliore della serata l’ha dato in diretta David Oyelowo, interpellato dallo stesso Harris.
A rubargli la scena c’è persino un redivivo Jack Black (ridatecelo!), che con un paio di battute ben più scorrette (ma mai critiche come quelle di Harris) fa subito rimpiangere tutta la platea e il pubblico del fatto che non sia lui a condurre a serata.
Seguiranno numerosi momenti di rimpianto e sconforto in nottata, soprattutto considerando che quest’edizione ha sforato di quasi un’ora sulla tabella di marcia, finendo alle sei e dieci ora italiana. Chi non l’avrebbe voluto al comando?
A parte Anna Kendrick, intendo.
L’unico momento memorabile della conduzione è stata la parodia dello smutandamento di Michael Keaton in Birdman, scelta che non può che lasciare che lasciare tiepido il pubblico italiano, già abituato da precursori del genere con le performance d’annata di Albertini e Morandi.
La serata è partita subito con il momento c’è anche un po’ d’Italia e per fortuna nostra e di Vincenzo Mollica (e anticipando una serata in cui molti pronostici si sarebbero rivelati fallaci) la riservatissima Milena Canonero ha vinto il suo quarto Oscar come miglior costumista dell’anno per gli abiti di scena del film di Wes Anderson, che ha saputo racimolare molte statuette nelle categorie minori.
Nel lacrimevole spezzone del ricordo dei defunti in memoriam però si sono dimenticati un grande pezzo d’Italia cinematografica, il regista Francesco Rosi. Ok che c’era Virna Lisi ma che imbarazzo
Scarlett Johansson fresca di parto è semplicemente perfetta. Una delle pochissime ad osare il colore, si presenta con un ciuffo biondo e una rasatura ai lati che possono sembrare eleganti solo su una come lei. Vincenzo Mollica entra in modalità così pervertita che nel sunto del giorno successivo parla di lei per mezzo minuto buono. Stoica, affronta anche la prova più ardua: il bacetto di John Travolta.
Se siete convinti che Travolta abbia raggiunto la vetta creepy toccando il ventre della Johansson forse non dovrei dirvi che c’è stato un round numero due tra Travolta e Idina Mendel, dopo il primo, catastrofico tentativo dell’attore di pronunciare il nome della cantante l’anno scorso. Stavolta il nome l’ha pronunciato giusto, peccato che per farlo le abbia afferrato il mento in maniera piuttosto invasiva e sgraziata, confermando che non ha la più pallida idea di cosa sia lo spazio personale delle femmine che si aggirano attorno a lui. Brrrrr.
Grazie al suo volto sempre più rifatto e inquietante però è arrivato uno dei migliori tweet della serata.
Purtroppo Benedict Cumberbatch non ha avuto modo di deliziarci con un acceptance speech, ma non ha mancato il suo appuntamento con la gif, proprio ad inizio serata, proponendo la sua soluzione per sopravvivere alle lunghissime ore di diretta.
Continuando a parlare di alcolismo, come da pronostico l’oscar per il miglior film straniero se l’è portato a casa la Polonia. Il regista di Ida Pawel Pawlikowski non si è fatto mettere i piedi in testa dall’orchestra che tentava di sfumarlo con la musica e gli ha parlato addosso, invitando collaboratori e connazionali a bere per festeggiare.
Il momento della rabbia e della vergogna arriva con l’Oscar per il miglior corto e lungometraggio d’animazione. Ancora una volta la Disney fa cappotto con il mediocre Big Hero 6 e il suo corto Feast, ancora una volta Dreamworks e soprattutto LAIKA vengono sistematicamente snobbati. Mi affido al reaction shot d’annata di Charlize Theron per comunicarvi il mio sdegno.
La parte musicale dello show l’ha fatta da padrona. Era dei tempi di Blame Canada con il compianto Robin Williams che un’esibizione si rivelava così in linea con il film e frizzante. D’altronde c’erano Tegan e Sara e i Lonely Island (quelli di hit demenziali micidiali come YOLO, Cool Guys don’t look at the explosions, Motherfucker, Jack Sparrow) sul palco.
Momento gadget inestimabile della serata: alcuni ballerini Emmett vestiti durante l’esibizione regalano degli Oscar di lego agli astanti, tra lo stupore e la gioia generale di chi ne riceve uno.
Emma Stone, per esempio, non ha mollato il suo Oscar di Lego per un secondo, evidentemente in piena trance amorosa da collezionista.
Nemmeno nel party a conclusione della serata.
John Legend, che poi l’Oscar in questa categoria se lo è portato a casa come da pronostico, si affida ad un’esibizione molto più classica, con tanto di ponte di Selma e figuranti in posa epica marciante.
Vale comunque la pena darci un’occhiata, se non altro per vedere mezza Hollywood in lacrime. Non sto esagerando.
Piangerone contro il razzismo.
Prima che sopraggiunga il colpo di sonno finale, i pianificatori del carrozzone risvegliano le platee con un gran bel colpo. Per i 50 anni dall’uscita di The Sound of Music una sobrissima Lady Gaga canta in una foresta di betulle un medley dei brani più celebri del film.
Lady Gaga era l’unico nome spendibile per una performance del genere, cult amatissimo dal mondo omosessuale e dalle famiglie, con pezzi stracult e un filo kitsch che nascondono l’insidia di un confronto difficilissimo con la purezza vocale di Julie Andrews. Lei ci crede, è emozionata, partecipe e soprattutto bravissima: se anche in passato aveva realizzato performance memorabili, qui a ricordato a tutti che oltre i guanti e la chioma grigiastra c’è una voce potente, che può stare al centro della scena senza tanti effetti speciali. Ovviamente sul gran finale un filo di teatralità se l’è anche concessa, ma andava a chiudere un trionfo.
Ha sorpreso tutti puntando solo su quella e sull’evidente affezione per il film e ha vinto: performance strepitosa, standing ovation e carrambata finale con Julie Andrews che esce (e il mondo che molla urletti estasiati), abbraccia una Gaga in lacrime e la consacra con un inglesissimo thank you my dear. It warmed my heart. It really did!. Il gotha delle icone omosessuali suggella con un abbraccio un patto che distruggerà qualsiasi tentativo eterosessualizzante per il resto della serata (e se volete risentire per bene la performance, io non vi ho detto nulla ma QUI).
Ed eccoci finalmente agli acceptance speech, il momento delle lacrime, delle paraculate e dei saluti alla mamma. Ne spiccano due in particolare. Il primo è quello di Patricia Arquette, vincitrice della statuetta come miglior attrice non protagonista e vestita da un’amica d’infanzia diventata stilista.
Dopo i ringraziamenti di rito, fa il primo accenno politico della serata, sottolineando la disparità di stipendi tra uomini e donne. Meryl Streep e JLo approvano entusiaste ed è subito storia delle reaction gif.
Eddie Redmayne è il vero fulmine a ciel sereno della serata. Birdman stava vincendo tutto e Michael Keaton aveva già il foglietto coi ringraziamenti in mano e il sorriso sornione e la masticata sicura di chi si aspetta di vincere…
…almeno fino a quando il giovane inglese dimostra che bisogna avere il gatto nel sacco prima di gongolare. Mentre la regia risparmia lo strazio del reaction shot dicapriano ma si intravede Keaton che, livido, ripone il foglietto in tasca (uno dei momenti più strazianti della serata) Eddie Redmayne va in corto circuito emotivo e comincia ad agitarsi, frignare e dire una serie di cose molto pucciose, rimanendo probabilmente marchiato a vita per questo sfogo emozionale.
Ma tipo che proprio era fuori di sé e con un livello di pucciosità al 400% e ha sfiorato il colpo apoplettico (cosa in cui forse Keaton ha sperato).
L’equilibro mentale non è andato migliorando nel dopo premiazione e sono piovute pucciosità varie.
La delusione di Michael Keaton è così papale che Alejandro González Iñárritu, al terzo Oscar della serata, gli cede brevemente il microfono. Il nostro in poche parole di grande onestà condensa il miglior acceptance speech di acceptance la sconfitta di sempre.
Poi Iñárritu risponde piccato a una battuta non brillantissima di Sean Penn sulle sue origini ricordando che l’America è innanzitutto terra di migranti e sperando che anche i migranti messicani vengano veramente accettati nella nazione americana in un futuro vicino.
Infine sostiene di indossare le mutande di Keaton durante la sequenza della corsa seminudo per New York, sostenendo che gli abbiano portato fortuna. Complimenti a Keaton per non aver tentato di strappargliele seduta stante.
Julianne Moore invece ha sostanzialmente passato tutta la serata a gongolare.
J.K. Simmons invece ha tentato di rassicurare tutti i presenti con sorrisi dolcissimi e discorsi molto sensati, ma è difficile cancellare l’impressione che possa distruggerci psicologicamente quando vuole, perciò quando ha esortato il pubblico ha fare una telefonata ai genitori per sentire la loro voce, saranno di certo partite molte telefonate.
When I was 16 years old, I tried to kill myself because I felt weird and I felt different and I felt like I did not belong. And now I’m standing here.
Momento lacrimone e rilevazione shock per Graham Moore, sceneggiatore di The Imitation Game che esorta: “stay weird, sta different”. La vittoria arriva un po’ a sorpresa, ma non è niente di fronte alla sua candida e appassionata ammissione di aver tentato il suicidio quando aveva 16 anni.
Fun fact: anche nel 2015 non è mancato l’inciampo della Jennifer di turno sul palco degli Oscar. La goffaggine di Jennifer Lawrence comunque è mancata a tutti tantissimo.
Ovviamente non è una cerimonia seria senza il selfie di rito: stavolta se ne è fatto carico Bradley Cooper.
certo che il povero Michael Keaton un Oscar se lo sarebbe meritato.
Per il resto sono contento per gli Oscar alla Arquette, a J.K Simmons e ovviamente per quello della Canonero.
Bellissimo resoconto, mi ha divertito molto e di certo è stato più frizzante della serata “oscarosa”. Una cosa però mi ha sconvolto, nella prima gif di Emma Stone che si tiene stretto l’oscar di lego: ma quel vecchietto che spunta dietro di lei è Norton?! Non si conserva bene -__- Facezie a parte, posso dire che mi fa tanto, ma tanto piacere l’oscar a Julianne Moore? Adoro la sua faccia, mi piace proprio tanto.
Julianne Moore è molto amata dentro e fuori l’Academy. ^-^
Purtroppo la cerimonia degli Oscar raramente si può definire “frizzante”, anche se ha sempre i suoi momenti