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blacksea01Il mondo dei sottomarini cinematografici ha regole a se stanti, lontane dalla realtà militare: la prima e la più importante prescrive che non appena s’immergerà il veicolo in questione, sia ad Honolulu, nell’Artico o, come in questo caso, nel Mar Nero, succederanno casini tali da mettere in pericolo l’intero equipaggio e far disperare per la sopravvivenza dei virili marinai a bordo. L’esplosione a bordo mentre si è sott’acqua poi è praticamente irrinunciabile.
A queste e ad altre convenzioni del genere non sembra proprio volersi sottrarre Black Sea, l’ultima prova di Kevin MacDonald, impegnatissimo nel restituire l’ambiente claustrofobico, sporco, malsano sia a livello fisico che psicologico, dove il marinaio accanto a te può essere la tua salvezza o il tuo aguzzino.
Prima che qualcuno cominci a ricordare i fasti di Caccia a Ottobre Rosso, ci tengo a precisare che “Black Sea” è un film tutto sommato gradevole, tutto sommato vedibile, ma che non aggiunge davvero nulla a quanto il cinema ci abbia già raccontato dai fondali dei mari.

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Anzi, se uno volesse trovare un colpevole principale a questa pellicola solida ma poco brillante e mortalmente prevedibile, dovrebbe additare lo sceneggiatore Dennis Kelly (al suo esordio cinematografico) piuttosto che Kevin MacDonald.
Il regista, pur lontano dai fasti de L’ultimo Re di Scozia, il suo onesto lavoro lo fa, anzi, ci mette ben più del minimo sindacale. La pellicola è stata girata per buona parte a bordo di un vero sottomarino russo dell’epoca, simile al rottame che Jude Law riesce a ottenere per andare in cerca dell’oro perduto dei nazisti (come potevano mancare all’appello i nazisti?).
Si poteva ricostruire tutto in studio e affidarsi a luci ed effetti speciali, invece gli attori raccontano con dovizia di particolari l’odore stantio, gli escrementi degli animali e le difficoltà di recitazione in ambienti stretti e pieni di strumenti di ripresa. Anche le riprese della lunga scena “palombara” sono una prova notevole e hanno impegnato gli attori coinvolti per settimane in una grande vasca ai Pinewood Studios.
Ultimo fattore, forse secondario ma sicuramente indice della volontà di dare un certo realismo alla vicenda: l’equipaggio di Jude Law è equamente diviso tra inglesi e russi. Questi ultimi sono interpretati da attori russi di prima fascia, con all’attivo qualche pellicola importante anche a livello internazionale, non da inglesi biondi con gli occhi azzurri e un accento un filo straniero.

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L’altro aspetto interessante della pellicola è il contesto in cui l’impresa suicida di Robinson parte: quello dei portuali, dei marinai rimasti senza lavoro, con volti segnati da rughe, fatica e troppe bevute, con mani callose e un risentimento generale verso il capitalismo che li ha messi da parte.
Questa bella piattaforma di partenza però viene completamente vanificata dalla prevedibilità dei messaggi e delle svolte della sceneggiatura di Dennis Kelly, in cui non mancano l’attacco al bancario malvagio, il sentimento di rivalsa della classe operaia, senza trascurare i riflessi dorati dei lingotti sui volti degli attori e le psicosi generate dal prezioso metallo. Il resto è un susseguirsi di inconvenienti, tradimenti, svolte e colpi di scena ampiamente prevedibili.
A salvare la baracca ci pensa Jude Law in versione operaia, sempre più convincente nei ruoli più disparati, lontani dal classico seduttore britannico in chiave positiva e negativa. Ero già rimasta impressionata dalla sua prova cupa in Anna Karenina e anche qui Law non delude, nonostante il suo ruolo scada più di una volta in quella retorica da talk show sulla crisi che morde da tv generalista.

Black Sea
Lo vado a vedere? Un buon film da vedersi una sera in tv, vale il viaggio al cinema solo per i fan del genere, i nostalgici dei veri uomini su grande schermo e le appassionate di Jude Law.
Ci shippo qualcuno? Appena Jude Law prende sotto la sua ala protettiva il giovane di bordo, siete autorizzati a pensar male.