Tag
Autocompiacimento registico, Cannes, Cannes 2014, Clara Wettergren, delicate palette cromatiche, dramma familiare obbligatorio, fotografia leccatissima, in Svezia c'e' la neve, Johannes Kuhnke, Karin Myrenberg, Lisa Loven Kongsli, Psicologia e Psicosi, Ruben Östlund, Vincent Wettergren
La vera forza di un festival cinematografico non sta tanto nell’offerta della blasonata, seguitissima sezione principale del concorso, quanto nella capacità di mantenere altissima la qualità dei prodotti nelle sezioni collaterali, fondamentali vivai per gli autori di domani. Il fatto che l’anno scorso sulla Croisette potessero permettersi di mettere l’ultimo film dello svedese Ruben Östlund “solo” nella sezione Un Certain Regard la dice lunga sullo straordinario stato di salute della kermesse francese.
E Forza Maggiore quella sezione così amata dei cinefili più esigenti l’ha vinta, portandosi a casa il gran premio della giuria, una nomination ai Golden Globes e consacrando il suo sceneggiatore e regista svedese come uno degli nuovi autori più interessanti a livello europeo.
Alpi svizzere, una stazione sciistica elegante e ottimamente gestita: una famiglia svedese da cartolina (lui e lei giovani, belli e innamorati, due bimbi adorabili al seguito, tute da sci all’ultima moda appena stropicciate da una sottile spensieratezza vacanziera) pranza sulla terrazza di un bel ristorante del luogo. Lontano, il rimbombo dei cannoni da neve che lavorano costantemente per offrire piste sempre in condizioni ottimali. Improvvisamente una valanga controllata si stacca dal fianco della montagna: tanto controllata non è e finisce per travolgere la terrazza. E qui, con un colpo di genio, il film svolta: Ebba (Lisa Loven Kongsli) in un gesto istintivo fa da scudo col suo corpo ai bambini invece il marito Tomas (Johannes Kuhnke) afferra il cellulare e fugge via.
La valanga però si rivela essere poco più di una spruzzata di neve, sotto cui emerge una tensione già percepibile dall’inizio del film: Ebba e Tomas si ritrovano a dover affrontare apertamente la fine della finzione con cui controllavano la valanga di incomprensioni, fraintendimenti e ripicche su cui è costruita di fatto la loro unione. Una dolorosa e tagliente dissezione del tentativo di superare l’impasse, con le mosse e le manipolazioni di lei e di lui per imporre all’altro l’equilibrio artificiale fino ad allora adottato, che finirà per coinvolgere altre coppie presenti nell’albergo, con cupa ironia e chirurgica precisione.
L’unico vero dubbio che suscita Force Majeure è se Ruben Östlund sia migliore in veste di sceneggiatore o regista, perché il suo film è praticamente perfetto. Lo spunto iniziale è fantastico, ma quanti film partendo dalle medesime premesse sono finiti malissimo? Il suo nuovo lavoro invece è sostenuto da una sceneggiatura capace di costruire il suo climax a poco a poco e di capitalizzarlo al massimo, senza dare un messaggio, senza schierarsi da una parte o dall’altra, ma accompagnando i tentativi di suturazione di una ferita incapace di rimarginarsi.
Gli attori sono tutti all’altezza e il fatto che i loro volti qui in Italia siano sostanzialmente sconosciuti aumenta l’effetto realistico di una pellicola che in realtà è tutto tranne che istintiva e spontanea: ogni scena è controllata fin nei minimi dettagli, con una supervisione maniacale di ogni più piccolo aspetto, a partire da quello cromatico, senza mai essere scontati o stucchevoli (indizio: tenete d’occhio i colori delle tute dei protagonisti, poi riguardatevi la locandina e pensate alle contrapposizioni del film).
Di più, sul totale di quanto narrato dal film, un buon terzo viene espresso o suggerito visivamente, sfruttando in maniera autorevole e autoriale quello che dovrebbe essere il linguaggio principale del cinema: l’immagine e il movimento. Fin qui parliamo di un ottimo regista, evidentemente versato a livello autoriale. Il guizzo che non ti aspetti però è nel tono che decide di dare alla storia: lontanissimo dai drammi urlati che queste premesse suggerirebbero a tanto cinema (italiano e non), Forza Maggiore è più vicino ad essere una commedia nera che un film drammatico, perché se indaga così a fondo da toccare alcuni nervi scoperti del nostro costrutto sociale è vero che non si nega mai un passaggio capace di strapparti una risata, anche se a denti stretti.
Ciliegina sulla torta, l’ambientazione nella località sciistica, efficacissima nel suo ritrarre l’innaturalezza delle relazioni umane che ospita. Le riprese della montagna rigidamente controllata dagli impianti e dai cannoni, quasi assediata dall’artificiale tranquillità programmata e imposta dall’essere umano, sono superbe. Una manciata di minuti che spingono la critica dal piano familiare a quello sociale, sottolineando l’estremo bisogno contemporaneo di controllare, contenere e governare, fino a cambiare la natura stessa dei luoghi e delle persone, costrette a vivere sotto l’assedio permanente di un costrutto perennemente sul punto di crollare.
Lo vado a vedere? Un grande grazie a Teodora Film che porta questa pellicola irrinunciabile per ogni cinefilo che si rispetti in Italia, anche se con un annetto di ritardo. Da vedere.
Ci shippo qualcuno? Non sono così sicura di no, però la coppia di lui con la barba e lei piccola e tenera era di un’adorabilità ingovernabile.