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entou2Prima di Netflix, Amazon e dei binge watching, la rivoluzione televisiva l’aveva messa a segno un canale via cavo il cui logo non sintonizzato prima di ogni puntata è diventato parte della colonna sonora degli anni ’90. Oltre ad aver firmato alcune delle serie entrate nel pantheon televisivo per l’eternità, in quegli anni HBO ha piazzato parecchi colpi anche sulla fascia più commerciale, entrando nell’immaginario culturale di un’epoca. Dato che da quelle parti non sono fessi, dopo il successo di Sex & the City si devono essere detti: “ma se abbiamo conquistato milioni di donne nel mondo proponendo una versione un filo irrealistica del mondo che venisse incontro ai loro desideri di adulte sentimentalmente insoddisfatte, non potremmo fare la stessa cosa con l’altra metà del mercato?”
Così mi piace pensare che sia nato Entourage, il titolo con cui tappare la bocca a chiunque derida il pubblico femminile per le sue stucchevoli fantasie sentimentali.

Seguendo le orme della sorella maggiore, Entourage è sbarcato al botteghino, con una versione rafforzata del squadra che vince non si cambia. Insomma, il film, dopo aver assolto con una comoda intervista tv a spiegare chi-come-dove-cosa ai neofiti, procede a quello che è un lungo episodio della serie, che ripropone tutti i motivi classici che l’hanno accompagnata: il tira e molla sentimentale tra Eric e Sloan, Vince che vuole fare un film sì no sì e poi è un grande successo, la tequila Avion, Ari che tenta di mantenere la calma e fallisce con grande successo per le tasche di tutti, Drama che viene perculato dall’universo mondo, problemi che non sono tali e vengono risolti con uno schioccare di dita. L’unica grande novità è che Turtle non è più grasso.

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Il tutto ambientato nella versione alternativa della Los Angeles in cui la serie da sempre si sviluppa, quella in cui vige un embargo perenne contro le ragazze meno che strafighe e su qualsiasi etnia che non sia caucasica (dove Llyod da solo sostiene la quota non bianca dell’intero film), nessuno sembra superare mai i 50 anni e le malattie veneree hanno la consistenza delle scie chimiche.

Bisogna riconoscere a Doug Ellin il fatto suo: se da sempre la serie non si contraddistingue certo per una profondità psicologica (cosa che la rende riassumibile in 5 minuti ad inizio film) c’è anche da dire che è immediatamente, facilmente fruibile anche a chi non ne sappia davvero nulla a riguardo. Il fatto che il film sia al 90% una sua creatura però (sceneggiatura, storia, regia e parte della produzione li ha curati il creatore della serie) tende a far virare il lungometraggio verso i lidi in cui si era incagliato nelle ultime stagioni, dove al centro non c’era più una visione ingenua e ipersemplicistica della scalata verso il successo di un attore belloccio, bensì l’ottica bros forever con pericolose derive che farebbero applaudire gli attivisti dei men rights. Con la differenza che il bros before hoes (gli amici prima della gnocca) che questo movimento vorrebbe incarnare nel film dura fino a che non entra in scena una donna particolarmente attraente. Nessuno però se la prende davvero: tutti ammettono candidamente che avrebbero fatto lo stesso, dato che comunque, come sempre, i problemi sono facilmente risolvibili, giusto in tempo per una bel party pieno di ragazze.

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Lo vado a vedere? I fan della serie ultima maniera sono il target della pellicola, insieme a quelli che interpretano questa visione di Los Angeles come un mondo utopistico. A ognuno il suo cinemozioni5. Ricordatevelo però quando vorrete fare i superiori parlando del prossimo 50 sfumature.
Ci shippo qualcuno? Macché, siamo in un mondo in cui i gay sono *adorabili*, ma solo a patto che accettino di sembrare delle checche isteriche asiatiche.