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adolescenti problematici, cinema d'animazione, Gualtiero Cannarsi, Hiromasa Yonebayashi, nessuno mi capisce, omoaffettività, Studio Ghibli
Anche dopo l’addio nominale di Hayao Miyazaki allo Studio Ghibli, che tanto ha fatto penare gli estimatori dell’animazione e temere la fine della casa d’animazione stessa, la sua grande influenza rimane sostanzialmente invariata sul primo film della seconda era, in tutto e per tutto una pellicola di assestamento e transizione.
Come spiegarsi altrimenti d’adattamento del celebre romanzo inglese per ragazzi del 1967 When Marnie was there di Joan G. Robinson, segnalato a suo tempo dallo stesso maestro nella lista dei cinquanta libri da lui raccomandati o una squadra di lavoro ripescata dai collaboratori storici del celebre regista?
Hiromasa Yonebayashi si è preso sulle spalle l’enorme responsabilità di dare avvio alla seconda fase e ha deciso di farlo in continuità con i temi e l’approccio che ha reso lo Studio Ghibli un punto di riferimento mondiale nel mondo dell’animazione. Per rompere con il passato e innovare ci sarà tempo in futuro.
Quando c’era Marnie è un film che più tradizionale non si può, dove il livello tecnico e artistico medio alto vive di un’omogeneità tale da non consentire mai un picco qualitativo o una scena particolarmente memorabile. In particolare il character design dei personaggi e le musiche sembrano manovre di routine effettuate con il pilota automatico, tanto sembrano figlie dello studio più che dell’identità singola del regista ora al comando.
Questo non vuol dire che Marnie sia un film mediocre, anche se è sicuramente inferiore agli ultimi lavori dello studio e ai capolavori di un tempo. Quello che gli manca in originalità e innovazione infatti lo compensa ampiamente sul campo della solidità e della coerenza, campi in cui hanno peccato spesso i film Ghibli degli ultimi anni.
Qui invece si rimane ampiamente sotto le due ore, senza affrettarsi o appesantirsi, facendo una perfetta economia del tempo a disposizione, versante su cui La storia della principessa splendente era davvero sfuggito di mano.
È sotto il versante dell’adattamento letterario però che Quando c’era Marnie rivela un netto passo in avanti dello studio Ghibli. La scelta apparentemente poco coraggiosa di Hiromasa Yonebayashi di rimanere molto fedele alla fonte originale, prendendosi come unica libertà l’ambientazione giapponese, rende il film nettamente più coerente dei recenti tentativi andati a vuoto di I Racconti di Terramare e Il castello errante di Howl, la cui smodata ambizione di rimaneggiare profondamente i contenuti ha creato film dal respiro meraviglioso ma dalla fastidiosa incoerenza, con punte di vero e proprio nonsense.
Affidandosi alle atmosfere e alle emozioni del piccolo classico di Joan G. Robinson invece il regista regala alla pellicola una storia di affetti familiari, sottili incomprensioni e atmosfere misteriose all’altezza del passato, confezionando un film completamente al servizio del sottile mistero che attraversa quella che a tratti sembra una storia di fantasmi o un racconto di sensazione: chi è Marnie, la bella signorina occidentale che appare misteriosamente nella villa vicino all’acquitrino e fa amicizia con Anna? Alla protagonista Anna invece è affidato il lato più moderno e più adolescenziale della storia, il classico coming of age adolescenziale alla Miyazaki, con un nodo di incomprensioni interno che si scioglie lentamente, una manciata di comprimari classicamente caratterizzati e un approccio soffuso e gentile a il notevole coefficiente di tristezza che ammanta le parti finali della storia.
Il tutto senza trascurare l’elemento naturalistico tanto caro a Miyazaki, con una storia che vive sospesa a metà tra le atmosfere bucoliche del Hokkaido, dove Anna è stata spedita per riprendersi dai frequenti attacchi di asma, e la vibrazione indubbiamente occidentale che la pellicola emette non appena ci si avvicina alla villa di Marnie.
Passiamo a un elemento esterno che incide in realtà parecchio sulla fruizione del film, ovvero alla rubrica quando c’era Cannarsi. Stavolta l’intransigente adattamento italiano è meno irritante e altisonante del passato, tanto che per lunghi tratti la mano dell’idolo degli oltranzisti dell’adesione all’originale si scorge appena. Rimangono tuttavia i problemi che hanno portato il fandom a spaccarsi a metà: siamo ancora di fronte a un linguaggio ancora molto innaturale, un italiano grammaticalmente così rigido da risultare ancora desueto, quando non proprio scorretto per l’adesione al modello sintattico giapponese.
Mi sono presa la libertà di segnarmi un paio di passaggi:
-“Che intrigante!” nel senso letterale di “che combina intrighi” detto dall’adolescente Anna, una ragazzina delle medie.
-“Chissà se non ci abita nessuno?”, un doppio negativo di dubbio gusto al posto di un più spontaneo “chissà se è disabitata?”
-“State ideando delle malefatte!”: anni ’50 vibe.
-“Ancora non l’hanno riparata la buca che stava là”, pura traduzione da ginnasio della versione di greco.
-“È un posto da pacchia!”anni ’50 vibe.
-“Sei venuta davvero per bene qui!” nel senso di “in questo disegno sei venuta bene” non nel senso che Marnie è una piccola aristocratica morigerata nell’aspetto.
-“Ma quanto puoi essere brava!” esclama Marnie guardando i disegni di Anna, dove una persona italiana al 99% direbbe “ma quanto sei brava!”
La cosa più triste è che spesso per la lunghezza e gli arzigogoli di questo adattamento i personaggi parlano a bocca chiusa e le battute vanno fuori sincro.
Ultimo appunto polemico: il film uscirà nelle sale per tre giorni, dal 24 al 26 agosto. Ancora una volta spiace constatare come Lucky Red parli di “evento speciale” per l’uscita del tutto normale di un film del 2014, solo per massimizzare l’incasso nei tre giorni di sfruttamento, imponendo una maggiorazione per un evento speciale che di fatto non esiste e ghettizzando ancora di più, insieme a Cannarsi, questo tipo di prodotto.
Lo vado a vedere? Quando c’era Marnie è un prodotto gradevole, ma per come viene presentato e per l’effettivo livello, cerca chiaramente un pubblico di appassionati d’animazione tradizionale. Potrebbe essere molto interessante anche nel caso amiate le atmosfere gotiche (anche se soft), le storie di fantasmi e i coming of age di stampo vittoriano.
Ci shippo qualcuno? EH VABBÈ. Ok che esistono le amicizie femminili profonde ed in età adolescenziale possono essere parecchio totalizzanti, ma Marnie è una piccola intrigante, per citare Cannarsi. Non è nemmeno fraintendibile, è proprio palese che c’è un certo insistere sulla dimensine emozionale (qualcuno direbbe di ammirazione che sfocia nell’adorazione) tra le due ragazze, dove non mancano contatti fisici, abbracci, gelosie e batticuori. Il tutto in maniera molto innocente eh, ma da parte delle protagoniste, non dello studio. A quanto so infatti in tanti in seguito ci hanno ricamato ben di peggio.
Non avendo letto il libro originale, per le informazioni sul romanzo e l’adattamento mi sono basata sul parere di un lettore affidabile e competente come Yuelung. Una recensione (e un blog) a cui vi consiglio di dare un’occhiata.
Non posso non andarlo a vedere, possibilmente in un qualche cinemino monosala per ammortizzare l’effetto “evento speciale” 😉
Adoro lo Studio Ghibli, non riesco a perdermi nessuno dei loro lavori.
A quanto so niente sconti per nessuno, nemmeno con le tessere. Almeno però per una volta si foraggiano le piccole sale che sostengono questi progetti! ^.^
Ci si prova sempre 🙂 il più sarà trovarne uno aperto a fine agosto.
Le battute fuori sincro sono il tocco di raffinatezza di Cannarsi: «non sono io che sbaglio, sono gli animatori che han fatto muovere la bocca troppo poco! ». Potrebbe dirlo.
Io non vedo un film Ghibli in italiano dall’uscita di Mononoke (la prima, quando ancora andavo all’università e già allora il doppiaggio era osceno e fuorviante). Incredibile come Cannarsi sia de facto riuscito a fare lobby da solo, mi ricorda quei direttori di periodici che fanno fallire ogni rivista cui mettono mano ma vengono continuamente chiamati dalle case editrici “perchè sono direttori”. Mah, vade retro. Film molto bello, come pellicola della staffa non poteva andar meglio.
Per curiosità, prova a vedere 5 minuti qualsiasi di Kaguyahime in italiano. Qualsiasi, inizio, metà o fine. Per quanto io possa trascrivere e indignarmi, non rende l’idea, va sentito.
I doppiaggi di un tempo erano imprecisi, scorretti, talvolta stravolti, ma non credo ghettizzassero tanto questi film come la posizione purista che stanno assumendo ora.
Un film dello Studio Ghibli è comunque da vedere, anche solo per curiosità. 😉 Però è assurdo che ancora vengano distribuiti in poche sale e per soli due giorni o poco più.
Assurdo…e remunerativo!
Io l’ho sempre detto pacchia, e sono nata negli Anni Ottanta. Invece ancora non ho capito che significa shippoo: boh! Per il termine intrigante: ho scoperto l’uso grazie al Cannarsi. Intrigante però significava un’altra cosa nel film… Ovvero, se il Cannarsi avesse ragionato come voi, ovvero adattando (come intendete voi, e non io) in un italiano standard, sarebbe stato: “questa non si fa i **** suoi”.
Poi, tra le tante, non ho capito che problema hai con ‘ma quanto puoi essere brava’. Boh.
Piuttosto, è davvero penoso il ‘ANNA, TI AMO!!!”, ma allora è colpa del Cannarsi? No, è che il film giapponese dice così… (ahimé, che tortura in sala se non vi piacciono i melodrammi…)
Mi chiedevo dove fossi finita e cominciavo un po’ a preoccuparmi.
Dopo il commento di Panapp su Twitter che avevano predetto con mesi e mesi di anticipo le cantonate di Cannarsi, non credo ci sia più nulla da dire.
To ship è un verbo inglese italianizzato in “shippare” – nel linguaggio del fandom, sostenere con vigore coppie e relazioni che nel canone ufficiale di film e prodotti sono solamente suggeriti (o neppure quello!) ma mai chiaramente canonizzati.