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adolescenti problematici, Booker Prize for Fiction, Karen Joy Fowler, libri col DRAMMA dentro, Nebula Award, PEN/Faulkner, ponte alle grazie, turbovegani attack!
Karen Joy Fowler e la sua protagonista Rosemary cominciano a raccontare la loro storia dal centro e io farò lo stesso. Più o meno un anno fa scrivevo per la prima volta di We are all completely beside ourselves, dopo l’enorme successo di critica e pubblico che l’autrice aveva ottenuto con il titolo (andando vicino all’apice raggiunto con Jane Austen Book Club) ma prima che si portasse a casa la vittoria al prestigioso PEN/Faulkner.
Ovvero nel periodo in cui ottenne una nomination al Nebula da assoluta outsider. A generare scalpore non fu tanto il nome dell’autrice, che tra ibridazioni e contaminazioni non si era mai allontanata troppo dal territorio surreale, fantastico e talvolta magico, ma il titolo in questione.
Dopo averlo finalmente letto nell’edizione italiana, rimane anche per me un mistero. Niente fantastico, niente fantascienza, bensì scienza pura e semplice, con le ripercussioni morali, psicologiche e umane del suo esercizio.
Proseguo con un’ammissione di colpa: influenzata dal meraviglioso film cinemozioni5 che il suo libro ha generato e con solo vaghissimi ricordi dei suoi romanzi precedenti, a prendermi più in contropiede non è stato il tanto millantato colpo di scena attorno a cui ruota il primo terzo del libro, bensì la bravura della scrittrice. Questo libro di Karen Joy Fowler è un esempio tanto atteso di come uno spunto davvero buono può diventare un romanzo strepitoso se affiancato a uno stile e a una costruzione all’altezza del mestiere. Un potente, doloroso ricordo che lo spunto, per quanto geniale, è tale, un punto di partenza, e a un certo punto la scrittura deve intervenire. Sarà stata anche una disposizione d’animo particolarmente favorevole e la mancanza di tempo libero (che per me si rivela sempre essere inversamente proporzionale alle ore effettivamente dedicate alla lettura, con un sentito vaffanculo del mio ritmo circadiano) ma ho letto le sue trecento e passa pagine in meno di una giornata.
Il merito è indubbiamente dell’autrice, che partendo dal centro e lasciando dietro di sé omissioni evidenti e trappole a carte coperte, riesce a mantenere un continuo senso di imminenza all’interno della sua storia. Il tutto da vera maestra, senza mai dare l’impressione di voler tormentare il lettore, ma solo stuzzicarlo, mostrandogli parte del disegno e poi facendolo riflettere su come ha completato le linee tra i vari frammenti grazie al metodo non convenzionale con cui gli sono stati presentati. La costruzione in questo caso è parte integrante del racconto e forse il miglior modo possibile di raccontarlo: difficilmente con uno stile lineare e cronologico il romanzo risulterebbe così emozionante e forse anche la storia di base ne uscirebbe svilita.
Comincia dal centro, rispondeva allora, un’ombra contro la luce del corridoio, stanco della stanchezza serale che conoscono solo gli adulti.
Il peggior servizio che si può fare a questo libro recensendolo non è quello di spoilerarne il supposto passaggio chiave (cosa che comunque non farò ma che in alcune edizioni era automaticamente annullata dalla copertina stessa), bensì ricondurre le sue qualità a quell’unico elemento.
In questo senso mi ha stupito molto meno la nomination al Booker, perché la trama principale si inserisce nelle tematiche da sempre attenzionate da quel premio. Rosemary, la narratrice del romanzo, ha subito un repentino cambiamento di carattere tra l’infanzia e l’età adulta, diventando da logorroica a taciturna, allontanandosi dai genitori. Al suo fianco non ci sono i fratelli, Lowell e Fern, di cui le riesce difficile parlare. Cosa è successo alla spensierata ragazzina di un tempo, costretta in pochi anni a cambiare tre dimore, separata da un velo invisibile e una mancanza tangibile dai suoi affetti più cari?
Siamo tutti completamente fuori di noi mi è piaciuto? La risposta è ingannevole, così come lo sono sempre i libri che si divorano nell’arco di poche ore. Una relazione bruciante basata sulla seduzione dello stile o della storia sul lungo periodo può suscitare ricordi sbiaditi o reazioni blande. Essendo già accaduto in passato, sarò molto prudente, ma ci sono almeno due elementi che mi fanno pensare che considererò questo titolo della Fowler un gran libro anche tra un paio di anni.
Il primo è la sua protagonista, soprattutto in relazione alla famiglia che la circonda. Parte del motivo per cui non riuscivo a staccarmi dal libro era il racconto angosciante dei periodi intercorsi tra i tre, forse quattro momenti strazianti in cui Rosemary decide il suo futuro, momenti che finiscono sempre per colorarsi di gelosia, tradimento, accidia. I passaggi cruciali per lei sono anche quelli in cui dà il peggio di sé, ma sono anche il risultato di decisioni di cui lei non è stata partecipe che ne hanno scritto la vita sin dalla nascita, aspetto di cui non sembra essere consapevole.
Non mi riferisco solo al rapporto con il padre, a quanto lui sia disposto a sacrificare di lei in nome della scienza, ma anche e soprattutto del ricatto emotivo che domina il rapporto con il fratello, in cui Rosemary è completamente schiacciata dal senso di colpa per qualcosa di cui, a conti fatti, non conosce che i contorni imprecisi.
Rosemary è una Briony messa nella condizione di espiare sin da piccola una sua colpa le cui sfumature non le sono chiare e verso cui l’innegabile affetto familiare è stato così mal espresso prima e dopo il fattaccio da averla gettata nel terrore di essere abbandonata e di essere una carnefice, per poi scontrarsi dolorosamente più volte col concretizzarsi di questa paura.
il valore dei soldi è un raggiro perpetrato da chi ne ha troppi nei confronti di chi non ne ha: sono I vestiti nuovi dell’Imperatore in versione globalizzata.
Il secondo punto di forza è il fatto che pur non essendo particolarmente d’accordo con il punto di vista espresso dal libro, mi sono sentita partecipe dei destini dei personaggi che lo incarnano, Fern e Lowell. Senza averlo trovato toccante o commovente quanto altri che si sono sciolti in lacrime durante la lettura, è sicuramente un libro che contiene in sé un elemento tragico e attualissimo, alimentato da colpe mai espiate che continuano a ferire vittime e carnefici, incapaci di affrontarle a viso aperto e parlarne esplicitamente, mentre la memoria ne inquina i rispettivi punti di vista e allontana ancora di più la possibilità di una riconciliazione. Soprattutto, è un modo sensibile, opportunamente sfumato e accuratamente problematizzato di presentare un problema (e una visione del mondo) che solitamente tende a portare persone e scrittori sulle barricate.
Lo leggo? Non vanificherò gli sforzi fatti nell’intero post rivelandovi ora quali sono i temi portanti su cui riflette il libro. Vi basti sapere che la nomination al Nebula è quantomeno fuorviante, mentre invece è un ottimo candidato dalla longlist molto discutibile dello scorso anno del Booker Prize.
Lo svolgimento somiglia a quello del magnifico Espiazione di Ian McEwan, ma il fulcro non è appunto la possibilità di ottenere il perdono, bensì la definizione della colpa stessa, prima che l’incertezza porti via a Rosemary, Lowell e Fern quel poco di legami affettivi e possibilità di scelta che rimangono. L’ambito di riflessione è quello scientifico, ma più come questione di metodo che come disciplina specifica, finendo per entrare in ambiti che stanno riscrivendo, nel bene e nel male, la nostra coscienza morale collettiva di questo secolo.
O detta spiccia: per un pubblico di lettori che non disdegnano il piangerone da Booker, come dice Manuela,
Ci shippo qualcuno? Guarda, io a un certo punto tra Rosemary e la tizia scroccona all’università ci avevo visto cose, almeno da parte della protagonista, ma quel piantagrane di Lowell purtroppo ha messo presto fine a questo sogno.
L’edizione italiana di Ponte alle Grazie è tradotta da L.Berna. Non ha un prezzo poi esorbitante, ha una bella confezione, una traduzione che mi è sembrata corretta stilisticamente e sicuramente ricca di profondità e una copertina che è il giusto compromesso tra lo standard italiano della fotografia evocativa sparata di default in copertina e il contenuto del romanzo. Contando che nemmeno tra quelle inglesi (spoilerose o meno) si è riusciti a fare molto di meglio, va benissimo così.
Grazie!
(Tu l’hai letto Sarah Canary? Domando per capire affinità e divergenze tra i due romanzi, se ce ne sono.)
L’autrice ha detto che per lei come metodo di lavoro l’ha un po’ portata alle origini e ci sono anche alcuni punti di contatto sulle tematiche, ma credo ci sia una bella differenza, soprattutto come padronanza stilistica.
Di più non posso dirti perché purtroppo non l’ho letto.
Mi hai proprio convinto – tutta la sci-fi e il fantasy letto ultimamente mi hanno creato una gran bisogno di piangerone di qualità.
spero non rimarrai deluso ma qualcosa mi dice di no. A mia discolpa -e paraculata- in giro è piaciuto tantissimo.
Cominciato ieri, prima parte: sento odore di Tyler Darden. Non rispondere né sì né no. 🙂
Durden
Forse.
Sì mi sbagliavo, però forse, in un certo senso, non del tutto.
grazie grazie per l’apparizione di Manuela, in questa domenica di noia e afa
non perdete martedì su italia 2, canale 35, il film Teste di cocco, con la nostra Manuela, finalmente si torna a programmare i film vacanzieri e spensierati che di recente sono rivalutati (vedi Tarantino)
tanto mare e tanta Manuela!
era ora
È bellissimo, il commento.
Alla fine l’ho letto in vacanza e mi è piaciuto assai, sia per quel che racconta sia (soprattutto?) per come lo fa.
Non lo accosterei ad Espiazione (non c’è confronto, questo è MOLTO meglio), che qui non c’è “colpa”, quanto piuttosto un complesso ragionamento sulle ragioni degli altri, su come (e quanto!) le cose fuori di noi sono determinanti per le pieghe che prende la nostra esistenza, e poi bé, c’è Fern, e insieme a lei tutto un ragionamento sottotraccia sulla scienza (o meglio, sull’accostarsi alla scienza come metodo e come lavoro) che è piuttosto insolito ritrovare così _importante_ in un romanzo mainstream (e che è determinante per la sua potenziale collocazione tra i libri di fantascienza importanti, almeno per me). Infine, c’è il potere delle parole e della narrazione, che è fondamentale per definirci e comprendere chi siamo davvero.
Comunque sia, per me Siamo tutti completamente fuori di noi è al momento la miglior lettura dell’anno, insieme a Nel mondo a venire, di Ben Lerner.
Sono contenta che ti sia piaciuto tanto! Sull’accostamento con Espiazione, we agree to disagree, dato che è uno dei miei libri preferiti di sempre. Me lo ha ricordato per come il terreno dei ricordi d’infanzia rimanga sempre piuttosto scivoloso e purtroppo fondamentale anche per la vita adulta, anche se qui le colpe rimangono più sfumate è appunto, una grande riflessione sulla scienza. Davvero un bel libro.
Sul Lerner invece so pochissimo, urge un approfondimento.
Per quanto riguarda il romanzo di Ben Lerner, ti lascio il link al blog del Grande Marziano, che della sua recensione a Nel mondo a venire quoterei anche le virgole…
http://ilgrandemarziano.blogspot.it/2015/03/un-libro-che-e-una-goduria-per-la-mia.html
(Non è che Espiazione non mi sia piaciuto, è che rispetto ai McEwan precedenti m’è parso tirato via, squilibrato nelle sue componenti. M’è sembrato insomma un romanzo pretenzioso e alla fine non m’ha lasciato nulla – però le pagine su Dunkerque sono formidabili.)
Mannaggia a te, Giorgio, avevo appena finito “Siamo tutti completamente fuori di noi” (anche per me la migliore lettura dell’estate) e ho dovuto comprate subito questo di Ben Lerner: 11 euro di ebook, maledetta Sellerio!
Questo post è veramente dannoso! XD
eheheh! 🙂
Io Nel mondo a venire l’ho preso cartaceo, che davvero, 11 euro per l’ebook sono troppi.
E dove lo trovo il cartaceo a ferragosto? Dirai: aspetta e leggi Effendi, ma ho deciso di non leggere più i tuoi libri perché hai parlato male di Espiazione!
Eh, come dare tornato a Senzapre7ese…Espiazione è Espiazione.
Parlando di costo esorbitante degli ebook, io ho scoperto da qualche mese il prestito bibliotecario di ebook MLOL. C’è “Siamo tutti completamente fuori di noi” così come il primo romanzo di Ben Lerner (purtroppo non “Nel mondo a venire”).
È molto comodo, basta capire come utilizzarlo cercando qualche tutorial. Ha l’unica, grossa pecca di escludere gli utenti Kindle, che non è un bacino da poco, a meno che non sappiano arrangiarsi con Calibre.
Altro grosso limite è quello dei due prestiti mensili e delle poche copie disponibili: nel caso di Annientamento e Autorità ho dovuto aspettare parecchie settimane in coda. E poi già una trilogia non puoi leggerla in un mese. (Ma il servizio di streaming musicale mi ha cambiato la vita, altro che deezer e spotify).
Sullo streaming musicale indagherò. Da parte mia io amo molto il cartaceo ma devo dire che per i tempi d’attesa, sono simili. Quando un libro è molto richiesto…
Ciao,volevo ringraziarti per aver recensito questo libro perche’ mi hai incuriosita e me lo sono divorato in tre giorni!Mi e’ piaciuto davvero tanto,e anche io leggendo ho pensato in certi momenti ad Espiazione..libri diversi,sia chiaro,ma c’era qualcosa nel modo in cui la storia veniva raccontata da Rosemary che mi ha fatto pensare a Briony.
Lo consigliero’ a molti 🙂
Holly, grazie mille per il tuo commento, è davvero fantastico quando qualcuno scopre un libro che gli piace davvero. Grazie per la fiducia e buone letture!