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lw3Sole, mare e qualche ora di libertà da sperperare. Gli scampoli ferragostani sono da sempre il momento migliore per dedicarsi alle serie i cui capitoli escono a ritmo serrato, a quei libri decisamente meno introspettivi della media ma che è difficile mettere da parte. Quale finestra di lettura migliore di quando il lavoro e lo studio non ci impongono di mettere da parte niente e il caldo suggerisce di non dedicarci a nulla di più impegnativo di sfogliare le pagine di un libro?
Solitamente in vacanza mi dedico all’impossibile impresa di tentare di mettermi alla pari con Peter Grant series di Ben Aaronovitch ma quest’anno, complice l’uscita italiana e l’imminente serie tv su SyFy, ho deciso di impelagarmi in una delle serie fantascientifiche più popolari degli ultimi anni: The Expanse.

Un paio di coordinate per chi non bazzica l’entroterra fantascientifico o, pur facendolo, ha vissuto sotto un sasso negli ultimi quattro anni. Nel 2012 viene candidato al premio Hugo il primo volume della già dichiarata saga The Expanse, dietro il cui autore James S.A. Corey si nasconde la collaborazione a quattro mani tra un famoso compilatore di saghe fantastiche, Daniel Abrahm, e Ty Franck, noto ai più come il poveretto l’assistente di George R.R. Martin che si sobbarcava parte del lavoro sulle ambientazioni delle Cronache del Ghiaccio e del Fuoco.

“There’s a right thing to do,” Holden said.
“You don’t have a right thing, friend,” Miller said. “You’ve got a whole plateful of maybe a little less wrong.”

Il primo, importante elemento da conoscere per capire il successo della saga e comprenderne al meglio l’atmosfera, è che The Expanse è dichiaratamente un progetto nato a tavolino, una saga costruita sulla base di una buona idea, certo, ma già pensata da principio per essere seriale e seguire una cadenza annuale e un ritmo di uscite annuale, puramente commerciale, alla Aaronovitch appunto. Bastano un paio di capitoli per capire quanto l’effetto page turner qui sia ricercato e studiato: non è spontaneo e non è raffinato, ma funziona alla grande e, in effetti, nonostante la mole non indifferente il libro si legge tutto d’un fiato.
I più maliziosetti poi sostengono che la serie, dati i nomi che circolano dietro e davanti le quinte, sia stata scritta in partenza pensando a un salto televisivo (e, secondo alcuni, il contributo dello stesso George R.R. Martin va molto più in là rispetto ad essere un beta reader di lusso) che sta in effetti per arrivare su SyFy. Difficile dire cosa sia verità e cosa sia pettegolezzo, ma se dovessi spiegare in un frase secca questo Leviathan Wakes, direi che è la controproposta letteraria all’ultimo remake di Battlestar Galactica, aggiornata al 2012.

Stars are better off without us.”

Il fulcro narrativo dell’intera saga ruota attorno alla scelta di focalizzarsi in uno stadio della conquista umana dello spazio solitamente trascurato dalla letteratura di genere, l’espansione appunto, quel momento teorizzato in cui l’umanità si è già sparpagliata su buona parte del sistema solare ma è ancora lontana dal poter affrontare i viaggi spaziali.
Nell’universo di Corey la Terra e Marte sono densamente popolati, così come la cintura di asteroidi tra Marte e Giove. Esistono poi colonie e stazioni scientifiche su vari asteroidi e lune dei pianeti esterni, anche se di dimensioni decisamente più contenute rispetto a quelli interni. La pietra della discordia è la disgregazione del sentimento comune di umanità: l’intera storia ha come innesco e come problematica il fatto che la razza umana si sia già fortemente divisa in fazioni. Innanzitutto Terra e Marte, i pianeti interni, tiranneggiano con mezzi politici, economici e un’evidente superiorità militare i pianeti esterni e i Belters, coloro che nascono e crescono sulla fascia di asteoridi, che risponde con l’OPA (Outer Planets Alliance), un movimento clandestino con diversi gradi di rivendicazione e odio verso i pianeti d’origine e le loro politiche.
Questa divisione è ulteriormente marcata dal fatto che l’aspetto dei Belters è così differente da quello “terrestre” (più alti, più magri, con teste mediamente più grandi) che rende la divisione tra i due gruppi quasi razziale, tanto che alcuni si spingono a definirli già alieni.

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l’illustrazione di copertina a dimensioni complete è decisamente più chiara per chi ha letto il libro

L’aspetto di gran lunga più affascinante del libro è proprio questa divisione, incarnata dai due protagonisti e POV (punti di vista) che si alternano nel volume: da una parte Holden, il terrestre appassionato di viaggi spaziali, idealista e “puro”, dall’altra Miller, il detective Belter corroso dalla vita, cinico, ma anche capace di una più profonda comprensione delle dinamiche che stanno portando la razza umana a un’apocalisse lenta tutta interna. O forse no, perché sin dalle prime pagine è chiaro che qualcuno stia tramando un complotto politico, tirando fili scoperti da tempo per provocare una guerra tra gli umani sparsi per il sistema solare. Sono i marziani, detentori della superiorità bellica con la loro flotta avanzata e odiati dai terrestri e dell’OPA per il loro tiranneggiare? Sono i terrestri, spavaldi perché sicuri che nessuno attaccherà il pianeta madre, ancora indispensabile per la sopravvivenza dell’ecosistema umano? È forse l’OPA, un movimento cresciuto nell’ombra e i cui mezzi sembrano ben più sviluppati di quelli di un’organizzazione clandestina pronta alla guerriglia? Oppure esistono attori ancora sconosciuti al grande pubblico?

lw2Le risposte a questi interrogativi sono evidente conosciute agli autori, ma così complesse e stratificate nell’Espansione dal dover essere spalmate su più volumi. Il primo, Leviathan Wakes, è quello in cui si introducono i personaggi centrali della saga e si dà la spinta alla prima tessera del domino, sicuri però che molti passaggi e personaggi chiave debbano ancora fare il loro ingresso in scena.
Se da una parte il complotto politico e le sfumature gustosamente horror che il titolo assume nel suo stadio più avanzato lo rendono una lettura godibilissima, mi sento in dovere di mettere le mani avanti e frenare le farneticanti recensioni dei lettori italiani che “il capolavoro!” e “Fanucci dovrebbe portarci questi titoli!”, ovvero la stoccatina laterale a Ancillary Justice.

Il libro ha un paio di debolezze innegabili. La prima è la classica matrice dei personaggi alla John Scalzi: oltre al dualismo tra Holden e Miller, all’intensa contrapposizione tra chi non si rende ancora conto di essere il colonialista viziato e una mentalità forgiata dalla continua necessità di mettere al primo posto la sopravvivenza (tra chi conosce gli spazi aperti e chi è sempre vissuto dentro una stazione spaziale e uno spazio aperto pieno d’ossigeno non riesce neppure a figurarselo), c’è quasi il nulla. Desolante soprattutto sul piano femminile: Anderson per esempio è un gran personaggio, una via di mezzo tra Holden e Miller, che probabilmente in futuro avrà più spazio, ma vogliamo parlare di Naomi e Juliet? La prima è così bella, intelligente e caratterizzata come “la dea nera” che di fondo non ha mai la possibilità di svelare una debolezza che la renda davvero interessante, la seconda è letteralmente la fantasia erotica di un personaggio maschile. Altri personaggi femminili che non muoiano o vengano lasciati indietro dopo una ventina di pagine? Non pervenuti.
Non mancano poi quei momenti di grande eleganza che urlano WHITE DUDE, tipo:

“I know it’s none of my business, but I really wouldn’t let her put you off. So you don’t understand sex and love and women. Just means you were born with a cock.

Quanta saggezza.
Il secondo limite, oltre a una lieve prevedibilità una volta intuito lo schema narrativo utilizzato dal duo, è lo stile di scrittura. Godibile, ritmatissimo e divertente, ma anche tanto, troppo televisivo. I capitoli con punto di vista alternato finiscono per essere una serie di episodi, tutti provvisti del loro colpo di scena finale, poco inclini ad utilizzare i mezzi narrativi rispetto a quelli visivi. A Leviathan Wakes manca una buona dose di sottigliezza e di fiducia nel lettore, a cui viene continuamente spiegato, sottolineato, riassunto quanto successo in una sorta di perpetuo nelle puntate precedenti, che impedisce al libro di essere più snello. Corey sente continuamente il bisogno di spiegare, esplicitare il sottotesto politico e militare del suo universo, il che rende più agevole la lettura, sì, ma ne appiattisce le profondità. Con quasi 250 pagine in meno e un piano temporale e spaziale enormemente più complesso, l’impero Radchai è molto più strutturato e complesso di questo, forse più interessato alle venature thriller e horror, con un grosso innesto di un genere che non posso citare senza spoilerarvi l’impossibile, perciò andate sulla fiducia.

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Lo leggo? Leviathan Wakes, a detta di molti ancora il miglior volume della saga, è sicuramente figlio del momento attuale della scifi più popolare: è veloce, è intelligente, pone delle importanti questioni sociali (prime tra tutte quella della manipolazione delle informazioni e del razzismo) senza mai smettere di essere divertente e incalzante. Tuttavia è molto studiato per essere un prodotto e, se cercate la letterarietà, siete nell’universo sbagliato. Per il resto, una lettura da godersi ad ampie sorsate.
L’edizione italiana è a cura di Fanucci, il che giustamente ci fa già partire un filo prevenuti su traduzione e adattamento, a cura di Stefano A. Cresti. Io avevo già acquistato a tempo debito il volume in lingua originale (una lingua americanissima e super agevole anche per chi non è pienamente padrone dell’inglese), quindi non vi saprei dire esattamente come sia. Non ho letto per ora lamentele sull’adattamento e Cresti si è occupato delle traduzioni di K. Dick, quindi cauto ottimismo?
La serie televisiva è la grande hit dell’autunno per un canale in profonda crisi come SyFy, che sembra averci messo parecchio impegno in vista di novembre. Un paio di considerazioni sul trailer da lettrice della saga: innanzitutto mi pare chiaro che per chi volesse leggere prima la fonte letteraria sarà necessario leggere anche il secondo volume, perché ci sono un paio di personaggi chiaramente anticipati rispetto alla trama. Difficile poi valutare esattamente il peso delle sottotrame da un trailer montato a tavolino, ma sbaglio o di una certa molecola c’è molto, molto meno del previsto? Per me però il più grande motivo di disappunto, pur considerando le difficoltà tecniche, è che non è chiaramente visibile la differenza corporea tra Belter e originari di Terra e Marte, per non parlare del fatto che Miller è un giovane figurino e non un detective alcolizzato panzone.