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martian1Portare al cinema il più grande successo letterario di marca fantascientifica da molti anni a questa parte era un’impresa allettante e pericolosa. La scrittura di Andy Weir sembra nata per approdare sul grande schermo: veloce, ricca di battute fulminanti e colpi di scena che si immagina già proiettati su grande schermo mentre si sfogliano le pagine del suo romanzo d’esordio. Quel che non si accorda molto con la dimensione visiva del media sono le lunghe, ricorrenti e talvolta complicate spiegazioni scientifiche di come – citando la tagline del film –  il protagonista science the shit out dal casino di essere rimasto solo senza cibo e mezzi di comunicazione su Marte. Stavolta la strada del taglio e della semplificazione non è percorribile in maniera massiccia perché l’essenza del romanzo stessa è la gigantesca, particolareggiata risposta (un how to in stile youtube in una situazione potenzialmente mortale) a come sopravvivere su Marte il tempo sufficiente per aprire un canale di comunicazioni con la terra e tornare a casa.

[La recensione del libro la trovate QUI]

Prima di arrivare ai nomi grossi, passiamo per il grande dimenticato: Drew Goddard, sceneggiatore di serie tv (Alias, Buffy l’ammazzavampiri) e film di genere cult (Cloverfield), che si era già trovato alle prese con adattamenti di romanzi di culto per nulla agevoli (World War Z). Se Sopravvissuto funziona è principalmente merito suo, dato che si è sobbarcato l’ingrato compito di trasportare tutte quel blabbericcio scientifico in maniera comprensibile e scorrevole su grande schermo, dove il tempo per le dettagliate spiegazioni del volume semplicemente non c’è, nonostante il film duri la bellezza di due ore e venti. Ovviamente ci sono dei grossi tagli – il Mark cinematografico ha meno inconvenienti di quello letterario – e profonde semplificazioni, ma quello che arriva su schermo è un adattamento fedele allo spirito del libro e soprattutto al suo messaggio di fondo di speranza in quello che il singolo e il genere umano uniti possono raggiungere, in nome di una causa più alta.
C’è da dire che il medesimo messaggio è contenuto in film decisamente meno noti ma più affascinanti in questo senso, come il mai troppo ricordato Europa Report.
The Martian finisce sì per essere un enorme stimolo per l’opinione pubblica rispetto a nuove avvenuture nello spazio e uno spot di inedita durata per la Nasa (ed è bello che parte del film sia dedicata alla lotta delle pubbliche relazioni e del suo AD a mantenere aperte le linee di credito e l’attenzione del congresso), ma questo omaggio all’afflato che ha dato il via decenni addietro alla corsa nello spazio è declinato in maniera più patriottica, intrinsecamente americana e meno corale rispetto al film sopra citato.

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Passando a Ridley Scott, finalmente posso confermare l’impressione positiva del trailer: Sopravvissuto è un suo film più che discreto, commerciale sì ma che vale la pena di vedere al cinema. Forse sarebbe il caso di ammettere che pur essendo un produttore di grande fiuto (a lui dobbiamo quella perla di The Good Wife) e un professionista di grandissima esperienza, il caro Ridley non è più affidabile sul lato autoriale. Se gli si mette in mano una sceneggiatura nelle sue corde e ben scritta, lui porta a casa una regia eccellente e in un prodotto di consumo come questo infonde una maestria nel girato che rende un piacere guardarlo, anche nei suoi momenti di stanca o più retorici. Gli ultimi tremendi film di Scott (Prometheus, The Counselor e Exodus) di fondo sono tremende sceneggiature portare su schermo in maniera encomiabile (eccettuati i casting quasi all white) di cui il regista si è preso talvolta ingiustamente l’intera colpa.
Stavolta però è la natura stessa del soggetto ad ispirare il regista, che ha un tocco decisamente moderno e televisivo, soprattutto quando gira gli spiegoni in formato vlog (video-blog) di Damon che si rivolge direttamente allo spettatore, o usa velocità raddoppiate e montaggi musicali che sembrano lezioni ottimamente apprese dal mondo dei telefilm. Non mancano poi momenti che si rifanno ai suoi lavori precedenti (la scena della tempesta sembra presa di peso da Prometheus) o da progetti precedenti molto affini (i vlog e le riprese delle varie cam ricordano ora Europa Report, ora Moon).

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Il discorso sul cast e in particolare sul protagonista Matt Damon è molto influenzato dalla mia conoscenza pregressa della fonte. In generale alla stampa straniera che ha già visto il film Matt Damon è piaciuto davvero molto, tanto che Cine Vue o il Guardian non hanno esitato a definirlo l’attore più credibile nello star system hollywoodiano per ricoprire il ruolo. Pur riconoscendo che Damon dà una buona prova anche quando si tratta di rivolgersi direttamente allo spettatore, da lettrice rimangono le mie iniziali obiezioni: è troppo vecchio per il ruolo e non è abbastanza cazzone. Niente di drammatico, anzi: il risultato è sorprendentamente gradevole, molto più del suo ruolo similare in Interstellar. Guardando il cast però mi chiedo cosa sarebbe venuto fuori con un attore meno noto e più dotato in quel ruolo: Sebastian Stan fa parte dell’equipaggio in un ruolo risibilissimo e credo avrebbe esaltato meglio la componente ragazzone d’America pieno d’inventiva e ottimismo, mentre la perfomance di Damon è puntata comunque sul risvolto drammatico.

Riguardo al resto del cast, parata di stelle più o meno sprecata. Anche qui, non tanto per colpa di Scott, quanto piuttosto della struttura del libro a la John Scalzi, dove il resto dei personaggi sono pedine appena sbozzate, funzionali allo spostamento del protagonista da A a B. Fortunatamente le etnie variegate della fonte sono state mantenute. Nella valanga di volti famosi visti, ci tengo a citarne due: Chiwetel Ejiofor si fa notare in un ruolo marginale ricordandoci che non è solo versato per i ruoli super drammatici ma è un attore per ogni stagione, mentre la povera Mackenzie Davis (Halt and Catch Fire) riusciremo mai a vederla in un ruolo che non sia quello della geniale smanettona?

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A proposito di type casting: ormai Michael Peña è il simpaticone ispanico della situazione, Jessica Chastain è meravigliosa mentre fluttua nel veicolo Hermes ma è davvero sprecata, idem per tutti gli altri.
Nota di merito al GENIO ASSOLUTO che ha assoldato Sean Bean per quel ruolo specifico solo per creare un’ulteriore battuta nella battuta che scoprirete durante il film*. Genio.

Riguardo alle sfide tecniche poste dall’ambientazione marziana, i soldoni della Warner sono stati ben spesi. Il deserto giordano fornisce un supporto credibile e abbastanza realistico a quello marziano, mentre i rover, gli interni e le attrezzature sono realizzati con il giusto mix di realismo (almeno all’occhio profano) ed eleganza, con tute e caschi che ricordano molto lo stile onestamente fichissimo di Prometheus, quindi complimenti alla costumista Janty Yates per essersi ripetuta con tanto stile. Non me ne vorrà il direttore della fotografia Dariusz Wolski se dico che, pur avendo apprezzato il suo lavoro, gli preferisco il precedente Prometheus, che parte avvantaggiato da atmosfere più dark e interessanti.

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Lo vado a vedere? Sopravvissuto ha il grande merito di aver adattato un libro non semplice nei suoi contenuti e anche nell’approccio al pubblico: commerciale, scorrevole, divertente, senza rinunciare del tutto alla gran mole di “scienza dura” che hanno reso il libro un successo. Pur essendo enormemente più tecnico di Interstellar finisce per risultare assai più lieve una volta abituatisi allo spiegone cadenzato e tenendo conto del rallentamento finale, quando l’inno alla forza del sogno americano prende un po’ il sopravvento nonostante il crescendo emotivo.
Ci shippo qualcuno? No.

*In proiezione mi sono vergognata come una ladra perché non appena viene citato il nome di quel piano ho iniziato a ridere fortissimo, l’unica in tutta la sala, mentre agli altri è servita la spiegazione del perché quel documento sia stato chiamato così. Che figure. Comunque ribadisco, una mossa di casting da applausi scroscianti.