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Straight_Outta_Compton1Per spiegare l’incredibile successo di Straight Outta Compton al botteghino statunitense – è stato uno dei re dell’estate, insieme ai dinosauri e ad Amy Schumer – si sarebbe fortemente tentati di piantar lì una riflessione sui bravi fratelli neri che vanno a vedere la pellicola capace di dare finalmente voce alla loro realtà di violenza, povertà e abusi della polizia.
Sarebbe semplicistico ma nemmeno troppo campato per aria, come spesso accade quando dal commento cinematografico ci si sposta in ambito politico e sociale. Operazione che è impossibile ovviare riguardo a questo film, che trae giovamento anche di un’uscita dal tempismo perfetto, dandogli una valenza ancora più dura e attuale. L’indignazione e la rabbia sono amplificate dalla consapevolezza che, dal 1987, un cambiamento è cominciato eppure è ancora tutto uguale a prima.


Quello che è cambiato è che cinque ragazzi di Compton, abituati ai soprusi dei poliziotti e alle violenze dei pusher di quartiere, sono diventati stelle del firmamento hollywoodiano e star di fama mondiale, catapultando la loro cittadina e la west coast nell’olimpo del rap. A quasi trent’anni dalla nascita degli N.W.A. (Niggaz witha Attitudes), i sopravvissuti ci hanno messo i soldi e la voglia di raccontarsi, dando vita a un film che aveva tutte le premesse per risultare approssimativo, buonista, accondiscendente, celebrativo, ed invece si rivela come una storia di formazione tra le più emozionanti degli ultimi anni.

straight outta compton polizia bianca

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Compton, 1987. Il giovane Eazy E si è fatto un nome nel quartiere e nello spaccio di droga, ma ha intuito che il giro di vite della polizia renderà pericoloso e poco lucrativo il settore criminale. Quando l’amico e dj Dr. Dre gli propone di finanziare la sua impresa musicale, accetta di metterci il denaro e la faccia. Dre rimedia dei parolieri (Ren e Ice Cube) e convince Eazy E a ricoprire il ruolo di cantante e leader della band. Con l’interessamento di un produttore bianco, ebreo e ben connesso, la band arriva al successo, senza saltare nemmeno una delle tappe che sappiamo essere associate con la fama: il denaro, la figa, la droga, l’imbroglio, il tradimento, la violenza, gli insulti, una morte drammatica, la riconciliazione.

Riuscire nell’impresa quando tra i personaggi ritratti ci sono anche i tuoi finanziatori non è semplice, ma è andata così. La scelta più saggia è stata quella di rendere la storia una celebrazione di Eazy E, morto di HIV alla vigilia della reunion della band e quindi arco di ascesa e caduta ideale, l’unico incapace di obiettare all’inserimento delle parentesi più squallide o controverse. Dre e Ice Cube, diventati nel frattempo morigerati e rassicuranti star per famiglie, ricoprono quindi in ruolo più marginale, che permette di contenere la narrazione (anche negativa) loro dedicata.
Questo l’unico appunto che si può fare a un film che, così come le rime senza censure e arrabbiatissime dei suoi protagonisti, ha come prima e più forte virtù una profonda onestà.
La sceneggiatura, basata su un certosino lavoro di documentazione e interviste ai protagonisti dell’epoca, è stata rimaneggiata da più mani, fino a diventare un racconto capace di coniugare la più classica parabola di successo, eccesso e rovina con la rappresentazione filmica di quel contesto che rendeva incendiare le canzoni degli N.W.A. e della spacconeria con cui la band se ne faceva portavoce.

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A questo taglio schietto ha contribuito e non di poco la regia di F. Gary Gray, cresciuto in periferie simili e avvezzo in gioventù a situazioni analoghe. Gray tira fuori il film della carriera, coniugando una certa eleganza al taglio realistico delle vicende e all’aura da braccio duro della legge nella prima parte del film, che si apre con una scena di grande maestria e impatto, che immerge subito lo spettatore nella tensione infinita tra cittadini, polizia e appartenenti alle gang. Purtroppo man mano che il film si concentra sui protagonisti rimane poco spazio per qualche ricercatezza registica, ma Gray ha comunque molto di cui essere orgoglioso.

Riguardo ai protagonisti, i produttori sostengono che i tre principi cardine in fase di casting siano stati: la credibilità come abitante del microcosmo della strada e del ghetto, capacità di rappare e somiglianza coi protagonisti. Se la scelta del figlio di ice Cube, O’Shea Jackson Jr., per interpretare il padre lascia il tempo che trova, al fianco dell’ottimo Paul Giamatti – con cui dimostra una grande alchimia – troviamo la vera sorpresa della pellicola, Jason Mitchell. Attore quasi sconosciuto e senza una formazione vera e propria, Mitchell tira fuori una grande prova e rende davvero straziante la parola del protagonista, senza paura di mostrare le emozioni più distruttive e profonde del personaggio, i suoi eccessi ma anche il suo senso di lealtà e amicizia. Ulteriore prova dell’onestà della pellicola è il trattamento riservato a Jerry, l’unico bianco del film e produttore che ha di fatto rovinato le finanze e l’alchimia del gruppo. In altri biopic sarebbe diventato una sorta di macchietta del villain nella vita reale, qui a Giamatti viene consentito di perorare la causa della sua ambigua figura, che ha comunque le ombre dell’affarista ma non quella del razzista.

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Lo vado a vedere? Nonostante la durata notevole di due ore e venti, Straight Outta Compton è un racconto di formazione, una parabola di ascesa e caduta appassionante. Più che omogenizzati precotti da Hollywood o film inutilmente retorici, questo lungometraggio dà davvero l’impressione di aver dato agli afroamericani voce in capitolo per raccontare se stessi e la loro realtà. Meno Selma più Compton.
Ci shippo qualcuno? Ovviamente no.