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ALIETTE DE BODARD

Forse l’incontro più bello, anche perché De Bodard ha un approccio anglosassone al panel e arriva con il suo bel discorso preparato, quasi come assistere ad una lezione universitaria, sulla fantascienza! Il tema che ha deciso di affrontare è il ruolo della storia nella letteratura di genere e nella sua produzione.

Ha deciso di parlare di storia e di come sia un elemento importante per la letteratura di genere. Per farvi un esempio, pensate alla recente trilogia di Ann Leckie ispirata all’impero romano e quanti altri autori sono partiti dalle medesime basi. Come scrittrice ritengo che la storia sia un bacino da cui trarre ispirazione, perché quello che scriviamo di fondo è già successo da qualche parte.
Esiste però anche la storia come disciplina dentro la fantascienza, per esempio Psychohistory in Asimov, e la possibilità di concentrarsi sulle pecche, sui buchi della storia.

Anche nel fantasy la storia è ovviamente  centrale perché la chiave interpretativa per capire la realtà dietro la mitologia. Per fare un esempio nella Mistborn Trilogy di Brandon Sanderson la storia è estremamente importante perché gli estratti a inizio capitolo forniscono la chiave di lettura per sconfiggere il villani alla fine della trilogia.

La Storia diviene uno strumento per arrivare alla verità, ma alcune volte i suoi elementi sono nascosti perché il tempo li ha coperti di polvere, altre perché alcuni li hanno volutamente celati.
In Court of Fives di Kate Elliott c’è il gioco dei cinque appunto, che a metà libro si scopre essere una mappa di una città enorme, nascosta perché il paese è stato invaso e la sua storia originale è stata nascosta ai suoi abitanti affinché dimenticassero l’oppressione e l’invasione.

La storia è la chiave: se non la conosci, non puoi avere il potere, puoi esserne ucciso.

Nella fantascienza la storia può essere una fonte di potere. Nel genere post apocalittico solitamente le persone dimenticano la storia delle scienza come prima cosa ed è il metodo più utilizzato per spiegare la regressione tecnologica delle società; riscoprirla significa ottenere potere. Ne Un cantico per Leibowitz di Walter M. Miller c’è un ordine di monaci che preserva la storia ma in realtà la tiene nascosta per evitare che si torni a un olocausto nucleare. In ___ (?) in un pianeta regredito tecnologicamente le donne riscoprono la scienza, assistiamo alla scoperta delle leggi di newton, cose per noi ovvie ma che loro hanno dimenticato. La Storia può essere intesa come verità e potere, e una certa parte della stessa viene usata per mantenerlo sugli altri.

Sto scrivendo un libro sul colonialismo in Vietnam e sto facendo ricerche perché penso che a 50 anni di distanza ci sia il distacco necessario, almeno in parte. Leggendo i libri francesi sull’argomento però trovo che vengano sempre minimizzati gli aspetti coloniali e esaltati i benefici per i vietnamiti. La storia ha una significativa componente di cancellazione: mancano le storie dei perdenti ma anche la parte che lo scrittore decide di non inserire. Anche io come scrittrice quando decido di non menzionare un dettaglio sto facendo un lavoro di selezione della Storia.

Il mio ultimo romanzo, The house of shattered wings, è una storia ambientata nella Parigi del XIX seconlo riletta in chiave apocalittica. Le mie ultime storie hanno varie generazioni a confronto, diverse età che hanno concezione diverse di cosa sia la guerra. Il libro è in parte ispirato dalla guerra vietnamita-americana e su come le parti che si froteggiavano leggano il conflitto in maniera differente. Il Vietnam è quello che ha investito e perso di più, ma anche all’interno del Paese tutti hanno un’idea diversa di quale sia stato il vincitore e il costo del conflitto.
Un concetto importante è quindi quello di erasure – la cancellazione, l’annullamento. The house of shattered wings è stato ispirato da tanta letteratura francese dell’epoca, come la politica dell’alta società descritta da Alexandre Dumas e le disuguaglianze sociali al centro di Les Miserables. Il mio romanzo è ambientato nell’Ile de la Cité e Notre Dame è una delle location principali. La società stessa è una versione distorta della belle époque, con tutti i suoi elementi più stranianti come la moda, l’apparenza, i balli, l’ossessione per il particolare. Ho letto molte storiografie e anche libri di etichetta comportamentale dell’epoca. A un certo punto ho intrapreso una ricerca ossessiva su quando sarebbe stato corretto far togliere i guanti a un personaggio e quando farglieli rimettere e sono sicura che nessuno se ne sia accorto, purtroppo (ride).

Sono stata cresciuta parlando francese, inglese e vietnamita, sono figlia di due culture diverse. Sono cresciuta a Parigi ma con la consapevolezza di essere l’incarnazione del differente: troppo magra, troppo strana e una che mangia cose decisamente strane. Certo, essere nerd poi non mi ha aiutato (ride).
Nelle mie letture giovanile consideravo normale che quando si parlava di personaggi che avevano le mie stesse radici il modello fosse solo la principessa esotica nel Conte di Montecristo o che ne I Miserabili non ci fossero che personaggi al 100% francesi.

Un sacco di gente pensa che me lo sia inventato io che durante la Prima guerra mondiale prima vennero inviati al fronte in prima fila molti vietnamiti direttamente dalle colonie e poi rispediti a casa perché erano disturbanti a fine conflitto. Nella Seconda furono reclutati a forza per costruire munizioni e quando finì con lo sfascio dell’Europa e con una cronica mancanza di denaro, qualcuno pensò bene di venderli come venture workers perché non c’erano soldi per spedirli a casa. I Vietnamiti costruirono ponti, macchine e hanno piantato il riso nel letto dei fiumi dove ancora oggi in Francia è diffusa la risicoltura. Sono stati rispediti a casa solo 15 anni dopo, in una nazione in cui era cambiato tutto e che era anche sull’orlo della guerra civile.
Mi sono chiesta come sarebbe stato essere uno di quegli uomini. Non sai nemmeno se la casa ci sarà ancora quando tornerai, l’ultima notizia che hai avuto è stata l’invasione giapponese e intanto ti senti un’outsider sia tra i francesi sia tra i vietnamiti, per tutto quello che hai passato. Nel 1959 vennero rispediti a casa, ma proprio nel momento della guerra d’indipendenza. Alcuni rimasero in Francia e sposarono delle francesi, anche se erano tutto tranne che benaccetti.

All’interno del mio romanzo non volevo che fossero al centro della narrazione perché non è una mia storia da raccontare, ma volevo che venisse alla luce. Uno dei protagonisti è asiatico, immortale, sessantenne che sta perdendo tutte le sue persone care.
Ci sono un sacco di libri SF basato sull’impero romano, ma non su quello cinese o vietnamita. Nei pochi casi in esame, sono ritratti di imperi esotici e crudeli. Questo non ha niente a che fare con le storie che ho letto da bambina, quando lessi un sacco di libri che erano ambientati in Cina.
Non era la mia Cina, era una Cina falsa, addirittura credevo che fosse un’altra Cina, doveva essere una fictional land istituita da chissà chi. Ho scritto di Xuya perché volevo che fosse un impero galattico che avesse delle basi completamente diverse e autenticamente asiatiche, dove la letteratura è importante, gli studiosi sono valutati e la famiglia ti aiuta sempre. Un sacco di lettori occidentali trovano l’atmosfera di questi scritti soffocante. Io invece trovo affascinante ad esempio che se un’intelligenza artificiale sostituisce la famiglia, viene considerata un membro, non una proprietà.

Per me non è una visione negativa perché la famiglia e il dovere sono importanti, non è una tragedia se talvolta questa componente scavalca il desiderio individuale. Non è la mentalità predominante nella SF, dove si sono di fatto perpetrati i valori americani dell’epoca della conquista del selvaggio ovest portandoli nello spazio. In questa lettura occidentale le famiglie sono spesso un freno, non un conforto.

Ritengo che la Storia crea differenti strutture sociali e la fantascienza che parla del futuro dovrebbe riconoscere la possibilità di diversi tipi di futuro, e questa è la mia missione come scrittrice.

Ti influenza di più essere orientale o essere femminile? Molte autrici donne hanno creato imperi molto particolari nei loro romanzi.
Non so rintracciare le mie influenze ma sì, con mio marito spesso parliamo di quanto le donne abbiano una visione originale.

Pesa di più cultura occidentale o orientale quando scrivi?
Non so, sono stata allevata in un ambienta occidentale ma da madre e nonna materna orientali.

Come ti senti rispetto all’accettazione alla tua visione differente?
Mi sento nel mezzo del cambiamento. Nel 2006 ho cominciato a scrivere e in questo breve periodo si sente già un’apertura. Come ogni cambiamento però è di una lentezza frustrante. Sarò paziente, anche se non è la mia miglior dote (ride).