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attacco della camera roteante, Ben Whishaw, Benjamin Walker, Brendan Gleeson, Charlotte Riley, Chris Hemsworth, Cillian Murphy, Costumismi, Michelle Fairley, Moby Dick, momento patriottico bandiera inclusa, Paul Anderson, Ron Howard, The Pirates! In an Adventure with Scientists!, Tom Holland, Uomo da Sospirone
Qualche giorno fa mi è capitato di sentire un vicino in proiezione stampa affermare che Ron Howard sia una rara espressione della Hollywood migliore. Quanto ha lottato Howard per ottenere un plauso simile, smantellando film dopo film quell’immagine non certo lusinghiera che si era guadagnato prima da attore e poi da produttore. Con grande onestà e dedizione, il regista statunitense non è mai sembrato volersi allontanare dalle grandi pellicole di narrazione corale e di consumo, senza rinunciare all’azione, al grandeur produttivo da blockbuster e alle morali un po’ patriottiche e paternalistiche.
Si è portato su schermo i libri più spernacchiati del periodo con grande scioltezza, ha infilato un paio di cult popolari ad ogni decennio, ha consolidato il mito della sua prima musa Russell Crowe e infine ha azzeccato un signor film nel 2013, quando con Rush ha dimostrato che senza muoversi dalla tanto vituperata nicchia commerciale si può tirar fuori un filmone di antagonismo umano e sportivo. Alla luce di questo decennale percorso di riscatto professionale, Heart of Sea – le origini di Moby Dick non può risultare purtroppo deludente.
1820, il mondo sulle soglie della modernità è rischiarato dalle lampade alimentate dal grasso di balena, l’oro liquido che sgorga dai giganti del mare, in attesa che si scopra quello nero che si annida nelle viscere della terra. Un giovane scrittore di nome Herman Melville (Ben Wishaw) è alla ricerca della storia che gli consentirà di scrivere il suo romanzo di grande successo e crede di averla trovata nelle tragiche e ambigue vicende della baleniera Essex, solo parzialmente svelate da un’inchiesta sommaria seguita alla scomparsa della nave. Non rimane che da convincere l’ultimo sopravvissuto Thomas Nickerson (Brendan Gleeson) a raccontare la verità, la vera storia del capitano Pollard (Benjamin Walker) e del suo rapporto con il primo ufficiale Owen Chase (Chris Hemsworth).
Sin dall’incipit della vicenda la sceneggiatura fornisce a Howard la possibilità di galoppare sui suoi cavalli di battaglia: un racconto corale di uomini veri e grande mascolinità (che i ritratti femminili non siano proprio il punto forte del regista lo abbiamo intuito da un pezzo) in un contesto avventuroso pieno di momenti d’azione pura e picchi adrenalinici, il tutto filtrato attraverso le polarità caratteriali opposte incarnate dai due protagonisti, il capitano giovane e compassato e il primo ufficiale di esperienza iracondo ma nato per vivere in mare aperto, accomunati dalla febbre per l’oro di balena. Ovvero il modo più sapiente per fornire a Howard una riproposizione dello scontro tra piloti di Formula 1, uno razionale l’altro instintivo, in una declinazione in cui nessuno ha davvero ragione tranne Howard, che ha la possibilità di infilarci il doppio dei suggerimenti paternalistici che tanto gli piacciono.
Ovviamente il protagonista assoluto del racconto è Chris Hemsworth, novello navigathor che ha rimpiazzato il caro Russell Crowe nel cuore di Ron. il problema per lui e per il resto del cast è che, per parafrasare Enrico Ruggeri, in questo caso la bianca balena non è la guerra che è dentro di noi, ma appunto, una enorme creatura albina un filo sadica. Fine. Il che in sé non sarebbe poi un male: Howard decide di dare un piglio il più realistico possibile alla vicenda, ispirandosi al vero naufragio che ispirò il vero Melville nel creare una delle metafore più potenti del demonio che si agita in ogni uomo. Niente metafora, niente ossessioni, niente capitani zoppi: solo una baleniera che si spinge troppo oltre, una balena dalle proporzioni enormi e un naufragio catastrofico.
Primo problema: perché ispirarsi alla storia vera e poi romanzarla, rendendola meno efficace della metafora e della realtà, quasi patinata? La verità è che aggrappandosi con una discreta convinzione al suddetto realismo, il film perde molte opportunità di portare a casa scene d’azione magari esagerate ma di sicuro impatto, limitando l’apparizione della futura Moby Dick allo stretto necessario. Un film d’azione e di mare aperto con poca azione, poca avventura e un sacco di minutaggio di naufraghi più morti che vivi è di per sé un film noioso: purtroppo In the Heart of Sea è costretto a far apparire la coda della balena soprattutto per ovviare a parecchi momenti di stanca.
Secondo problema: non è saggio imbarcarsi in un secondo tempo incentrato quasi completamente su un naufragio e sulla disperata lotta di sopravvivenza dei protagonisti se a livello tecnico e narrativo sei di molto inferiore a un esempio recentissimo molto popolare e riuscito come Vita di Pi. Il confronto purtroppo è schiacciante, soprattutto perché Ron Howard per sfruttare il 3D non esita a infilare numerosi scorci che fanno molto “effetto 3D” ma distruggono la coerenza visiva del film e non è supportato da una fotografia all’altezza di fronte a un rivale che ha (a mio parare ingiustamente, #TeamRogerDeakins) vinto un Oscar. Ron Howard è autorizzato più di altri a sbagliare tutto: eccedere in retorica, degradare nel patriottismo più posticcio, buttarsi sul lacrimevole, sull’esagerato, sul cazzaro: può fare quasi tutto, a condizione che intrattenga come sa fare. Qui troppo spesso viene a mancare proprio il ritmo, il divertimento, senza che dall’altra parte ci sia una profondità narrativa ed espressiva che non è mai stata sua.
Insomma, finisce che a rubare la scena a un Chris Hemsworth dimagrito quasi quanto Ben Wishaw per la causa sia proprio quest’ultimo, che in coppia con Brendan Gleeson rende quasi più avvicente del naufragio stesso la più classica delle cornici di personaggio a ormai anziano che racconta a personaggio b una storia di quando era giovane e che vede protagonista personaggio c.
Che poi a cosa serve aggrapparsi così a un supposto realismo se poi non si indulge in concessioni al sentire del pubblico quali stagionati balenieri animati dalla brama per il grasso di balena che fanno un faccino triste quando uccidono un capodoglio? Mohbbasta! Come se non bastasse il Noè vegano di Aaronosky! La sensibilità è cambiata, abbiamo recepito, ma per noi nel 2015. Chi pianta arpioni nei fianchi dei capidogli di mestiere può al limite provare rispetto per l’avversario animale, ma non gioire per la sua morte e un minuto dopo fare il faccino compito. Se non siete pronti nemmeno ad abbracciare un protagonista ottocentesco con un rapporto controverso con il mondo animale agli occhi dei contemporanei, non fate un film sui balenieri! EH!
Lo vado a vedere? Messa così sembra una tragedia, invece più che altro Heart of Sea – le origini di Moby Dick è un film meno che discreto ma che si lascia guardare. Profuma di occasione mancata e di sotto utilizzo dei mezzi a disposizione, ma non è nemmeno genuinamente brutto.
Ci shippo qualcuno? Che vergogna! Come si fa a fare un film marinaresco con nomi come Chillian Murphy nel cast e ha renderlo così mogiamente eterosessuale? Vergogna, vergogna, vergogna! Adesso, non tutti possono essere Master and Commander, però persino Pirates! In Adventure with Scientists è riuscito a fare meglio! Dopo quella pregevolezza di Rush! Ron, rimandato a settembre.
Ron Howard da una quindicina d’anni a questa parte è uno dei fieri beneficiari di questa stramaledettissima “politique des auteurs”, all’animaccia dei Cahier e quando l’hanno inventata. Qualunque cosa faccia c’è sempre qualcuno che se la rivolta come vuole per giungere alla conclusione che è un genio della contemporaneità. Quando tolta la parentesi Rush non azzecca un film davvero apprezzabile da una decina d’anni abbondanti. Poi per carità di qualità e doti ne ha un bel po’ ma ce le ha più nei film di basso respiro o smaccatamente di cassetta che in quello che si è messo a fare dai 2000 in poi. Nei cari vecchi thrilleroni alla Ransom o nei gioiellini di commedia alla Ed Tv aveva un manico infallibile. Ora contrariamente alle voci di corridoio e sala stampa è esattamente l’esemplificazione dell’imbolsimento del cinema popolare hollywodiano, però bene o male porta a casa sempre una discreta pagnottona, bene suo.
Per me esiste un Ron Howard pre Grinch e post Grinch, il flop e le sbertucciate su quel film gli hanno fatto cambiare completamente registro, ahimè.
Howard ti infiamma!
Non mi è mai capitato di sentire definire Howard “genio della contemporaneità” (ma su che basi poi?) però sfanga molto meglio di tanti altri registi con materiali di base di molto migliori. Un Tom Hopper, per tirarne fuori uno.
Non sono di certo una sua estimatrice, ma in acque così torbide in pochi sarebbero sopravvissuti così a lungo. Lui lo ha fatto e ha tirato fuori Rush, che è un gran bel film e, non portasse la sua firma, sono convinta che verrebbe sbandierato ancora di più. Questo invece è robetta.
Tom Hooper c’ha fregato tutti, con quel gioiellino del Maledetto United ci sian convinti che fosse espressione della capacità tutta british di lavorare su passioni, ardori ed estetica retrò, invece c’ha fregato, era tutto merito degli attori, dei costumisti e dei decoratori.
Altro che genio della contemporaneità, ti potrei citare “…rivoluzionario candore” “esitazioni della felicità che scoprono altre ambiguità” e cose del genere. il problema con certa critica è che essendo cresciuta con i classici, vede classicità ovunque e quando il cienma americano attraverso un periodo di stanca ecco riattaccarsi ai classici e quando arriva un autore palesemente ancorato al classicismo ecco spuntare il nuovo classico che in quanto tale è per forza di cose contemporaneo.
Ron Howard avrà avuto, o avrò avuto, pure i suoi detrattori ma sono almeno pari ai suoi estimatori accaniti, ho letto una volta anche che un film era brutto perché la commedia sta troppo stretta a Ron Howard…il che vuol dire che le ho lette proprio tutte…sempre nel massimo rispetto delle opinioni altrui che in certi casi provengono da firme autorevolissime che stimo incondizionatamente. Però diamine…
Mi viene alla mente “Il ponte delle spie” che ho visto ieri. Ovviamente altro livello ma anche lì, cinema stra-classico che si appoggia ai soliti archetipi narrativi statunitensi accolto qualcosa di incredibile e altissimo. Mhhhh.
Per questa sera ero indeciso se andare a vedere questo o il viaggio di Arlo, mi sono convinto di andare a vedere il film Disney.
Nessuno dei due è una cima, però hai fatto la scelta migliore, a parer mio.
Il romanzo da cui è tratto, “In the Heart of the Sea” di Nathaniel Philbrick (“Nel cuore dell’Oceano-La vera storia della baleniera Essex”, Garzanti, 2000), è basato sul diario di uno dei superstiti (Owen Chase). Frutto di un’approfondita e vasta ricerca storica, il libro è appassionante (mi era piaciuto molto, sebbene lo avessi letto poco tempo dopo il meraviglioso “Moby Dick”); se il film non è ben riuscito, penso che si tratti davvero di un’occasione sprecata.
Non avendo letto il libro non posso farti un confronto, però visto così il film è davvero poca cosa.
Film deludente e, come scritto in un commento precedente, davvero un’occasione sprecata. Il libro da cui è tratto (“Nel cuore dell’oceano”) è un piccolo capolavoro e si prestava molto a una trasposizione cinematografica, pur focalizzandosi in gran parte sul naufragio (la balena ha un ruolo minoritario).