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Adam Arkapaw, Autocompiacimento registico, Cannes, Cannes 2015, Costumismi, delicate palette cromatiche, film alla Joe Wright, film in costume, fotografia leccatissima, Jacqueline Durran, Jed Kurzel, Justin Kurzel, Marion Cotillard, Michael Fassbender, Paddy Considine, Psicologia e Psicosi, William Shakespeare
Comincio subito col dirvi che non avete letto di questo film nel Listone 2015 perché in Italia esce ufficialmente domani e quest’anno non ho voluto fare la carogna che mette in classifica film visti in proiezione stampa ma non ancora usciti in sala (spoiler: nella top ten ci sarebbero stati almeno tre posizioni diverse, film di cui vi parlerò a strettissimo giro). Provate a indovinare un po’ dove è stato presentato questo film che considero tra i dieci migliori visti nel 2015? Bingo, a Cannes, dove sembrano essere stati presentati il 75% dei film degni di menzione nelle classifiche mie e altrui. Giusto perché no, non permetterò davvero a nessuno che si lamentò di un’annata di presunta magra sulla Croisette di passarla liscia, non dopo aver chiuso la rassegna dei film in gara parlando di questa prima pellicola di serie ambizioni e proporzioni di Justin Kurzel come di un fallimento. Non è per tutti? Certo. Osa troppo? Può essere. Richiede grande concentrazione? Senza ombra di dubbio. È compiaciutissima? A livello Joe Wright. Non vedo come potrebbe essere altrimenti, dato che siamo di fronte a uno degli adattamenti teatrali più riuscitamente cinematografici degli ultimi anni.
Il problema dell’adattamento da un media letterario a uno visivo e dinamico come il cinema è sempre una bella gatta da pelare, ma se il felino in questione è una delle tragedie più ambigue e universalmente note di Shakespeare, beh, la sfida si sposta al livello successivo. Come adattare una lingua desueta e uno svolgimento che alterna scene immortali a passaggi storico-culturali tutto tranne che immediati (per non dire noiosi, vedi la pletora di messaggeri e cugini di questo e quello)? Come rendere intrigante una tragedia che ha in sé caratteri cinematografici forti come il sangue vero e immaginato, il misticismo religioso e la preveggenza delle streghe, ma anche una pletora di duelli e omicidi? Quando ambientarla (si è visto davvero di tutto in questo senso: io ho avuto la fortuna di vedere James McAvoy a teatro in una versione distopica futuristica, per dire)? E soprattutto, in che modo utilizzare quell’intreccio di psicologia e psicosi che porta il nome di coniugi Macbeth? La risposta del regista Justin Kurzel è sicuramente tra le più interessanti viste al cinema perché coniuga l’eleganza formale a un deciso taglio personale della vicenda.
A livello produttivo questo film è capace di far arrossire parecchi concorrenti ai Golden Globes di quest’anno per l’imbarazzo. Lo scenario è quello scozzese, l’epoca tardo medioevale, con un perfetto miscuglio di carattere primitivo e artigiano, eleganza regale (vuoi per l’innegabile bellezza fuori scala dei protagonisti, vuoi perché i costumi sono a firma di una Jacqueline Durran che non azzeccava una scelta così stilosa e iconica da parecchi film) e asperità naturale. Se gli scenari naturali e gli abiti dalle texture grezze ma dai tagli raffinatissimi della Durran non fossero sufficienti, aggiungiamo il carico da novanta della colonna sonora di Jed Kurzel (parentela o omonimia?), davvero difficile da non notare per come mescola impressioni sonore tradizionali di quella parte del Regno Unito con un taglio ipercontemporaneo, elettronico, minimalista.
Il bello è che il meglio deve ancora venire: Adam Arkapaw e la sua fotografia, una visione leccatissima di aria satura di ceneri rossastre e lutti nei giorni cristallini ricchi di non colori metallici e terreni: un livello di tirarsela a cui non si può che fare il complimento migliore: pare Roger Deakins che fa la cosa di pavone. In tutto questo anche il caro Justin Kurzel non è che se ne stia con le mani in mano, anzi, la sua regia insiste proprio su uno dei caratteri che io apprezzo di più: il racconto visivo per accostamento d’immagini, reso ancora più vivido da una narrazione che non disdegna il motivo circolare, con immagini che solo a fine film ricorrono di nuovo su schermo e finalmente acquistano senso.
Se sul lato tecnico non è praticamente nulla di contestabile, l’adattamento in sé è parecchio coraggioso, perché pur mantenendo una certa aderenza con la lingua originale, apporta grosse modifiche al nucleo iniziale della storia. La più marcata e immediata è quella di desaturare la figura di Lady Macbeth come la donna nera, la femme fatale ante litteram, privandola del ruolo di eguale (e forse superiore) profondità d’animo e di nefandezza al fianco del marito.
Il risultato è quello di mettere al centro perfetto del film la lenta involuzione/evoluzione psicologica di Macbeth, da valoroso vassallo a tiranno traditore: una parte che indubbiamente si confà a Michael Fassbender (che infatti è ancora una volta DA KING) ma che insomma, non una di cui si senta la carenza all’interno della produzione culturale di qualunque media. Invece si sente una gran mancanza di una Marion Cotillard che possa tirar fuori le sue espressioni più psicotiche. O forse sono io che mi irrito oltre modo quando i caratteri negativi legati a un personaggio femminile vengono spiegazioni a-la-Gravity, andando sempre a parare sulla dimensione femminile e materna. E quindi no, ancora una volta non hai il diritto di essere stronza in quanto donna, no, deve esserci una causa importante, anche se sei un premio Oscar.
Il resto dei cambiamenti apportati invece l’ho molto apprezzato, specie quell’aggiunta proprio sul finale con la spada e il bambino che corre, che sposta un po’ il discorso dal carattere unico e totalitario di Macbeth al potere che plasma menti diverse nella medesima paranoia di poter perderlo.
Lo vado a vedere? Non è un film per tutti ma è una gran trasposizione al cinema di un’opera teatrale, capace di replicarne i contenuti senza farne sospettare la forma originaria. Io ho un punto debole per i film a questo livello di estetismo, però dopo averlo visto mi è venuta voglia di finire il libro, fermo da anni sul comodino: nel film ho rivissuto le sensazioni che dà la scrittura di Shakespeare, che sono sì alte ma non sempre accessibili e sempre richiedenti grande attenzione. Ha un taglio realistico e appropriato al contesto medioevale della vicenda originale ma nel contempo sa tradire quando necessario e donare una nota contemporanea, trasmettendo un che di Shakespeariano piuttosto forte, perciò direi missione compiuta, anche se comprendo benissimo quanti l’hanno trovato freddo e incapace di farsi ricordare a lungo. È la classica situazione in cui anche il gusto personale gioca un ruolo abbastanza rilevante nel gradimento finale.
Ci shippo qualcuno? No, ma come coppia di pazzi corrosi dalla colpa e dall’amoralità il duo Fassbender/Cotillard ha davvero poco da invidiare ad altri noti murder husbands e trasmette una grande affinità coniugale.
Immagino tu l’abbia visto in lingua originale, da quanto mi si dice la fedeltà al testo è tale da sconfinare nell’inglese arcaico, dunque:
Prima Strega: “Quando ci troveremo ancora noi tre nel tuono,nel lampo o nella piova?”
(AKA: quando lo vado a vedere?)
Seconda Strega: “Quando la baruffa sarà spenta, quando la battaglia sarà perduta e vinta.”
(AKA: Aspetta il bluray che è meglio)
Terza Strega: “…prima che la luce sia estinta”
(AKA: vacci subito così almeno ci capisci qualcosa)
A questo punto tu puoi scegliere d’essere la Terza Strega ed urlare:
“Subito!
E si potrebbe all’unisono chiosare sulle polemiche con:
“E’ brutto il bello ed è bello il brutto, libriamoci per la nebbia e l’aer corrotto.”
Sì, a livello linguistico è molto fedele, ma a livello narrativo è talvolta molto, molto traditore.
Fossi in te ci andrei, almeno ti fai una prima visione senza l’ansia di dover concentrarti al 400% senza peraltro capirci poi tutto (io l’avevo appena riletto e ho comunque dovuto aggrapparmi ai sottotitoli come ancora di salvataggio).
Concordo sulla considerazione che hai fatto su Lady Macbeth e l’occasione sprecata con la Cotillard..anche io vedendolo mi sarei aspettata un suo ruolo meno marginale,se cosi’ si puo’ dire? Mi spiegheresti cosa intendi con il discorso del bambino sul finale (ho avuto difficolta’ a interpretarlo)?
ps.a quando il listone fangirlistico?? 😛
[SPOILER]
A me infastidisce molto questo dover legare la presunta malvagità (o anche il solo essere stronze) dei personaggi femminili a maternità mancate o perdute.
L’impressione, magari sbagliata, è che si sia voluta aggiungere la chiosa iniziale del figlio morto per poi spiegare l’inclinazione malvagia e la follia di Lady Macbeth come dolore dovuto a quella perdita (vedi la scena cult davanti all’apparizione del figlio). Che palle.
Personalmente poi adoro come la dinamica coniugare dei Macbeth sia ulteriormente incasinata dal fatto che è lei a pugnalare: chi sta allora influenzando chi? Qui lei non è protagonista nemmeno della sua storia. Peccato.
Io sono molto combattuto.
Credo di non esser stato così combattuto nelle riflessioni post visione dai tempi di Zero Dark Thirty della Bigelow.
Adoro Arkapaw, me lo studio continuamente, è quasi una fonte d’ispirazione, ho persino in bozza da mesi un articolo pieno di screenshot e misurazioni delle palette colori e ho anche apprezzato molto il precedente film fatto da Arkapaw e Kurtzel, quello “Snowtown” che era una gran bella mattonata nello stomaco.
Qui mi sembra che ci sia un problema di fondo, quasi un concetto a monte, un’idea di approcciarsi alla materia che è anche coraggiosa e complessa ma che non mi sembra perfettamente a fuoco.
Questa è un opera in cui la messinscena gioca un ruolo determinante, appare piuttosto evidente come l’attenzione sia stata riposta in maniera spasmodica sul creare una sorta di “epica estetizzante”, mi si passi il termine discutibile, qualcosa di molto simile al “Valhalla Rising” di Refn ma anche per certi versi al “The Revenant” di Inarritu e ovviamente, seppur alla lontana, a quel capolavoro di “Aguirre” di Herzog.
Il problema è che questo tipo di epica dell’immagine trova compiutezza soprattutto in un narrare o riflettere o persino meditare per immagini, il che non vuol per forza dire uccidere la narrativa o fare un cinema contemplativo ma certo l’equilibrio tra parola e immagine assume un ruolo decisivo ed anche i silenzi diventano importanti.
Qui si è deciso di rivolgersi in maniera rigorosa al verbo shakespeariano, pur con molteplici libertà (alcune delle quali discutibili e poco convincenti, su tutte la già citata questione Lady Macbeth ma non è questo il punto), il rigore però è indiscutibile ed è senz’altro affascinante, di verbo shakespeariano parliamo infatti, qualcosa cioè che in quanto tale si impone, si erge a protagonista assoluto, mi verrebbe da dire totalizzante, esattamente ciò che la già citata epica estetizzante vorrebbe o dovrebbe fare, riuscendoci anche per larghi tratti, pur cedendo qui e lì a dell’accademia un po’ sterile (eccesso di slow motion, color correction un po’ troppo spinta sul finale ed altre facezie)
Si viene in definitiva a creare una sorta di conflitto e disequilibrio tra l’evidente lirismo visivo ed il connaturato lirismo verbale. Quasi andassero ognuno per una propria strada, strada che presa singolarmente offre un bell’andare ma che non giunge mai all’incrocio necessario, mi si passi la becera metafora a tema viabilità.
Capisco che può essere una mia fissazione, dettata forse anche dalle aspettative alte che nutrivo, per questo film in particolare ed in genere per tutto ciò che fa Arkapaw,(che qui è, pur non accreditato, anche operatore di macchina) e capisco anche che l’equilibrio tra lirismi che pretendo è forse una richiesta eccessiva e che di autori viventi in grado di affrontarla una cosa del genere non so quanti effettivamente ve ne siano (basta vedere cosa è o forse NON è The Revenant di Inarritu).
Poi ci sarebbero questioni di natura narrativa su come sia stato delittuoso mettere in disparte Lady Macbeth avendo una così brava attrice e per di più così ben calata nel personaggio, soprattutto se ciò è servito a porre al centro un Fassy a cui si vuol bene, bravo spesso ma che qui non m’è sembrato particolarmente nei panni, intravvedendo nei suoi sguardi e nei suoi sogghigni più la follia amletica che la bramosia macbethiana, non un cattivo Macbeth ma neanche indimenticabile.
Ad ogni modo viva dio film che offrono così tanti spunti di pur combattuta riflessione.
È un film che ha fatto molto discutere e i pareri sono tanti e diversi.
Su Lady Macbeth prima ancora che sull’attrice metterei l’accento sul personaggio: è un delitto depotenziarlo per la valenza che ha e la cosa si ripercuote anche su Macbeth (e Fassbender, che io ho trovato al solito ottimo), perché privato del rapporto simbiotico e di dipendenza della moglie. Così, pur agendo, risulta ancora più debole di quando lasciava agire la moglie.
mi rendo conto che tutto questo mio sproloquio è riassumibile con
“…le parole soffiano un alito freddo sul caldo dell’azione.”
(Shakespeare ha sempre ragione)
Noooo, mi piazzi “murder husbands” alla fine, proprio alla fine, quando credevo di averla scampata! Non ci posso credere. Non posso credere che tu abbia fatto un’associazione simile. E io che speravo di potermi semplicemente etichettare come paranoica: così instilli in me il seme del dubbio. Questo spauracchio di psicosi è troppo metatestuale anche per me. Sarà il periodo, sarà il modo in cui viene affrontata la lotta interiore tra il bene e il male, con un approccio talmente interiore da trascendere la morale e un’estetica talmente sublime da superare l’etica. E con punte di misticismo, ma a raffica. E quella dose dose di inettitudine e consapevole rassegnazione erogate a corrente alternata. Sarà più che altro che io con i personaggi di merda mi ci identifico. Ma ho percepito una certa affinità di riflessioni e sensazioni emotive a quelle che mi ha suscitato la visione di Hannibal (ecco, l’ho detto). Comunque anche io ho temuto subito per il ruolo un po’ smorzato di Lady Macbeth, ma alla fine nel complessivo vacillare e osare di entrambi, nell’aggrapparsi l’uno all’altro tirandosi a fondo, alternativamente, sento sia stato raggiunto un equilibrio che rende giustizia ai due personaggi nel modo più autentico: come coppia appunto, dove Lady Macbeth costituisce il negativo di Macbeth anche nella sua assenza. Sono rimasta incantata da questo film, dal modo in cui ha spogliato in maniera brutale l’idea culturale di Macbeth ormai un po’ troppo impolverata. Mi è piaciuto l’approccio scarno e sobrio, riempito di questa immensità esistenziale, questa solitudine, questo abbandono! Poi ti dico, a me Shakespeare piace molto, e non è passato troppo tempo da quando ho letto Macbeth. La psicosi, l’interiorità dei due protagonisti è al netto Macbeth, e questo approccio quasi teatrale credo renda estrema giustizia al succo del discorso. Dargli finalmente questa identità cupa, selvatica, spoglia, un po’ indigesta credo sia il modo migliore per onorare l’opera originale, e ho trovato in effetti il film un intenso e devoto omaggio a Shakespeare. Bello. (Ma ti prego quella cosa con “murder husbands” non farla più, che mi mandi in terapia.)
poi mi chiedono perché tardo tanto con il listone fangirl. Guardate che danni combino solo piazzando un innocente “murder husbands” a fine post.
Non era innocente, era un esca. E io ho abboccato. Comunque capisco tutta la discussione su Lady Macbeth, ma nonostante il rischio corso credo che alla fine la spartizione della dose di corruzione sia equa per i due personaggi. C’era comunque un rischio grosso con Lady Macbeth, ed era quello di inciampare sul personaggio provvisto di quella peculiare malvagità femminile tale da corrompere l’innata bontà maschile: non so quale dei due cliché sia peggiore. Il discorso della maternità tra l’altro è qualcosa che purtroppo è spesso inevitabile includere, per il fatto che biologicamente siamo provviste di un utero. Il problema è proprio che la faccenda non viene affrontata o discussa ma propinata nella solita versione stereotipata e “rassicurante”. Non credo comunque sia questo il caso: il tema del figlio è trasversale a tutto il film, che si apre e si chiude proprio su questo punto, e la sua mancanza è discussa da entrambi i personaggi. La mancanza del figlio credo rappresenti una sorta di inettitudine, sterilità simbolica, e aiuta a esacerbare la loro estrema solitudine e la disperazione con cui si aggrappano l’uno all’altro.