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Carol1In una stagione dei premi finalmente avvincente perché priva di un vero e proprio film forte da battere, il ruolo scomodo di front runner nella pletora di premi di categoria lo sta ricoprendo il nuovo film di Todd Haynes, che in realtà non venne calorosamente accolto al suo passaggio sulla Croisette…perché sì, anche il film che probabilmente rastrellerà più nomination e Oscar quest’anno è stato presentato alla stampa a Cannes. No, giusto per ribadire.
Adattamento del più controverso romanzo di Patricia Highsmith (originariamente intitolato The Price of Salt), Carol ha il grande, grandissimo merito di aver cancellato parzialmente o del tutto la presenza di quelle sviolinate omoaffettive che puntano a far commuovere l’Academy: Freeheld? The Danish Girl? Partendo da premesse LGBT simili Carol non le fa sbiadire. Le cancella proprio, con una classe nel ritrarre, suggerire, romanzare che ci ricorda perché ci piacciono tanto i film romantici drammatici a tinte lesbo.

Carol è un film che avete già visto, riflesso in una miriade di film diversi e ugualmente ben realizzati. Avete già respirato le atmosfere dell’inizio degli anni ’50 negli Stati Uniti, con i sessi ossessivamente descritti e rigidamente destinati a mansioni specifiche, sin da bambole e trenini. Avete già frequentato i piccoli appartamenti affollati di ex studenti squattrinati in cui Therese fuma timidamente in un angolo, avete anche già goduto della perfezione formale di grandi case signorili con donne come Carol che solo la sera tardi di sfilano la scarpa col tacco, ma quando vengono colte a piedi nudi si affrettano a rimediare. Avete già vissuto altrove le atmosfere hopperiane dei motel e delle tavole calde, avete già osservato l’amore della vita entrare e uscire brevemente dall’inquadratura, incorniciato fuggevolmente in un finestrino o in una vetrina. Se amate il cinema di qualche decennio fa, siete già usciti da una visione con ancora addosso l’odore di sigarette fumate languidamente, malinconicamente, sensualmente (e sarebbe anche ora di smetterla con questa ipocrisia e ridarci quelle volute di fumo, quell’accendino che scatta e quella testa che si inclina protendendo le labbra per accendersi la sigaretta).

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Carol è un insieme di fuggevoli sensazioni che conoscete bene ma che volete assolutamente rivivere, almeno se siete quel genere di cinefilo che si reca al cinema anche solo sulla promessa di rivivere la malinconia di In The Mood for Love per una breve sequenza, di struggersi e distruggersi d’amore come in Bright Star, di vivere un momento di stasi in silenzi che urlano struggimenti come in Casablanca. Non c’è un solo dettaglio davvero nuovo in Carol e onestamente non posso che concordare con quanti sostengano sia un film ben più freddo del previsto, dato che ha passato più della metà del minutaggio rapita dall’eleganza formale della regia e non dalla storia di Therese e Carol, pur essendo una spettatrice che è davvero semplice colpire sul piano emotivo.

Si può davvero sbagliare un film romantico dai toni soffusi e drammatici con Todd Haynes dietro la cinepresa e Cate Blanchett con Rooney Mara davanti, per giunta vestite dalla dea Sandy Powell (quest’anno il vero dubbio è se darle l’Oscar per Cenerola o per questo film) e avvolte dall’atmosfera hopperiana creata dalla fotografia di Edward Lachman? La risposta è “difficilmente”. Tuttavia bisogna riconoscere che, pur non lasciandosi mai veramente andare, Carol è sostanzialmente perfetto come lo è un’equazione matematica o la proporzione aurea.
L’impressione è che il materiale di partenza originario, la storia della ricca moglie e della giovane commessa anonima scritta da Patricia Highsmith, fosse già strepitoso e capace di donare continue note contrastanti ai suoi personaggi, caratteri conservati dalla sceneggiatrice Phyllis Nagy: Carol è elegante e ricercata ma anche sbadata e manipolatrice, Therese è arrendevole e purissima ma anche depositaria di un enorme coraggio, persino il marito è crudele e possessivo ma sinceramente legato alla moglie oltre una questione di mero principio o possesso.

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Donato al tocco elegante e visivamente impeccabile di Todd Haynes, che si porta dietro il suo abituale codazzo di figure tecniche, ne esce un film che srotola una straordinaria mezz’ora e più di quella tensione elettrica sotto pelle in cui si sente avvicinarsi il momento del contatto, l’esplicitazione, del “ti amo”, ma è tutto ancora in potenza, seppure fragile e sempre palpabile. Inoltre Haynes condivide col Sam Mendes di Revolutionary Road e con il Tomas Alfredson de La Talpa (film che mi sono tornati alla mente in ben più di un passaggio) l’abilità puramente cinematografica di narrare per dettagli visivi, senza bisogno di parole, magari anche a distanza di un’ora e mezza, creando un continuo, elegante circolo di prime volte che aprono e chiudono, un primo sguardo reciproco e un ultimo tocco alla spalla, la cui enorme valenza nelle vite delle protagoniste può essere spiegata solo occupando il resto del film.

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A distanza di due stagioni non posso che trovarmi finalmente d’accordo con la giuria di Cannes su qualcosa. Cate Blanchett è divina (anche se trovo che bisognerebbe avere il coraggio di ammettere che tutti quei ritocchi al volto purtroppo hanno un impatto negativo seppur minimo sulla sua resa) nell’interpretare una parte perfetta per lei, a cui sa aggiungere con grande maestria quel carattere impulsivo e manipolatore del suo personaggio. Il film ruota attorno al desiderio di tutti di averla: il marito, l’ex amante, Therese, persino la sua bimba la sera di Natale, contrapposto alla sua volontà di “prendere ciò che voglio e buttare tutto il resto”, salvo poi fare i conti con l’enormità di certe perdite. La purezza e l’innocenza di Therese dovrebbero renderla un personaggio atto a far risplendere ancor di più l’oggetto del suo amore, invece Rooney Mara non scompare, anzi, risplende: ancora una volta la sua è una crescita sentimentale di quelle che ci hanno spezzato il cuore decine di volte in altri film, ma è impossibile non stare male con lei perché trasmette con tale intensità il dolore di ogni esperienza che la cambia da spogliarci dai veli anestetizzanti della nostra esperienza e da appropriarsi del ruolo principale: il centro narrativo è Carol, ma questa è la vie de Therese. Rooney Mara ha un fiuto per i casting eccezionale ed è almeno visivamente la più autentica erede di Audrey Hepburn, ma dopo una Lisbeth Salander stupefacente e questa Therese non si può negarle di essere una grande, enorme promessa già mantenuta, sperando che continuino a fioccare le parti giuste.
Nessun purtroppo parla di un’attrice che le sue promesse le ha sempre mantenute, ma a cui ancora manca l’occasione da protagonista: Sarah Paulson si fa notare in mezzo a queste due attrici enormi con ruoli pazzeschi, sfruttando al massimo un ruolo che è altrettanto interessante a dire il vero, ma che è suggerito più che espresso.

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Lo vado a vedere? In tanti hanno promesso storie d’amore struggenti nel 2015, ma era da molto, molto tempo che non mi struggevo così, sebbene solo nell’ultima parte del film. Da Carol si esce con la malinconia che ti resta appiccicata addosso, con la voglia di ascoltare una canzone triste e guardare fuori dal finestrino del treno, lasciando vagare la mente, godendosi quella traccia di profumo nell’aria. Melodramma e cinema autoriale alla massima potenza, consigliabile a tutti ma assolutamente imperdibile se anche solo il genere vi piace.
Ci shippo qualcuno? Qui scatta la pecorella. Non in chiave tradizionale, ma per come Carol segni un punto di non ritorno in questo particolare genere, riuscendo a far coesistere le atmosfere soffuse senza sfumare nel momento di contatto fisico, rifiutando attraverso Therese il facile assunto del passato in cui se vuoi mantenere un tono elegante e allusivo e autenticamente romantico la luce la devi spegnere. E poi vi pare poco se vi dico che qui siamo quasi ai livelli di volute di fumo sottili e lievi tocchi di mani di Tony Leung e Maggie Cheung? Questa è pura lana merinos di sentimento omoaffettivo e spero vivamente che qualcuno si industri a produrre materiale fangirlistico extra all’altezza.

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