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Autocompiacimento registico, delicate palette cromatiche, Ennio Morricone, film col dramma dentro, film d'Ammmmore, Giuseppe Tornatore, Ho visto la gente nuda, Jeremy Irons, ma anche no, Olga Kurylenko, piccoli borghi nel centro Italia, Psicologia e Psicosi, Shauna Macdonald
Il corollario di essere uno dei pochi registi italiani con i mezzi e la volontà di uscire dal piccolo recinto nazionale e puntare al Mondo è che spesso si finisce per farsi molto male. È valso a livello economico per Matteo Garrone con Il Racconto dei Racconti, l’ha schivata Paolo Sorrentino con Youth vendendo ancora una volta una sorta di immagine patinata del cinema italiano come altrove vogliono che sia, ci è cascato in pieno e ancora più di prima Giuseppe Tornatore con il suo ultimo film.
Peccato, perché il gioco al massacro non è mai divertente, specialmente quando siamo di fronte a un investimento economico da 10 milioni di euro e a uno dei rari sceneggiatori e registi che sembra non avere reazioni luddiste al nostro vivere la modernità tramite strumenti tecnologici onnipresenti.
Se con La Migliore Offerta non ero del tutto convinta ma nemmeno troppo negativa, La Corrispondenza merita solo una bocciatura senza appello.
Per parlare di questo ultimo film bisogna inevitabilmente tirare in ballo il precedente, con cui condivide le aspirazioni e il cast internazionali e, a livello più profondo, il nucleo tematico dell’impossibilità di scendere a patti in maniera ordinata con una vita senza amore. La scorsa volta i toni erano quelli di un’elegantissimo, freddo thriller, qui sotto la patinatura ancor più studiata si celano le tinte del melodramma: il professore di astrofisica Ed Phoerum (Jeremy Irons) intrattienere una relazione appartata ma appassionata la sua giovane studentessa Amy Ryan (Olga Kurylenko), che si divide tra passione per le stelle e lavoretti da stuntman per affrontare le piccole spese. Tra i due amanti presto s’instaura la più insormontabile delle relazioni a distanza, a cui Ed cerca di porre rimedio con uno dei metodi più antichi della storia dell’umanità, la corrispondenza, anche se potenziata dall’utilizzo di smartphone, videocamere e laptop, che non vanno a sostituire bensì ad affiancare carta da lettere e francobolli.
Il nucleo tematico del film scritto e diretto da Tornatore vuole essere l’eterno conflitto tra due spinte opposte, accettare la fine di una storia d’amore andando avanti o vivere voltati verso il passato, spinti dal bisogno quasi fisico di mantenere un legame. Il tutto ammantato da un’onnipresente riferimento alla morte, presente sia in veste di peccato da espiare sia in chiave più serena, come punto in cui le domande astrofisiche e filosofiche si fermano e lasciano il posto ai dubbi in attesa di risposta.
Il problema de La Corrispondenza è innanzitutto la scarsa pulizia narrativa in fase di scrittura, che avrebbe necessitato di ampie revisioni: ci ritroviamo così a seguire una già non dotatissima Olga Kurylenko che si trascina con la sua valigia ora qui e ora lì (fino a quel tremendo Borgo Ventoso di fantaghironiana eco), prima con dettagli inutili e ridondanti, poi con spezzoni totalmente superflui (i furti), infine con il continuo scorrere di location bellissime ma troppo pulite, così come la confezione generale del film, finendo per risultare più adatto a uno splendido instagram che a una scena che possiamo percepire come reale.
Manca cuore e manca un minimo di velo grana e sporco per rendere questa storia d’amore vera. Insomma, un film romantico che aspira all’esistenziale senza averne le gambe e che forse commette il peccato peggiore, quello di pontificare su qualcosa di etereo come il sentimento amoroso facendosi continuamente retorica e paternali, appesantendo il tutto con esplicitissimi metaforoni, senza però mai farcelo davvero vedere, il sentimento. Se ne parla, se ne scrive, ci si pontifica su, ma non c’è mai una scena in cui il sentimento sia incarnato e non spiegato, visibile e non evocato, se non forse nella bellissima statua. È incredibilmente sconcertante vedere un film con cellulari che squillano a ogni momento e molto minutaggio di video consumato sul portatile avere un’impostazione così volutamente lenta e retorica, una struttura pesante e ormai datata, che rende il film interminabile e talvolta involontariamente ridicolo.
A livello più profondo se cerchiamo di non lasciarci abbindolare da momenti di pura ricerca estetica molto riusciti (la suddetta statua mi ha ricordato la scena finale de Vita di Adele, ma era una trovata che avrebbe fatto strage di cuori anche al Sundance) e a non addormentarci a causa della ripetitiva, noiosa e asfissiante sonora di Ennio Morricone, non si può che individuare un altro problema di fondo, quello della caratterizzazione dei protagonisti.
Vengono entrambi presentati come innamoratissimi uno dell’altra, ma a livello logico funzionerebbero meglio se fosse più insistita la componente malata di un uomo che di fondo non riesce ad accettare di non poter manipolare più la vita di quelli che gli stanno attorno e in particolare della sua amata e finisce per tormentarla senza che lei riesca a rendersene conto. Il gelido dottore che lo aveva in cura apre uno spiraglio di verità, un punto di vista fuori dalla storia che evidenzia soprattutto il paternalismo odioso di un uomo che non solo non accetta di lasciare la donna che ama, ma non rispetta nemmeno i limiti di quello che lei vuole mantenere riservato, andandosi ad impicciare anche nei suoi traumi passati.
Purtroppo non è che Amy risplenda di coerenza e forza interiore, un po’ perché la sua interprete non riesce a regalarle la naturalezza di cui avrebbe un gran bisogno quando parla al suo amato tramite videocamera (dando a questo comprensibile espediente il sapore della cretinata) un po’ perché si lascia imprigionare in questa vita pianificata per lei da lui e con lui, senza nemmeno uno sfogo amaro sul di lui egoismo.
Lo vado a vedere? Non siamo al livello delle nonsense piroette nauseanti nel grano di To the Wonder (al solo pensiero vengo assalita dalla nausea e dal torpore) ma è decisamente un altro film con protagonista la Kurylenko verso cui professare indifferenza e disinteresse sarebbe l’atteggiamento più saggio. Peccato, per una volta che i materiali promozionali di un film italiano sono chiaramente realizzati con il coinvolgimento di un grafico.
Ci shippo qualcuno? No.
Aggiudicare dallo stile compositivo credo che il grafico sia Federico Mauro o che comunque sia un lavoro della sua Vertigo, un agenzia di comuncazione romana che fa sempre ottimi lavori, con un gusto semplice, assai lineare ma anche evocativo. Il problema è che spesso con i loro poster ti creano grande interesse per film bruttissimi 😎