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Anastasia Hille, Benedict Cumberbatch, Ciarán Hinds, father issue, Karl Johnson, Kobna Holdbrook-Smith, Leo Bill, Lyndsey Turner, National Theatre Live, Nexo Digital, Siân Brooke, teatro, William Shakespeare
L’iniziativa di Nexo Digital di celebrare i 400 anni dalla morte del Bardo portando per due giorni nei cinema italiani quello che di fatto è stato lo spettacolo principe della scorsa stagione teatrale londinese è davvero lodevole per tempismo e contenuto, dato che anche in Italia i fan di Shakespeare e quelli di Benedict Cumberbatch non mancano.
La prima categoria rischia però di rimanere parzialmente delusa da quello che di fatto è uno degli adattamenti più lontani dalla materia originale, che sembra pensato con un occhio di riguardo al pubblico cine-televisivo ben prima della sua trasformazione in un evento della rassegna National Theatre Live (la trasmissione in diretta mondiale nei cinema di un evento che si svolge nel teatro londinese).
Dopo essere diventato lo spettacolo teatrale inglese che è andato sold out più velocemente della storia, Hamlet di Lyndsey Turner ha ovviamente attirato su di sé opinioni piuttosto polarizzate e talvolta pregiudizievoli.
Intanto che io tento di fare un po’ di ordine, se il 19 0 il 20 aprile volete andare a vederlo al cinema, potete consultare QUI l’elenco delle sale che trasmetteranno Amleto.
Il primo, imprescindibile quesito a cui bisogna rispondere parlando di questo Amleto è il suo interprete, Benedict Cumberbatch. Da alcuni accreditato come l’attore di questa generazione, da altri liquidato come “nemmeno il più bravo su quel palcoscenico”, Cumberbatch a mio parere gestisce magnificamente una parte che si addice molto alle sue caratteristiche d’interprete. Come abbiamo imparato con Sherlock, è un attore che catalizza immediatamente l’attenzione e ha una scala emotiva molto variegata ed esprimibile con una potenza emotiva invidiabile. Un ruolo così centrale, che non gli richiede di fondersi con il resto del cast ma anzi di primeggiare a suon di soliloqui e monologhi è semplicemente perfetto per lui.
Professo sin da subito la mia profanità in campo shakesperiano ma mi sembra doveroso concedere a Cumberbatch almeno il fatto che, a differenza di una certa parte di attori televisivo-cinematografici, è assolutamente padrone della sua voce, capace di modularla e adattarla alla musicalità della lingua shakespeariana, guidando l’attenzione del pubblico e mantenendola costantemente come ogni serio professionista del palcoscenico teatrale.
Cumberbatch è solo la punta di un iceberg, perché questo adattamento pesca a piene mani in cinema e televisione per comporre il suo cast. Ciarán Hinds per esempio per me sarà sempre il padre di Dejah Thoris in John Carter e Roy Bland in La Talpa. Qui l’ho trovato un Claudio ben misurato, la cui malvagità sa esplodere solo quando necessario, senza raggiungere picchi eccessivi per il ruolo del tiranno per antonomasia. Anche la Gertrude di Anastasia Hille ha un volto noto, ma forse il personaggio ha qualche problematica in più. A spiccare particolarmente è l’Ofelia di Siân Brooke, nonostante il rimaneggiamento della consecutio temporum dello spettacolo le sottragga parecchi colpi in canna. Mi capita di rado di vedere attori davvero incapaci a teatro, ma Leo Bill con la sua recitazione impostata e la sua spudorata teatralità mi è risultato particolarmente odioso, tanto che quasi quasi sono contenta che gli abbiano negato di pronunciare quel Good Night, Sweet Prince nel finale.
È il rimaneggiamento sia a livello linguistico sia a livello cronologico il pomo della discordia per quanto riguarda questo spettacolo. Gli eventi sono più o meno gli stessi. certo, ma l’ordine di presentazione è molto diverso dall’opera di Shakespeare. Il che di per sé non è necessariamente un male, ma qui ne esce un’opera con un primo atto molto più lungo e denso del secondo. Spostare scene cardine come quella del teschio così presto nell’economia della storia significa in un certo senso svuotarle del significato psicologico che assumerebbero più tardi, così come anche la gestione della coppa avvelenata è poco efficace e ruba a Gertrude uno dei passaggi carne della sua vita.
Anche la lingua ha subito un’attualizzazione più che sporadica, mendata com’è dei passaggi più arcaici, ma anche della musicalità dei versi shakesperiani. Se al post di Eager dici Acid, forse rendi più immediatamente comprensibile che sta succedendo allo spettatore occasionale, persò significa perdere musicalità e ritmo.
Per quanto riguarda il comparto tecnico, c’è solo da ringraziarli vivamente. In primis l’efficacissima e molto cinematografica scenografia, che riesce nel difficile intento di creare una vera profondità. Il setting, tra scalinate funzionali e funzionanti e un grande tavolo che assume diverse varie valenze (banchetto, e consiglio di guerra) e fa un spendido paio con i costumi di Katrina Lindsay.
Anche la regia di Lyndsey Turner mi ha lasciato molto soddisfatta, riuscendo a rendere più digeribili le tre ore di durata con tante invenzioni che strizzano l’occhio proprio al cinema. La conclusione tanto agognata del primo atto poi è un esempio perfetto di scena memorabile in cui c’è un utilizzo molto bilancio di effetti speciali e interventi correttivi estetici.
Lo vado a vedere? È uno Shakespeare fortemente rimaneggiato e semplificato, che guarda agli spettatori attratti dal nome altisonante in copertina. Insomma più Shakespeare for dummies che il sogno bagnato di un Theathre Goer.
Ci shippo qualcuno? No, scusate ma sono ancora shockata dall’inabilità di Leo Bill, uno dei candidati più papabili. In compenso, come al solito, ecco un father issue gran grosso così.
Riciclo il commento al post di un amico, ma lo spettacolo mi ha affascinato come di rado mi è accaduto con Shakespeare.
Ho fatto fatica sulla distanza, che non ho più l’età per certi orari, ma non avevo mai visto un Amleto così spettacolare e al contempo appassionante e intenso.
Scenografia e massa in scena incredibile, e attori (quasi tutti) straordinari (ok, Cumberbatch si sapeva, ma a me è piaciuta un sacco anche l’Ofelia di Siân Brooke.)
Era la prima volta che vedevi uno spettacolo del NTL? Solitamente scelgono appunto allestimenti molto spettacolari, in modo che rendano su schermo.
Questo però in particolare era davvero ben congegnato, la scena alla fine del primo atto…wow. Non cedeva nemmeno troppo alla mania degli effetti digitali futuristi.
Prima volta, sì. E son rimasto basito.
La chiusura del primo atto è stata straordinaria, meraviglioso, incredibile.
(sono ancora qui a chiedermi come faceva Claudio a rimanere li, fermo, con tutta quella roba che gli volava davanti…)
Era davvero una pensata fantastica e Ciarán Hinds non si è scomposto di un millimetro (d’altronde è il Jeddark di Helium e il papà di Dejah Thoris!). Lui mi è piaciuto molto devo dire, in genere quel ruolo è davvero calcato.
Se posso permettermi, ti consiglio allora di recuperare del NTL (immagino si trovino facilmente in giro):
– Frankestein di Danny Boyle: molto più classico ma i due interpreti sono davvero eccezionali e hai la possibilità di vedere il play in entrambe le versioni (si scambiavano i ruoli sera dopo sera!). Sempre Cumberbatch.
https://gerundiopresente.wordpress.com/2012/10/01/recensionando-frankenstein-di-danny-boyle/
-Macbeth con James McAvoy.
Questo ho avuto l’incredibile fortuna di vederlo dal vivo, ma mi pare sia stato oggetto di una produzione NTL. Molto più teatrale e shakespeariano di Amleto, sicuramente più ostico e “teatro impegnato” ma l’ambientazione SFF e McAvoy valgono lo sforzo.
https://gerundiopresente.wordpress.com/2013/04/21/recensionando-macbeth-di-jamie-llyod/
Grazie!
Segnati. (‘mo devo solo trovare il tempo…)
Non sono d’accordo, non mi è sembrato un Amleto for dummies (non più di quanto non lo fosse al tempo di Shakespeare) ma al contrario un Amleto destrutturato, senza rinunciare a essere popolare: un Amleto televisivo, nel senso migliore del termine.
Lo sfasamento di alcune scene e battute celebri su di me ha avuto l’effetto di sminuirne la centralità e permettermi di concentrarmi di più su altri momenti che passano spesso in secondo piano (poi di quanto è anticipato il monolgo? Non mi pare di molto, ma difficile regolarsi in una versione in due soli atti).
Comunque secondo me certe scelte funzionano proprio in un’ottica televisiva e cinematografica, che fa di Amleto un film horror-psicologico restituendogli una dimensione popolare che il teatro di Shakespeare aveva (quante versioni di Amleto fanno anche ridere?).
Per me è stata un’esperienza coinvolgente e visivamente spettacolare, che non ha come fulcro Cumberbatch (a un certo punto quasi mi dimenticavo di lui, tanto funzionava – quasi – tutto).
Su una cosa ti do ragione, l’adattamento linguistico: anche se Amleto è l’unica opera di Shakespeare che ho studiato in inglese per l’esame di Lingua, non è che ne conservi un ricordo indelebile. Qui mi sono affidato ai sottotitoli, ma in genere per me la parola poetica è una priorità, e se avessi conosciuto meglio il testo (come per le opere liriche) forse il mio giudizio sarebbe stato diverso.
Il punto è: se vuoi farne una versione estremamente cinematografica e semplificata per ritmi e lingua, non fai prima a farne un film?
Non mi fraintendere, a me è piaciuto davvero molto, ma capisco perfettamente gli appassionati che l’hanno sentito poco Shakesperiano. La lingua è sì più accessibile, ma anche molto meno shakespeariana (quell’acid in the milk non si poteva sentire). Non è una questione filologica eh (io stessa seguo molto meglio del solito) ma si perde davvero la cadenza e la musicalità del ritmo. Si perde davvero tanto quel “sto assistendo a un play di Shakespear”, alle volte si sconfina in altor. Poi c’è modo e modo di fare un’operazione ormai comunissima. Il problema è che qui ci sono parecchi passaggi in cui ci si accorge subito dei cambiamenti e risultano stonati.
I cambiamenti di timeline, i tagli e far pronunciare questo o quello ad altri personaggi sono davvero tanti, io ho riportato solo quelli che ricordavo dal basso della mia scarsa esperienza.
Sull’ironia poi è una delle critiche più diffuse, ovvero che questo Amleto si è perso per strada proprio la parte più divertente, che fa parte di questa tragedia quanto il teschio (che a mio parere perde molto piazzato lì dov’è) e Ofelia pazza.
Poi mi immagino un appassionato teatrale costretto lì in mezzo a gente che riprende tutto col cellulare e rumoreggia (o almeno, vari report dichiaravano così) e capisco la stizza. In effetti io seguo da parecchio questi eventi, e negli anni è diventato via via più evidente come certe megaproduzioni siano pensate anche per la controparte televisiva, ovvero secondo me l’unico grande peccato di un’iniziativa altrimenti solo che positiva. È fantastico vederli al cinema, ma la priorità deve essere il teatro, anche a scapito di una fruibilità minore in differita.
Per farti un esempio, il Macbeth di Llyod aveva un ottimo equilibrio in questo senso…ed era molto meno accessibile. Secondo me questo Amleto è molto “for dummies”, ma non c’è nulla di negativo…è una scelta di campo, che comporta varie conseguenze.
Io ho l’impressione che sia il contrario: l’emozione di vedere uno spettacolo cinematografico _a teatro_, un po’ come essere immersi in un film. Penso che l’esperienza migliore l’abbiano avuta proprio gli spettatori dal vivo (magari non nella sera delle riprese, se è andata come dici, ma lì il problema non è la troupe televisiva, ma del pubblico attratto dalle star della serie tv).
Ma leggendo i tuoi commenti sopra vedo che sei tra le fortunate che hanno assistito dal vivo ad altri spettacoli, e penso che in fondo diciamo le stesse cose.
Anche sul linguaggio hai perfettamente ragione, non dico che non sia grave, semplicemente non ci ho fatto caso perché non ho l’orecchio allenato ai versi shakespeariani, essendo abituato alle traduzioni e (in questo caso) avendo seguito prevalentemente i sottotitoli.