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cannes_manifestoAhhhh, il sole, il mare, la Croisette! Stavolta ci è mancato davvero pochissimo e per un certo numero di settimane a inizio 2016 è sembrato che la sottoscritta sarebbe stata inviata sulla Croisette e da lì vi avrebbe raccontato il festival cinematografico più importante del mondo (sorry Venice not sorry).
Invece mi ritrovo qui a raccontarvelo ancora una volta per interposta persona, presentandovi qualche (pre)giudizio su quanto passato al Palais, per quanto si è potuto capire da qui, filtrato dai social e dalle peculiarità della stampa italiana. Metteteci che, ironia del destino crudele, per alcuni giorni durante il festival ero sì in Francia, ma a Parigi per una breve vacanza e forse quest’anno il sunto sarà veramente stringato.
Domani verranno annunciati i vincitori e soprattutto il possessore della Palma d’Oro numero 69. Ecco i film che sembrano favoriti a questa corsa e quelli che non vedo l’ora di vedere.

[nella sezione Essentials trovate tutti gli speciali dedicati alle scorse edizioni del Festival]

CANNES 69: UN BILANCIO

Per giudicare davvero un’edizione del Festival, bisogna aspettare circa un anno, quando nei cinema italiani è approdata la quasi totalità dei film in concorso nelle varie sezioni che poi effettivamente arriverà anche da noi.
Questo per dirvi che ad oggi posso sostenere che l’edizione passata era stata ingiustamente bistrattata e, oltre a contenere capolavori fuori concorso, aveva un paio di perle notevoli anche nelle sezioni minori (fatevi un giro sulla tag Cannes 2015 per rinfrescarvi la memoria).

A poche ore dalla conclusione del festival, l’impressione è che purtroppo quest’anno il bilancio finale non sia altrettanto buono. Esaminando il concorso principale sembra proprio che sulla Croisette si siano incaponiti per avere alcuni protetti del Festival le cui prove erano tutt’altro che senza macchia, causando un abbassamento del livello generale e l’approdo di alcuni film che quando è andata bene hanno diviso, quando è andata male hanno unito critica e pubblico in un’unanime pernacchia.

A salvare l’edizione ci hanno pensato come al solito i film fuori concorso, che raggruppano il meglio del cinema mainstream che Hollywood offrirà nella prima parte del 2016, e i nomi meno glamour in concorso. L’impressione è che però quest’anno manchi un Son of Saul, un film giovane e spettacolare, in grado di mettere d’accordo davvero tutti. In compenso però un paio di “grandi vecchi” mettono a segno grandi colpi (e potrebbe scapparci la Palma) e un paio di cinematografie ai margini confermano un ottimo stato di salute. Italiani praticamente non pervenuti, ma forse sarebbe servito un po’ di coraggio per mandare pellicole meno tradizionali e nomi meno rodati (vedi le ottime uscite di inizio anno).

I PEGGIORI

In un anno in cui pochissimi hanno davvero convinto e in tantissimi sono finiti sotto l’etichetta del “mixed reviews”, questa categoria è aperta un po’ a tutti, a seconda della fonte che si prende e dei gusti personali…insomma, chi sareste pronti a difendere a spada tratta?

cannes_lastfaceC’è un solo titolo davvero insalvabile che raccoglie unanime responso di lungometraggio peggiore della rassegna ed è The Last Face di Sean Penn, che a detta davvero di tutti è un film di così rara bruttezza da sconfinare ampiamente nel ridicolo.
La storia è quella di due operatori umanitari del primo mondo che si amano nel mezzo delle truci tragedie del terzo, utilizzate in maniera così manichea e pretestuosa da rendere il film una farsa da colonialismo spiccio, un inno ai first world problems, aggravata dal fatto che i protagonisti sono pure due noti belloni che dei missionari laici non hanno davvero nulla: Charlize Theron e Xavier Bardem. Il The Splash di quest’anno, investito da un’ondata di fischi, insulti e risate in proiezione, pare meritatamente.

cannes_theneondemon_bSe siete rimasti sorpresi dal fischi a The Neon Demon di Nicolas Winding Refn
significa che o siete tra i fortunati che non hanno visto Only The God Forgives oppure tendete per ignavia o grande amore per Drive a ridurre la produzione di Refn a quest’unico film di raro equilibrio tra autorialità e capacità di mettere un freno alla propria autoreferenzialità. Seppur sostenutissimo, iperestetizzante e inconcludente pare che quantomeno una delle cocenti delusioni del concorso sia più che altro incapace di arrivare a un punto netto, a dire qualcosa di rivelante, senza però farti venire voglia di cavarti gli occhi come in precedenza. Elle Fanning se ne va a Los Angeles con l’intenzione di fare carriera come modella ma la sua bellezza e purezza si scontrano con un mondo crudele e sanguinario, che però non riesce ad essere interessante oltre il livello di estrema patinatura di cui il film si fregia. Vi dirò, temevo di peggio.

cannes_personalshopper[Vincitore del premio per la Regia – ex aequo]
Personal Shopper di Olivier Assayas
è un
altro film in concorso ad alto tasso di contestazioni, ma qui siamo in tutt’altro territorio. Pur non avendolo visto, sono certa di due cose: questa ghost story di una giovane assistente agli acquisti dei VIP che si ritrova a conversare con lo spirito del fratello morto non solo non sarà brutto quanto i due titoli precedenti, ma probabilmente beneficerà di questa etichetta di titolo controverso che gli hanno appiccicato addosso.
Un po’ come accadde per The Clouds of Sils Maria, accolto con grandissima freddezza salvo poi essere ricordato a un anno di distanza quasi con affetto, qui il selling point sta non tanto nella presenza di una Kristen Stewart dalla carriera sempre più interessante, quanto nella capacità imbattuta di Olivier Assayas di ritrarla su pellicola così come Hollywood la vede: irrimediabilmente affascinante, magnetica, non convenzionale, misteriosa, suo malgrado diva. Questo lo vedrò con piacere.

I MIGLIORI

Categoria in cui bisogna fare distinguo tra quanti hanno la possibilità di portarsi a casa la Palma e i belli ma invisibili di cui riparleremo per la cinquina dell’Oscar al miglior film in lingua straniera (vedi alla voce Mustang).

cannes_elleIl fatto che nessuno abbia veramente sbaragliato la concorrenza significa che la lotta per la Palma è ancora apertissima, perché è davvero difficile capire quali film potrebbero conquistare un presidente di giuria come Miller. Per esempio oggi, durante la giornata di chiusura solitamente ininfluente, è piombato giù dal cielo un film come Elle di Paul Verhoeven, il regista di Basic Instinct che impara il francese per ingaggiare una strepitosa Isabelle Huppert (occhio allo sciovinismo del Festival) e tirare fuori un thriller che ci fa chiedere: i pronostici sono davvero chiusi?
Dovessimo dar credito alle voci di Miller impenitente femminista, allora questo thriller seducente di una donna che subisce un’aggressione violenta in casa propria e ha una reazione imprevedibile, pericolosa ed ad alto tasso erotico avrebbe tutte le carte in regola per riaprire la gara. Il sentore è che sia troppo popolare per una certa parte della giuria, ma di certo ha assestato un bel colpo mentre tutti stavano già preparando armi e bagagli per tornare a casa.

toniAl momento, se proprio bisogna sbilanciarsi, il favorito potrebbe essere Toni Erdmann
di Maren Ade.
Con la vittoria di questa pellicola su un padre che s’inventa una personalità fittizia nel disperato tentativo di tirar fuori la figlia dal tunnel anaffettivo e stakanovistico in cui si è infilata, la Croisette otterrebbe una vittoria pulita e efficace su due fronti: un riconoscimento alla rinascita del cinema tedesco, che negli ultimi anni ha regalato almeno un paio di film spettacolari l’anno e una risposta forte alle accuse di misoginia neanche poi così infondate che piovono ogni anno sulla selezione ufficiale, dato che parliamo di una sceneggiatrice e registav orso d’argento a Berlino qualche edizione fa.
Il glamour qui però sta davvero a zero e il fatto che non ci sia un nome davvero altisonante potrebbe costare la vittoria al film.

cannes_paternProblema che invece non ha Paterson di Jim Jarmusch, forse il film più amato dalla critica tra quelli in concorso, che segna il grande ritorno di uno dei registi statunitensi indipendenti più amati dopo la mezza delusione di Only Lovers Left Alive.
Uno dei pochi premi su cui c’è abbastanza consenso è quello per miglior attore, che con molta probabilità andrà a finire nelle mani di Adam Driver per il suo ruolo di conducente di autobus nell’omonima cittadina statunitense votata alla letteratura e alla poesia. Pare che oltre alla vibrante performance di Driver (per chi avesse ancora bisogno di conferme che dietro la maschera di Kylo Ren c’è un signor attore) il film sfrutti la capacità quasi inedita per il suo regista di creare un forte legame emotivo con lo spettatore, differenziandosi dall’approccio quasi algido delle sue precedenti pellicole.

AMERICAN_HONEY_TEASER_1SHEET.indd[Vincitore del Gran Premio della Giuria] Occhio però perché la critica e il suo parere hanno un’influenza limitatissima, perché la corsa si fa sui gusti dei giurati, quelli che hanno potere di vita, morte e Palma d’Oro. Pare che al presidente e a Kirsten Dunst sia particolarmente piaciuto American Honey, che rientra comunque tra i meglio votati della critica. Considerato che questo film inglese è di nuovo diretto da una regista, Andrea Arnold, forse è davvero il caso che in Croisette ci facciano davvero un pensierino su una quota rosa un pochino più rivelante in gara. Zitta zitta la Arnold dopo Fish Tank e Wuthering Heights centra il suo terzo film riuscito, tant’è che comincia ad esserci spazio per una consacrazione…vedremo. Ancora una volta è la storia senza filtri e senza compromessi di una giovane ragazza, Star, che decide di mollare il peso dei fratelli minori che la famiglia le scarica addosso e di andarsene a bighellonare con una compagnia di perditempo appena maggiorenni. 2 ore e 42 minuti per un road movie che detta così sembra pesantissimo, ma pare sia così pazzesco da farne uscire bene pure Shia LaBeouf.

cannes_Bacalaureat[Vincitore del premio per la Regia – ex aequo]
La Romania era già fortissima nella line-up del concorso e si è confermata in forma smagliante e pronta a una Palma. Ci potrebbe riuscire Bacalaureat di Cristian Mungiu, che una Palma a casa già ce l’ha per 4 mesi, 3 settimane e 2 giorni.
Nel giorno di Dolan, la scena se l’è oggettivamente mangiata Mungiu con un film dalla regia tanto solida quanto la sua sceneggiatura. Protagonista un medico romeno di nome Romeo, concentrato da una vita a far studiare la figlia Eliza per farla uscire dalla povertà e violenza del suo Paese natale, salvo poi subire un’aggressione proprio sulla vita dell’esame che le dovrebbe aprire le porte verso un futuro migliore all’estero. La cosa si risolve in una crisi d’identità per lei e in un’indagine sempre più cupa per lui. Difficile che se la Palma parlerà romeno sia per il connazionale Sieranevada di Cristi Puiu, che comunque si è portato a casa le sue signore recensioni. Non vorrei essere nella commissione che dovrà decidere chi candidare agli Oscar per la Romania.

cannes_aquariusUn serio front runner di questa lista infinita è anche Aquarius di Kleber Mendonca Filho. Diciamo la verità: con un’altra giuria mitteleuropea (quelle che qualche anno fa smaniavano per i Dardenne, insomma) la Palma se la sarebbe già messa in tasca. C’è tutto quello che fa per esempio impazzire berlino: dramma sociale e vagamente socialista di Clara, una donna borghese che si rifiuta di lasciare la sua casa a chi vorrebbe radere al suolo il caseggiato per costruire un condominio di lusso. Attenzione a Sonia Braga per un premio alla miglior interpretazione femminile, tra l’altro. L’aspetto più intrigante è che a differenza di un certo tipo di cinema PESO che tratta tematiche simili, qui la lotta è ambivalente, perché Clara viene ritratta come il personaggio destinato a perdere, che lotta per una causa giusta e per i motivi sbagliati, opponendosi al cambiamento, alla mortalità, all’essere sorpassata dal nuovo.

cannes_thesalesman[Vincitore del premio per Miglior Attore, Migliore Sceneggiatura] Poteva mancare un film iraniano che scavi nella difficile realtà contemporanea dell’Iran alla corsa alla vittoria di un festival cinematografico europeo serio? Signor no, ed eccoci qui a parlare di The Salesman di Asghar Farhadi. Ora, dopo aver protestato vivamente per la vittoria di Taxi su El Club a Berlino l’anno scorso e averlo sminuito, salvo poi dovermi ricredere dopo averlo visto (El Club rimane comunque due spanne sopra, sia chiaro), ho un debito di fiducia verso il cinema iraniano. Sulla carta questo thriller di Farhadi è anche intrigante: una donna viene aggredita misteriosamente perché scambiata per una prostituta. Il marito, anziché andare alla polizia, comincia a indagare per conto suo, deciso a sbugiardare davanti a tutti l’autore della violenza, coprendolo d’infamia. Peccato che tra le sue mura violate potrebbero celarsi importanti pezzi del puzzle. Molto Hitchcock e molto promettente, ma pare in tutto e per tutto il solito film di Farhadi.

theniceguysNon c’è molto da dire: The Nice Guys pare sia un buddy movie fantastico, a conferma che Hollywood ha capito che Cannes è troppo importante per non mandarci film meno che ottimi da passare fuori concorso.
Mi stupisco io stessa dato che i nomi sul poster sono quelli di Russell Crowe e Ryan Gosling (non proprio in cima alla lista dei miei cocchi, mettiamola così), però pare bisognerà dargli almeno il beneficio del dubbio.
Per lo stesso motivo attendo con ansia il GGG di Steven Spielberg e Money Monster…beh, c’è sempre un’eccezione alla regola, giusto?
Per La Mia Vita da Zucchina, film d’animazione di pregio di Claude Barras, pare ci sia solo da pazientare un po’, dato che Teodora Film ci ha inondato Instagram.

I CI TOCCA

idanielblake[Vincitore della Palma D’oro]
Io ne avrei anche piene le scatole di questi film alla Dardenne. Tuttavia va detto, non sbagliano un colpo e anche con La Fille inconnue portano a casa ottime recensioni, anche se per fortuna paiono lontanissimi dall’ennesima palma. Stessa cosa non si può dire per Ken Loach, il che ci esporrebbe a paginate di “il grande vecchio che conquista Cannes”, di cui io, di fronte a tanti giovani cineasti che hanno tirato fuori cose così. beh, ne farei anche a meno. Pare che però questa si limiti ad essere una considerazione personale perché I, Daniel Blake è piaciuto moltissimo e rischia davvero di portare a casa qualcosa. Carpentiere inglese che il dottore vorrebbe mettere a riposo per rischio infarto si ritrova invischiato in un inferno burocratico, un sistema di welfare a punti indifferente alle sue esigenze che gli nega crudelmente la possibilità di un congedo per malattia. Pare sia molto bello, però mi sembra già di averlo visto, in pratica. NEEEXT.

julietaJulieta di Pedro Almodovar ha delle recensioni così altalenanti  che è impossibile capire se sia meglio/peggio/uguale all’ultima produzione del regista spagnolo, teso come una corda di violino sulla Croisette che lo ha sempre tradito anche quando nella sua forma migliore, negandogli una Palma che difficilmente arriverà nell’anno in cui è rimasto invischiato nei Panama Papers.
E dire che inizialmente la voglia di cambiare aria e girare in inglese questo adattamento di tre storie brevi di Alice Munro c’era tutta, salvo poi ripiegare nel caldo, confortevole setting della città madrilena.
Storia di una madre che scopre tutto quello che non sapeva della figlia scomparsa tempo prima…tutto su mia figlia, quindi? Così parrebbe. Vi saprò dire a breve.

cafèCafé Society di Woody Allen vede un’altra performance pare magnetica della Stewart e un fantastico setting anni ’30, ma la parte più innovativa della faccenda non è certo la storia di zio e nipote che si contendono l’amore di una segretaria nella ruggente Hollywood dell’epoca a firma Woody Allen, nossignore. Insomma, a me Allen non ha mai fatto impazzire, lo vedo e lo dimentico con altrettanto piacere (il che mi pare un grande regalo per cose come Irrational Man).
Qui la parte più sfiziosa di quella che pare comunque essere una delle prove più gradevoli dell’ultimo quinquennio alleniano è che a cacciarci i soldi (e tanti) è stata Amazon, entrata a gamba tesa nel mercato di Cannes e nella realtà dei piccoli film autoriali a medio budget.

lovingJeff Nichols, non avercela con me malvagia e razzista, ma questo lungometraggio proprio lo salterei a
piè pari.
La storia è importante e vale la pena di essere raccontata: prima coppia interraziale nella Virginia del 1958 con lei nera e lui bianco che decidono di passare la vita assieme e lottare contro i pregiudizi di chi gli sta intorno, con un matrimonio proibito dalla legge dell’epoca.
Sarà che a questo punto del post è l’una e dieci di notte e io vorrei solo dormire mentre mi mancano ancora due sezioni da compilare, ma mi sta già partendo lo sbadiglio.
Ti prego, non vincere la Palma del “ho tanti amici di colore ma”.

I NO MATTER WHAT

cannes_madomoiselleChe sofferenza vedere due dei miei protetti uscire con le ossa rotte dal Festival, ma ci vuole ben altro per allontanarli dalla vetta della lista dei film che attendo di vedere con più impazienza.
The Handmaiden per esempio zitto zitto compare in parecchie classifiche del meglio di Cannes pur essenzo stato etichettato come una delusione. Diciamo che sarò pronta a dismettere a priori come deludente un film di Park Chan-Wook con questo popò di poster solo quando voi ammetterete di aver preso una cantonata micidiale con il bellissimo Stoker…e ora pretendete di venirmi a smontare l’hype per questo, dopo che avete demolito uno dei miei film preferiti del 2013? Naaaah.
Tre parole: thriller, cameriere, lesbiche. Io sono già in sala, in pratica.

poster
[Vincitore del Gran  Premio della Giuria] L’avvenimento più shockante per la Croisette è stato il fiasco di Xavier Dolan, uno a cui bastava un film discreto perché l’endorsement di stampa e pubblico facesse piovere dal cielo una Palma. Il genio ribelle canadese pare abbia toppato, pur avendo dalla sua un cast che consta del meglio del meglio dell’attorame francofono e una storia dolente di difficili realazioni parentali e incombente morte. It’s Just The End Of The World, insomma: pare voglia essere Antonioni ma non ne abbia la stoffa. Come ben sapete, il mio Dolan favorito è Tom at the Farm, ma mi basterebbe un mezzo Dolan per essere contenta. Non sono pronta ad accettare un film di Dolan brutto, ecco. Certo che se le locandine sono un indizio della qualità generale, beh, non partiamo di certo bene.

UN CERTAIN REGARD

cannes_ollimakiGià solitamente fatico a seguire con dovizia di attenzione concorso e sezioni cinefile, quest’anno è stato pressoché impossibile. Per fortuna i vincitori sono già stati annunciati, per cui posso dirvi che questo film finlandese intitolato The Happiest Day in the Life of Olli Maki di Joho Kuosmamem si è portato a casa la vittoria nella categoria di deriva più indie, artistoide e hipster.
Alla fine di questo sunto non fingerò nemmeno di avere la forza necessaria di informarmi su…uno strano film sulla box basato su una storia vera finlandese con dentro una storia d’amore delicata, all’incirca? Dai sì. Mi sovviene or ora che mi pare sia pure un’opera prima girata in bianco e nero e non sia solo un vezzo retrò del poster.
Insomma, staremo a vedere nei prossimi mesi cosa avremmo dovuto notare in questa sezione, con l’unica, importante eccezione di Captain Fantastic di Matt Ross, che si porta a casa miglior regia nella sezione e che non vedo l’ora di vedere. Viggo Mortensen fa il padre di una famiglia che, dopo 6 anni di totale reclusione dal mondo, torna a farsi viva e a fare i conti con quanto successo in loro assenza.