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magnifici1Certo che per essere un film che viene sbandierato (e si sbandiera) come un remake moderno e contemporaneo di un classico basato a sua volta su un acclamatissimo capolavoro, I Magnifici 7 è sorprendentemente conservativo e tradizionale.
Se c’è stata un’estate cinematografica capace di cambiare la prospettiva dello spettatore sul bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto, è proprio quella appena trascorsa, che fa sembrare l’impresa senza infamia e senza lode di Antoine Fuqua pienamente in territorio positivo, per come appunto sfanga errori o difetti macroscopici.
Certo il pensiero del regista di Training Days e Southpaw al comando di un’onesta operazione western e commerciale come questa non ti carica della stessa aspettativa di quando i pistolieri dietro le pistole li mettono Tarantino o i Coen, ma esageravo io ad aspettarmi un risultato più sbavato ma meno convenzionale?
La parola d’ordine nel primo giro di recensioni uscite da Venezia 73 (dove il film ha chiuso la rassegna) e Toronto (dove il film ha aperto un’edizione davvero sottotono) è stata: modernità. In effetti finalmente Warner Bros e Hollywood 2 conti se li sono fatti e, per quanto paracula sia l’operazione, hanno dimostrato grande cautela nell’assemblare un cast multietnico, spingendosi persino a valutazioni non scontate nel decidere chi arriverà alla fine del film.

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Il cast è così variegato che pare quasi l’incipit di una barzelletta: oltre a Chris Pratt versione fisicata (che conferma di essere nato per i ruoli con il gilet e gli stivaloni, in attesa che gli facciano fare Indiana Jones) abbiamo il nero afroamericano assoluto protagonista Denzel Washington, un nativo americano, un messicano, un asiatico che non fa il genio della matematica (Byung-hun Lee, che se la cava eccome!), un caucasico in odor di omosessualità (Ethan Hawke) e, wait for it, una donna che spara bene (Haley Bennett) che fa la magnifica ottava in supplenza quando qualcuno manca. Insomma, il cast sembra assembrato da una ricostruzione storica su Tumblr (perché non dimentichiamo che mai nella storia ci sono stati solo i bianchi in Europa e negli Stati Uniti e sapete il resto della storia), con l’aggiunta della solita nota pigra di Peter Sarsgaard a fare il cattivo che più malvagiamente annoiato dal capitalismo non si può.

Il problema di un film che di grosse falle in fondo non ne ha è che la modernità finisce qui, perché questi personaggi contemporanei finiscono per fare quello che facevano le loro controparti negli film degli anni ’60, al netto dei passaggi in odor di razzismo. Anzi, le giustificazioni per il loro arruolamento nel tentativo di salvare il paesello di Rose Creek sono così flebili da risultare non pervenute. Sono 7 personaggi potenzialmente magnifici di cui solo 2 hanno l’onore di avere un vero e proprio sviluppo: uno è ovviamente Denzel Washington, che spreme il carisma di un personaggio che è la prova vivente di quanto con The Hateful Eight e Django Unchained Tarantino abbia dato una svolta innegabile al genere western. L’altro è Chris Pratt, che ok l’essere aperti e rappresentativi, ma ovviamente se il film deve puntare su un eroe, quello rimane il giovane ragazzo bianco che beve per dimenticare ma di fondo un inguaribile romantico col cuore d’oro.

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Gli altri condividono storie già scritte altrove e davvero poco aggiornate, o i cui spunti interessanti e drammatici non sono guidati in maniera ordinata ad avere uno sbocco sul gran finale. Ethan Hawke ha potenzialmente un gran bel personaggio, le cui ambiguità vengono vanificate dal mancato tentativo di spiegarne la codardia o il rinnovato coraggio. Così finiscono per funzionare meglio i figuri sullo sfondo che menano (bene) le mani, anche se il film non ha mai una gestione visiva dal grandeur tale da nascondere le sue pecche narrative dietro una gran bella sequenza d’azione. Antoine Fuqua non sa narrare con sagacia le sparatorie e i duelli, si limita a riportarti in cronaca, rendendo il grande scontro finale non un climax di vendetta e rivalsa, ma un lungo x spara a y, z muore. Certo non c’entra il bersaglio, però non annoia mai, ed è già un grande risultato.

Nota random: Matt Bomer come bovaro/contadino indurito dalla vita nel West è la cosa più ridicola in un film in cui la dura vita di frontiera non segna la pelle della gente, tremendamente fisicata, belloccia e con occhi dalla pervasiva azzurritudine. Di facce da vere carogne non se ne vedono proprio, son tutti troppo belli e moderni. Vincent D’Onofrio (a cui hanno appiccicato una voce italiana tremenda e terribile, una scelta davvero deleteria) che spancia la gente giù da cavallo è molto, molto più realistico.

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Lo vado a vedere? Non irrinunciabile ma sorprendentemente accettabile, I Magnifici 7 è un film western che saggiamente non prova nemmeno a mettersi a confronto con i suoi riferimenti, ma fa il suo onesto lavoro tentando almeno di non inanellare gaffe sulle tematiche più sensibili. Ce la fa ed è gradevole: tanto basta.
Fottuto Cervo Metaforico – metafora della pace e momento Game of Thrones in cui Denzel Washington si fa spaventare da un morsetto di un organo non specificato del nostro quadrupede cinematografico di riferimento: i Dothraki non approverebbero.

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Ci shippo qualcuno? Finalmente, vivaddio, togliamo le ragnatele a questa rubrica che è costituzione stessa di questo blog e rispondiamo orgogliosamente sì, anche perché è un aiuto notevole a scacciare la noia per quanti tra voi non amano il genere western. Ovvio che tra compagnoni che cavalcano fianco a fianco per la fangirl c’è sempre qualcosa che bolle in pentola insieme ai fagioli, ma qui in ogni singola recensione trovate un riferimento alla sensibilità del personaggio di Hawke da leggersi come gay as hell. Io, che pur avevo un certo interesse nella diatriba tra Chris Pratt e il focoso messicano (anche lì c’è ben più materiale di quanto mi serva per partire in quarta) ero tutta un cuore e un sospiro per questo ex cecchino divorato dai tormenti che aiuta ma in realtà viene aiutato dal silenzioso ma prodigo e fedele amico musogiallo che però è tipo un ninja del West ed è sempre con mezzo occhio sul suo mentore. No guardate, è proprio quel canon non detto ma palese palese. Non voglio dire che era da Brokeback Mountain che non si vedevano cowboy così gay però anche questo mix asiatico silenzioso e caucasico maturo….uuuhhhhh, meraviglia. Che meraviglia. Fangirl all’ascolto: questo non può sfuggirvi, dovete proprio vederlo, anche perché alla fine, quando si cavalca assieme potete vederci chi volete con chi volete, anche se si scambiano in tutto 4 parole. Perciò amore libero e selvaggio West:

Ship SheepShip SheepShip SheepShip SheepShip Sheep

 

 

Nota SPOILER: quanto il tutto sia potentemente gay è coronato dalla morte che fanno i due in questione (perché ok moderni, ma i personaggi gay devono avere una fine tragica e melodrammatica, non toglieteci pure questo!): Byung-hun Lee trasecolato nel suo sguardo finale verso il suo ammmmore, Ethan Hawke che non riesce ad articolare il motivo per cui è tornato, ma tanto lo sappiamo tutti. Oh my.