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Anton von Lucke, Cyrielle Clair, Ernst Stötzner, François Ozon, I was distracted by the gay, Marie Gruber, melodramma, Paula Beer, piangerone, Pierre Niney, venezia 73
Sgravato dal peso di dover tirar fuori il suo miglior film di sempre con Nella Casa ma forse un po’ indeciso sul da farsi con Giovane e Bella e Una Nuova Amica, François Ozon si rifugia nel suo genere d’elezione – il melodramma – e finisce per essere il bello e trascurato di Venezia 73.
Lo fa con una maturità narrativa ed estetica frutto dei tanti film, riusciti o meno, che si è messo alle spalle, ma anche di una storia che maneggia e manovra alla perfezione, così come le aspettative del suo pubblico.
Frantz è insomma la prova che a differenza di altri registi innamorati della sensualità e dell’ambiguità (cfr. il nostro Ozpetek), François Ozon è capace di guizzare da un genere all’altro, reinventandosi senza diventare schiavo delle proprie ossessioni o delle aspettative del suo pubblico, che anzi sfrutta a suo favore. Quando però torna nei territori del melodramma, riesce a tirar fuori cose davvero magnifiche.
Germania, 1919. Adrien, un giovane emaciato e sofferente, piange sulla tomba di uno dei tanti caduti tedeschi della Prima guerra mondiale, Frantz. La di lui fidanzata e quasi vedova, Anna, lo convince a conoscere i genitori del morto, convinta che l’amicizia tra il ragazzo francese e il suo compagno ormai scomparso doneranno conforto e nuova speranza a una famiglia che non sa scrollarsi di dosso il lutto, famiglia con cui lei condivide il dolore ma non legami di sangue.
Basta vedere il volto sofferente e tormentato di Pierre Niney (una delle promesse del cinema francese, qui generosamente al servizio di altri), finemente truccata per suggerire anche a chi non ha familiarità con la filmografia queer di Ozon un certo tipo di sviluppo, per cadere nella trappola del regista francese. L’unico difetto di Frantz è una lentezza introduttiva necessaria a convincere lo spettatore di andare in una direzione, mentre si lastrica la strada verso una storia sorprendente, struggente e fino all’ultimo imprevedibile per lo spettatore e la stessa Anna.
François Ozon in fatto di casting ha l’occhio fino e la vista lunga, bastare dire che arruolò come marito possessivo e bellissimo un Fassbender praticamente sconosciuto. La scommessa stravinta di questo film è mettere la pellicola e lo spettatore nelle mani della quasi esordiente Paula Beer, un’attrice tedesca il cui sguardo puro è lo schermo che riflette le emozioni e le aspettative del pubblico, che non a caso condivide proprio con lei il punto di vista sulla storia lacunosa di Frantz.
Man mano che il film procede scopriamo dettagli che i genitori del ragazzo ignorano e che Anna tiene loro celati, però ignoriamo la verità che pesa sul cuore di Adrien, che fa da motore a una seconda parte di superba fattura. Servirebbe una seconda visione per valutare ogni occhiata e allusione che come la bella e ignara Paula Beer non possiamo cogliere, ma appare chiaro da subito come il film si trasformi nel secondo tempo nello specchio ribaltato di se stesso, riprendendo tematiche complementari e contrastanti. Così se il primo tempo costruiva il ritratto di un’assenza e introduceva una nuova figura, il secondo smonta e rimonta il tutto fino a un risultato ben differente.
Il segreto e la bellezza di Frantz sta in come gioca allusivamente (ma senza mai prenderlo in giro) con il proprio pubblico e con la propria protagonista, costretta ad affrontare un’inaspettato e drammatico coming of age. Dopo aver perso un uomo, ne troverà un altro o finirà per dover accettare un nuovo e più terribile addio?
Se l’immedesimazione con l’intelligente Paula è totale e ogni colpo del destino diventa ancor più doloroso, François Ozon ci prende quasi per mano, sostenendoci di fronte alla consapevolezza che con Adrien condividiamo solo un tratto: non aver capito, fino alla fine, nulla. Se dal dolore però può nascere qualcosa di bello e inaspettato, allora dalla parabola bellissima e struggente di Frantz non può che nascere una grande carriera per la sua magnetica protagonista.
Lo vado a vedere? Frantz è la quintessenza della cosiddetta cup of tea, compresi il suo raffinato ma modernissimo bianco e nero, la sua colonna sonora e il suo registro retrò, in perfetta consonanza con il film del 1925 a cui si ispira, Broken Lullaby. Insomma, è la mia tazza preferita con la qualità di tè che più amo e alla giusta temperatura. Certo che è riuscito a servire la giusta bevanda praticamente a tutti, quindi questa settimana è decisamente il film da recuperare, Venezia o no.
Ci shippo qualcuno? Non posso dire nulla che non sia mortalmente anticipatorio, quindi attenzione alle ultime righe
[SPOILER]: non so se mi riprenderò mai dallo shock di aver visto un film di Ozon senza un solo personaggio gay.
È talmente nella mia lista dei desideri che vorrei vedermelo da sola. Senza nessuno vicino, per non dovermi dare neanche quel minimo di contegno.
La cosa che alla fine mi ha fregata più di tutte le altre, in un film che ho amato moltissimo, è stato il modo di raccontare l’amore tra Anna e questa sua famiglia d’adozione. Era tanto tempo che non mi scioglievo così per un a relazione.