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Andy Lau, Hanyu Zhang, la Cina è vicina, Lu Han, Matt Damon, Pedro Pascal, Ramin Djawadi, Tian Jing, umani fanno il mazzo ad alieni, Willem Dafoe, WTF!?, Zhang Yimou
Matt Damon e Pedro Pascal sono due mercenari europei del ‘500/600 alla ricerca del segreto della polvere da sparo che finiscono sull’antica Muraglia Cinese, difesa dall’Ordine dei Senza Nome dalla minaccia ciclica dei Taotie, alieni lucertolosi che puntano a nutrire la propria regina con gli abitanti della capitale cinese, per poi dare il via all’invasione del pianeta, ma dovranno fare i conti con l’immensa opera muraria e con un esercito con un color code di tonalità sature che manco gli abiti di Mia in La La Land. Alieni verdi lucertolosi arrivati a bordo di un asteroide verdastro per punire il gretto individualismo capitalista dei precedenti imperatori cinesi, giuro, e non è nemmeno il dettaglio più improbabile di The Great Wall, questa colossale epopea tra il fantastico, l’etico e il bellico con cui la Cina con grande franchezza e incredibile ingenuità tenta di assaltare il box office statunitense.
Basta superare l’imponente battaglia tra umani ed alieni con cui si apre il film e immergersi nell’esilissima storia che connette un assalto al successivo per capire che qui il bersaglio delle accuse di razzismo è proprio concettualmente sbagliato. Matt Damon qui non è l’eroe bianco – tra l’altro voluto dai produttori cinesi – che spiega agli asiatici di turno come si vive, casomai il contrario. Damon e Pascal sono turisti cinematografici che con il loro individualismo e la mancanza di abnegazione rischiano di fare la figura dei villain, salvo poi essere messi sulla retta via dai personaggi cinesi e in particolare da Tian Jing, coraggiosa generale dell’esercito che ogni 60 anni si prepara a dare battaglia agli alieni lucertolosi.
Il modello di questa ultima prova del recente gigantismo che affligge il cinema un tempo autoriale e spartano di Zhang Yimou non è nemmeno quel lontano Hero (2004) con cui il regista e amante di Gong Li smise i panni del cineasta per dedicarsi a cinema di consumo (e di partito). Quell’inaspettato successo era infatti figlio della tradizione wuxia e molto attento alla propria estetica, anche nell’adesione alla morale di obbedienza e abnegazione confuciana.
Qui invece il modello è chiaramente Hollywood, anche se ricalcata e inseguita in maniera così ingenua e poco mediata da risultare talvolta francamente imbarazzante, altre molto fresco. Con la sua estetica figlia del gusto tradizionale cinese e i suoi imponenti mezzi produttivi, The Great Wall grida ai quattro venti il suo budget imponete, che pure non lo salva da qualche scivolone in campo di effetti speciali e 3D.
I pop corn movie hollywoodiani però possono comunque apprendere una lezione da questo kolossal che si dimentica tanto velocemente quanto si guardano i suoi 103 velocissimi, ritmati minuti di lunghezza: non prendersi mortalmente sul serio, non cercare anche nella baracconata action più manichea una filosofia, un worldbuilding complicantissimo, le basi per un franchise multicapitolo. Che il punto di The Great Wall non sia la storia lo si capisce subito: le strategie belliche e i rapporti causa effetto reggono solo come collante tra le varie battaglie e non bisogna mai rifletterci mai dopo il loro veloce passaggio su schermo, pena il crollo di tutto il castello di carte.
Rimane quindi un film davvero inoffensivo e a tratti banale ma, accettandone le premesse, tutto sommato visibile senza troppe sofferenze. Certo non ci si sente particolarmente lusingati dai produttori cinesi che, non sufficientemente sicuri della nostra intelligenza da proporci le loro hit da botteghino (siamo forse troppo stupidi per apprezzare film come Monster Hunter e The Mermaid?) ci confezionano un bigino turistico del loro senso di società e socialismo, procurandosi che sia il volto familiare e bianco di Matt Damon a guidarci passo per passo nell’analisi dei nostri errori concettuali da individualisti.
La tensione razzista c’è eccome, ma a mio parere corre nel tira e molla tra Damon e la bella ma sin troppo generica Tian Jing: una storia d’amore anche all’acqua di rose hollywoodiana tra un caucasico e una cinese è tutt’altro che una svolta neutra per il cinema e la politica cinese, quindi semplicemente non c’è. Potrebbe essere un tentativo alla Pacific Rim di non definire l’eroina protagonista sulla base della sua storia d’amore? Forse, ma se l’impiego oggettivamente fico di corpi di guardia esclusivamente femminili viene giustificato con “sono magre”, forse sì che stiamo applicando uno standard errato a una pellicola che ha tutt’altri interessi.
Lo vado a vedere? Che diverta il giusto e azzecchi qualche colpo non significa che The Great Wall non rimanga un ottimo bersaglio per i cacciatori di trash cinematografico. Avete il vostro film della settimana.
Ci shippo qualcuno? No, ma mi sarebbe piaciuto davvero moltissimo, data la piega che prendono gli eventi tra Pedro e Matt. Scusa Tian, ma a quanto pare non è cosa.
Nota personale: la cosa che mi ha emozionato di più del film è stata il fatto che, data l’evidente somiglianza morfologica, guardare gli alieni attaccare la muraglia era un po’ come assistere all’adattamento cinematogreafico di A Land Fit for Heroes di Richard K. Morgan.
Ci vedo un collegamento con il THE WALL di Trump, difendersi dalle minacce esterne. Che poi in fondo è una costante della storia umana, chi straparla di abbattere i muri o è un figlio di papà viziato e buonista, oppure non gliene frega niente del futuro della comunità in cui vive.