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Con già una decina di remake live action del suo canone che hanno ottenuto la luce verde e che ci sorbiremo, volenti o nolenti, nei prossimi anni, Disney si può permettere di fare ciò che vuole. Tirar fuori un classico ancora amatissimo come La Bella e la Bestia, appiccarci sopra il nome di un’attrice di riferimento per la generazione post-potteriana sono mosse che sanno molto di rassicurazione per gli stake holder (o per chi attende i dividendi), per avere le spalle coperte e prendersi rischi altrove. Nel 2015 però una serie di nomi infallibili (Kennet Branagh e Colleen Atwood) e la volontà di rispettare e reinventare insieme un classico come Cenerentola aveva tirato fuori un film piacevole e fresco da quella che forse è la più datata e stantia delle principesse del reame Disney. Belle invece è la nerd del gruppo, che con la sua indipendenza e il suo amore per la lettura suggeriva possibilità più interessanti…se ci si fosse presi la briga di coglierle, ovvio.
Già dal battage promozionale si era intuito che questo adattamento 2017 non puntasse ad essere una nuova rielaborazione dell’eterna storia d’amore tra una bella giovane donna e un’orrenda bestia preda di un maleficio – come tentò di fare l’ancor più tremendo lungometraggio francese del 2014 – bensì un calco fedele al punto di essere pedissequo del classico animato Disney. Scelta se non obbligata, quantomeno comprensibile, dato l’enorme impatto che ebbe quella rielaborazione della fiaba, dei suoi personaggi e persino dei suoi costumi sull’immaginario collettivo.
Proprio per questo Belle, Gaston e la Bestia potevano essere un buon punto di partenza per spingere un prodotto Disney ancora di stampo tradizionale nel territorio delle principesse moderne e indipendenti alla Merida e alla Elsa, capaci di essere d’ispirazione per l’intero pubblico dei giovanissimi in sala. Già all’inizio del film si perdono le speranze, quando la Belle di Emma Watson sospira su Romeo e Giuletta – la cosa più simile al chick-lit dell’epoca – ricordandoci un’altra lettrice e un’altra Bella, quella di Twilight.

Non che la figlia di un onesto artigiano nella Francia del 1650 circa dovesse trasformarsi in una Giovanna d’Arco o leggere le teorie di Newton (anche se…), ma certo sin dalle prime battute questo remake dimostra di non voler correggere una traiettoria idealistica e ideologica che negli anni ’90 puntava al futuro e sembrava talvolta irriverente, mentre ora guarda decisamente al passato. Il film magari ci prova, tra protolavatrici e lezioni di lettura, ma in maniera così abbozzata e impacciata che finisce solo per far danni, così come ogni altra volta che prende un’iniziativa al di fuori del lungometraggio animato: le nuove canzoni sono noiosissime (e con l’autocommiserazione della Bestia si raggiunge l’apoteosi del “ma anche no”), i nuovi spezzoni inutili, il mezzo tentativo di giustificare l’arroganza della Bestia con un flashback francamente offensivo. Perché la Bestia non può essere un personaggio negativo quanto Gaston e imparare attraverso la sua punizione (cfr Jane Eyre)? Soprattutto perché sprecare la chance di approfondire quel discorso di “non posso innamorarmi di una contadina” in favore di spezzoni lentissimi di letture nel parco e canzoni meramente riempitive?

Privo di spunti d’interesse davvero tali e funestato da una dipendenza distruttiva dal suo modello, La Bella e la Bestia si trascina stancamente dal rifacimento di una scena iconica alla successiva, con il pubblico che, disinteressato alle novità, attende questo ballo o quella canzone. È proprio l’inno a Gaston, il numero musicale che guarda a Broadway e al musical classico, a risvegliare il film e a far sperare in bene per qualche minuto, è proprio il personaggio di un divertito e partecipe Luke Evans a farla da padrone. La supposta lobby gay in questo caso andrebbe solo ringraziata perché Josh Gad con il suo LeTont, lungi dal fare un vero e proprio outing come si strombazza in queste ore, regala al film la poca verve che manifesta.
E Emma Watson? La più deludente è proprio la sua principessa triste; una Belle priva di nerbo che incarna senza particolare trasporto o convinzione, in cui non sembra credere né lei né la regia, che ben presto se ne disinteressa, rendendola quasi guest star del film di cui dovrebbe essere protagonista.

Lo vado a vedere? Per chi ama l’amore anche al cinema, per chi ha apprezzato i precedenti remake live action del canone Disney e per chi ha la sfortuna / fortuna di non avere ben presente negli occhi e nel cuore il lungometraggio animato degli anni ’90, potrebbe trattarsi di una visione piacevole grazie a una sontuosa produzione, anche se rimane un’operazione cinematografica pigrissima. Certo non è minimamente in grado di reggere il confronto con un precedente da cui tra l’altro è totalmente dipendente.
Ci shippo qualcuno? Io speravo che almeno l’ammicata fosse tra Le Tont e Gaston…allora sì che sarebbe stato epico!