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adolescenti problematici, Becky G., Bryan Cranston, Dacre Montgomery, Dean Israelite, Elizabeth Banks, i film con gli alieni e le astronavi, Ludi Lin, Naomi Scott, operazione nostalgia, RJ Cyler, spiegazioni cazzare
Tra tutti i franchise anni ’80 e anni ’90 che Hollywood sta rispolverando con la speranza di farci aprire il portafoglio, Power Rangers è forse la fonte più ingrata da cui partire per cavar fuori un film moderno e dignitoso. Non che la celebre serie TV che tenne incollati al piccolo schermo migliaia di bimbi e ragazzi decenni addietro non abbia il suo bravo codazzo di fandom e appassionati, ma dire che il materiale originario è invecchiato malissimo è un titanico eufemismo. Oltre alla pochezza produttiva e alla ripetitività narrativa che nel tempo hanno reso Power Rangers uno scult assoluto, ad appesantire oggi quel prodotto c’è una zavorra di toni e situazioni tra i camp e il naif. Eppure, proprio com’era successo per un franchise per ragazzi coevo come i Piccoli Brividi, Power Rangers è una scommessa vinta, perché prende le decisioni giuste.
Come era accaduto per il sorprendente e gradevole Piccoli Brividi, Power Ranger fa una scelta antitetica alle logiche attuali degli studios, per cui la parola d’ordine è sempre trasversalità, geografica e anagrafica. Questo remake 2017 invece mantiene il nucleo narrativo e l’impianto della storia originaria, perché proprio come quel prodotto vuole parlare principalmente al pubblico degli adolescenti e dei ragazzi, che hanno la stessa età dei protagonisti della storia.
Di cinema per ragazzi puro, divertente e ben fatto ultimamente in sala se ne vede pochissimo, anche se paradossalmente tra le pellicole più amate dai nostalgici e diventate più popolari tra quelle sopravvissute agli ultimi decenni, ci sono tanti esponenti di questo filone. Rifiutando di rendere più cupo e realista il suo tono nella speranza di attrarre in sala qualche adulto che non sia innanzitutto un appassionato o un nostalgico, Power Rangers compie una scelta coraggiosa sì, ma anche capace di pagare in termini qualitativi. Solo in questo modo si possono far funzionare le storie di cinque adolescenti che trovano cinque monete magiche e un’astronave aliena in una miniera abbandonata di una cittadina americana come tante, trasformandosi da reietti a supereroi in tutina (quella sì, fortunatamente aggiornata, anche se con lo stesso gusto monocromatico e camp).
Su quella trasformazione poi il film spende molto tempo e attenzione perché è chiaro che gli interessi parlare di amicizia e accettazione, portando i suoi ribelli, riottosi e reiettissimi protagonisti, spesso inclini a scelte disastrose, a cambiare e aproirsi, senza perdere quel tocco selvaggio e irruento che li rende davvero adolescenti e davvero palpitanti.
Certo in questo fase è mancata una scrittura capace di andare oltre lo scambio di battute cliché, ma stupisce talvolta constatare come il film sia serio e concentrato nell’affrontare le difficoltà non così banali dei suoi protagonisti, che variano dall’autismo all’omosessualità e, uscita più sorprendente della cinquina, a una rabbia cattiva sfociata in un gesto di genuina crudeltà che bisogna espiare.
Grazie a un cast multicolore ben prima che le tutine facciano la loro apparizione e grazie all’impegno sincero e entusiasta di Dean Israelite, un regista alla sua prima grande prova che fa di tutto per dare carattere e dinamismo alla pellicola, Power Rangers può concentrarsi anche sull’omaggio alla sua fonte primaria, con tanto di jingle strappa-applausi e inquadrature copincollate dalle scene cult di ogni puntata. Il punto è che questo viene fatto dopo aver costruito un film vero e proprio, rafforzando e nobilitando il risultato finale. Insomma, prima si pensa ad ammodernare per davvero il franchise senza tradirlo; poi per quel tocco irrinunciabile di camp, si citofona Elizabeth Banks, che ancora una volta si gode ogni momento sopra le righe della sua esageratissima villain, senza permetterle di diventare la macchietta di sé stessa.
Lo vado a vedere? Un bel film per ragazzi senza ruffianerie per i genitori come non se ne vedeva forse dai tempi di Piccoli Brividi, Power Rangers non fa nulla per rendersi irrinunciabile a un pubblico adulto che non sia quello di nostalgici, appassionati o amanti del retrocamp e va benissimo così.
Ci shippo qualcuno? La tanto acclamata presenza di un ranger gay non è che accennata, ma si sa, uno dietro e dentro le tutine finisce per vederci quel cavolo che vuole.
Pienamente d’accordo. Io sono uno di quei nostalgici che con i Power Rangers ci è cresciuto (ma un po’ di imbarazzo col jingle l’ho avuto). Peccato non stia andando benissimo, spero nel sequel.
Me lo vedo bene per il mercato cinese: andare bene lì risolve ogni problema.
Io al jingle ero *esaltatissima*.
Me lo auguro, da fan pretendo il sequel ma oggettivamente parlando non merita di floppare, non quando film ben peggiori, e con peggiori intendo film con grossi problemi narrativi, incassano soldi a palate. E poi non voglio credere che un brand come questo, con un fandom grande, possa fallire. È anche vero che c’è molto pregiudizio intorno a questo titolo per quello che si porta dietro la serie tv, quel suo essere trash che a mio modo di vedere faceva parte del gioco.