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fantascienza, Gollancz, grimdark, i libri con gli alieni e le astronavi, Richard K Morgan, scienziati che combinano casini micidiali, scrittori inglesi incazzati, Takeshi Kovacs
Dite pure addio al fisico statuario di Joel Kinnaman, perché se Netflix sarà anche solo un minimo fedele ai presupposti del secondo volume della saga con protagonista Takeshi Kovacs, il nuovo corpo in cui verrà scaricata la pila corticale del nostro sarà quello di un aitante afro-caraibico.
Pur avendo ampiamente sputtanato la possibilità di adattare in maniera adulta e credibile una saga fantascientifica nota per il suo approccio maturo e verosimile, neppure Netflix con i suoi lenzuolini strategici e le sue scappatoie da piegacucchiai alla Matrix si merita una gatta da pelare come quella che presenta Broken Angels, il ritorno di Takeshi Kovacs che sembra studiato a tavolino per far demordere quanti si erano innamorati di lui con il folgorante e premiatissimo esordio Altered Carbon.
Esistono una dimensione fattuale relativa a Broken Angels e una teoria complottara basata sulla mera sensazione pregiudiziale sprigionata dalla lettura del volume in me medesima. L’avvio del secondo romanzo con protagonista Takeshi Kovacs è così tedioso che i miei voli pindarici e sospettosi sulla sua genesi rischiano di essere il risvolto di gran lunga più interessante, per cui mi prendo questa licenza poetico critica e ve ne parlo a partire dalla mia teoria cospirazionista.
Pubblicato nel 2003 da Gollancz e proposto due anni più tardi da Nord in un volume ormai ampiamente irreperibile (di cui Tea pare abbia già in cantiere una ristampa), Broken Angels non è un romanzo con protagonista Kovacs, men che meno il sequel ambientato 50 anni dopo gli avvenimenti di Altered Carbon. O almeno non lo era inizialmente, quando Richard Morgan si stava scrivendo la sua brava, tediosissima storia military sci-fi, probabilmente originata da letture di non fiction di critica alla violenza politica perpetuata su scala internazionale dai leader mondiali, titoli che si sente in dovere di citare e consigliare anche nei ringraziamenti finali. Nel mentre viene travolto dal successo del suo primo romanzo, di cui i diritti cinematografici bloccati da Warner Bros gli consentono di cambiar vita e abbandonare l’insegnamento per diventare scrittore a tempo pieno.
L’editore Gollancz probabilmente lo pressa per dare un seguito al suo romanzo, a battere il ferro finché è caldo. O l’ispirazione non viene o Richard è in vena di ripicche, perché anche me lo smentisse lui in persona con tanto di giurin giuretta, sono convinta che una piccola parte di me continuerebbe a credere che Broken Angels nasca da un nucleo che con Kovacs non aveva davvero nulla a che fare. Nella prima metà del romanzo seguiamo infatti un protagonista che nominalmente è Kovacs, ma potrebbe essere davvero chiunque. Manca l’ironia amara del personaggio, mancano le decisioni prese all’ultimo e i colpi di testa e di violenza, manca un qualsivoglia riferimento a quanto successo sulla Terra, a Bay City, per quasi un centinaio di pagine. Quando i riferimenti a Ortega e ai traumi vissuti in Altered Carbon arrivano sono così tardivi e pretestuosi da rafforzare l’impressione che la confezione Kovacs sia stata apposta su una storia di genesi diversa. Per fortuna di Gollancz e di Morgan, i protagonisti tipo del nostro sono così simili tra loro per tratti distintivi (passato militare, traumi dal fronte, ironia tagliente, cronica avversità all’autorità) che l’operazione non deve essere stata nemmeno così difficoltosa. Nella seconda metà del romanzo Kovacs torna ad essere sé stesso, presumibilmente quando l’abbozzo iniziale si è esaurito e Morgan comincia a scrivere consapevolmente del suo eroe più celebre.
A questo punto abbiamo ormai acquisito una certa familiarità con Sanction IV, l’infernale pianeta dove è rimasto bloccato Kovacs, tornato a lavorare come mercenario per il miglior offerente. Stavolta è stato assoldato da Carrera, il capo di un’agenzia paramilitare del Protettorato impegnata a sedare la ribellione aizzata dal terrorista Joshua Kemp e dai suoi fedelissimi. Il campo di battaglia è un pianeta cosparso dei resti della civiltà aliena che ha guidato tra le stelle gli umani. Proprio a partire dai resti della tecnologia che si sono lasciati dietro sulla Terra, su Marte e su Harlan World gli umani hanno infatti fatto il salto tecnologico che li ha portati a viaggiare nell’universo e a terraformare pianeti.
Il dubbio sinistro attorno a cui ruota il romanzo è proprio questo: l’umanità era davvero pronta a questo salto tecnologico che altrimenti avrebbe richiesto qualche millennio, a una tecnologia le cui basi teoriche a malapena comprende eppure continua ad usare per spandersi nella galassia? Cosa succederebbe se i legittimi proprietari di questa tecnologia e ex abitanti dei pianeti dove è stata rinvenuta si facessero vivi?
La maggior parte delle rovine aliene sono poco più che resti inermi di esclusivo interesse archeologico, ma è proprio durante uno scavo che Sanction IV rivela un artefatto capace di cambiare le sorti della guerra, del pianeta e degli equilibri politici nella galassia. Kovacs finisce così assoldato per fornire protezione e supporto logistico agli archeologi e alla corporazione di turno che hanno stretto un patto per accaparrarsi l’utilizzo dell’oggetto. Si tratta di un portale ancora funzionante lasciato dietro di sé dai misteriosi alieni che popolavano i mondi ora umani. Nonostante il passare dei millenni e un tentativo forse intenzionale di distruggerlo, la struttura può essere ancora messa in funzione, il che dà un’idea di quanto gli umani annaspino in un territorio che non padroneggiano. I collegamenti hyperlink con cui si scambiano informazioni e back up di pile corticali tra pianeti sono costosissimi e rimangono aperti per poco più di qualche secondo. Padroneggiare un portale fisso che affaccia chissà su quale galassia e magari carpirne la tecnologia sarebbe un balzo in avanti enorme.
Kovacs si ritrova così a mettere in piedi clandestinamente una squadra di mercenari, in attesa che l’archeologa Tanya Wardani – ancora traumatizzata da un lungo periodo di detenzione in un campo di prigionia – attivi il manufatto e consenta alla squadra di controllarle la funzionalità e stabilirne la proprietà per la Carrera. Il terreno però è disseminato di pericoli e enigmi: cosa è successo ai cadaveri rivenuti poco più in là e malamente occultati? Kovacs e compagni riusciranno a sopportare le radiazioni che stanno uccidendo le loro custodie fino all’apertura del portale o i kempisti e le fazioni rivali all’interno della stessa corporazione riusciranno ad ucciderli ancor prima? Soprattutto: chi sta tentando di sabotare la missione dall’interno e per conto di chi?
L’impronta military sci-fi non è sempre un ostacolo, anzi, è fonte di alcuni dei risvolti più degni di riflessione del romanzo. Kovacs dovrà fronteggiare un prototipo di arma nanotecnologica dalla durata limitata, che si limita a sopravvivere e ad evolvere ad ogni tentativo di essere distrutta, sviluppando quindi caratteristiche uniche ad ogni impiego e diventano esponenzialmente sempre più inarrestabile. A rafforzare l’impressione che Saction VI inizialmente non facesse parte della galassia di Kovacs c’è un’attenzione marginale alla tecnologia della pila corticale e le sue conseguenze sociali, che ricadono ancora una volta in ambito militare.
Morgan infatti spende molto tempo a descrivere la guerra e guerriglia in un mondo di corpi (e in una certa misura, anche i singoli soldati e le loro pile corticali) sono letteralmente spendibili e intercambiabili, tanto quanto le tecnologie militari più avanzate; è solo una questione di costi-benefici. Nei suoi momenti più duri, Broken Angels è un monito esplicito a quanto lo scenario di guerra sia spesso desiderato e mantenuto per consentire un indebolimento dei vincoli morali e legali posti dalla società al mondo della scienza, per permettere uno sconsiderato ma ma accelerato progresso tecnologico. Sempre rimanendo in campo tecnologico e militare, la scena più raggelante di matrice grimdark riguarda un sistema perverso e raccapricciante di mantenere l’ordine tra le fila dei mercenari prezzolati, quando il genere del branco derivato dai lupi e inserito nella codificazione genetica dei loro corpi non risulta sufficiente.
Il romanzo diventa davvero riuscito solo quando rivolge il proprio sguardo a cosa si trova oltre il portale e alle implicazioni della scoperta. Il quesito più affascinate nell’ambito spoiler free è quanto Richard Morgan avesse in mente dall’inizio di andare a parare in ambito così fantascientifico e così ambizioso. Qualche sapiente accenno a quanto succederà c’è già nel primo volume, ma potrebbe trattarsi solo della bravura del nostro, capace di inventarsi una sotto trama più florida e ambiziosa dell’originaria per prolungare la longevità del suo eroe. I medesimi accenni tra l’altro sono presenti anche nella serie televisiva, quindi tra un annetto potremo probabilmente parlarne liberamente.
Di fatto Richard Morgan mette su una versione orrorifica, violenta e ancor più di derivazione esistenzialista di un super cult della fantascienza dell’epoca d’oro, ma ancora una volta citarvi il titolo esatto rovinerebbe forse l’unica, vera sorpresa di Broken Angels.
Il secondo tomo della trilogia di Takeshi Kovacs s’infiamma troppo tardi per essere consigliabile senza condizioni a quanti hanno già letto Altered Carbon. Broken Angels impone almeno nelle fasi iniziali di portare pazienza e fare attrito contro un romanzo che cozza un po’ contro il suo predecessore e le aspettative che ha generato nel lettore: bisogna portare pazienza a lungo – ed essere veri fan di Takeshi o Richard Morgan – per essere ricompensati.
Per caso il superclassico è Fanteria dello Spazio? Chiedo per curiosità.
No.
11 settembre in Pianura Padana, per capirci.
Incontro con Rama di Clarke?