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Alexandra Shipp, amori adolescenziali, Greg Berlanti, hipsteria portami via, Jennifer Garner, Josh Duhamel, Katherine Langford, Keiynan Lonsdale, omoaffettività, temi d'amore tra i banchi di scuola
Se è vero che ogni generazione deve avere almeno una commedia scolastica statunitense di culto da citare (e anche più d’una) e qualche decina di tentativi falliti che ricorderà solo la sottoscritta in quanto non me ne perdo uno, cosa ci dice della cosiddetta generazione Z Tuo, Simon? Difficile a dirsi perché, oltre al comprensibile aggiornamento fashionista dei “giovani” protagonisti liceali che diventano la versione migliorata e danarosa delle aspirazioni stilistiche degli adolescenti, di davvero nuovo nel film scritto e diretto da Greg Berlanti in realtà si vede davvero poco.
Non che il film non abbia palesi aspirazioni di un certo tipo, di scavalcare almeno il limite più bieco e trascurato di certe pellicole young adult che ci siamo sciroppati mi sono sciroppata di recente: la cura nella scrittura da parte dello sceneggiatore e produttore che dai tempi di Dawson’s Creek si occupa di “adolescenti” è evidente. La scelta di aderire fedelmente al canone di questo filone è volontaria e in qualche modo persino politica.
L’elemento centrale di Tuo, Simon è in linea teorica una grande novità e sicuramente è in qualche modo epocale per un certo tipo di pubblico. Dopo un decennio di spalle gay e drammi omosessuali di comprimari più o meno piacenti, il giovane provvisto di ciuffo tormentato Nick Robinson interpreta sì il protagonista alla John Hughes di una commedia romantica tra le mura di scuola, ma la sua attività quotidiana principale non è sbirciare l’amata e trovare il coraggio di dichiararsi, bensì nascondere la sua omosessualità.
È parecchio interessante e riuscito anche l’approccio che Berlanti (coinvolto come sceneggiatore e produttore in hit come Riverdale e Arrow) sceglie rispetto alla tematica “essere gay oggi”. Simon Spier infatti vive in un contesto più che ideale per vivere serenamente la sua omosessualità: i suoi genitori sicuramente non gliene faranno una colpa, a scuola altri ragazzi gay sono davvero accettati dalla maggior parte degli studenti, gli amici di sempre starebbero sicuramente dalla sua parte.
Eppure questo giovane dell’Atlanta bene che frequenta una scuola per bene con tanto di preside strambo ma attento desidera chiudere la fase liceale senza che il suo orientamento sessuale venga alla luce. Il risvolto più interessante di Tuo, Simon è proprio quello che scava nel suo tormento, nei microscopici momenti di tensione che però fanno sentire il loro peso (le battute infelici del padre), nel fastidio derivante dalla necessità di “dichiararsi”, fardello ansiogeno che non spetta agli eterosessuali.
Il tutto è poi ricamato con piccoli tocchi della cultura queer classica e recente: la recita scolastica musical di Cabaret, il caffè ghiacciato fancy, gusti musicali da hipster sassy suonati esclusivamente su vinile.
Tuo, Simon è sicuramente un film gradevole, che si spinge oltre il minimo indispensabile richiesto a questo tipo di pellicole. Il suo limite però deriva dalla scelta successiva, ovvero di aderire pedissequamente alla parabola canonica che questo genere di film traccia, fino a risultare spesso banale.
Come in Easy Girl, Simon frequenta insieme ai compagni una bacheca stile Livejournal Secrets* per scoprire gli inconfessabili segreti degli altri studenti. Quando un compagno parlerà del suo essere gay e non dichiarato, Simon sentirà il bisogno di scrivergli una email. I due cominceranno a scriversi, confessarsi e flirtare attraverso questo interscambio a cavallo tra Noi Siamo Infinito e C’è Post@ per te, fino a darsi il reciproco coraggio di fare scelte importanti.
Seguono, nell’ordine stabilito: qui pro quo amorosi tra gli amici del protagonista, un “cattivo” che lo mette con le spalle al muro”, il momento della vergogna e dell’abbandono, il coraggio, la riabilitazione e via dicendo. Non mancano nemmeno i ridicoli tentativi di ritrarre Simon come “media”, quando la condizione economica privilegiata di un adolescente con una camera che sembra un attico, una collezione di vinili sterminata e una coppia di genitori che non si capisce bene che lavoro faccia nella splendida villa familiare è quasi irritante.
Il messaggio implicito è palese: l’amore è uguale per tutti, le tappe da affrontare sono le stesse, anche se per un giovane omosessuale c’è qualche paura e difficoltà in più. Il che magari è anche lodevole ma un po’ limitante: non sarebbe stato meglio tentare di dare un carattere unico al film, una verve inaspettata, come i precedessori che nel bene e nel male, hanno lasciato il segno? Mi sarei aspettata una sassyness maggiore, il tentativo ardito e bellissimo di postulare che un protagonista di questo tipo forse ha persino qualcosa in più, rendendo brillante e inaspettato – non canonico – il suo film.
Anche perché aderendo così strettamente al sentiero già tracciato se ne ricalcano anche i difetti, vedi il personaggio di Martin; il tragico appassionato di musical bruttino e socialmente imbarazzante che a un certo punto si rivela sorprendente, salvo poi venire affossato in un ruolo ingrato per trarre d’impiccio l’arco narrativo principale. Un po’ pigro, un po’ banale: sicuramente è un film importante sotto alcuni aspetti sociali, ma avrebbe potuto esserlo di più, anche in campo cinematografico.
D’altronde adoro – non come guilty pleasure, proprio serialmente – D.U.F.F., quindi chi sono io per giudicare?
* Una sorta di bacheca virtuale dove gli utenti postano anonimamente i loro “segreti”, magari correlati da una foto. I secrets erano molto in voga nell’epoca in cui LiveJournal la faceva da padrone.
“Non mancano nemmeno i ridicoli tentativi di ritrarre Simon come “media”, quando la condizione economica privilegiata di un adolescente con una camera che sembra un attico, una collezione di vinili sterminata e una coppia di genitori che non si capisce bene che lavoro faccia nella splendida villa familiare è quasi irritante.”
QUOTO. Sono stato in miniappartamenti più piccoli di quella stanza, cioè.
Passando al film in sé, voglio sperare che avrà successo e che seguiranno altri film con protagonisti gay che non siano solo autoriali, ma non posso fare a meno di essere dispiaciuto per l’occasione sprecata. Hanno tolto tutto quello che c’era di particolare nel libro per semplificarlo all’estremo, spettacolarizzando tutto (vedi la dichiarazione di Martin e la ruota panoramica) o comunque rientrando a forza nelle tappe scontate del genere (i qui pro quo amorosi e il percorso di Simon completamente stravolti).
L’unica aggiunta molto gradita è il personaggio di Ethan. E il preside, anche se nel modo in cui si rivolge a Simon nella realtà sarebbe stato arrestato a cinque minuti dall’inizio del film, l’ho trovato esilarante (ma Tony Hale mi fa morire qualsiasi cosa faccia).
E niente, tutto questo per dire che concordo con la recensione, ma se il film ti è sembrato che potesse fare di più ti consiglio calorosamente di dare una chance anche al libro.
A parte ringraziare per tutti gli spunti di future visioni, mi sentivo in dovere di fare outing: ho amato, molto, DUFF pure io.