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Arthur C. Clarke Award, fantascienza, father issue, Guanda, i libri con gli alieni e le astronavi, Jaroslav Kalfař
Se uno dei più affascinanti e oscuri titoli candidati quest’anno all’Arthur C. Clarke Award 2018 al momento dell’annuncio della cinquina era già stato pubblicato in Italia da una casa editrice “tradizionale” come Guanda un motivo c’è: Il cosmonauta è un sorprendente romanzo d’esordio che afferisce alla sfera fantascientifica, certo, ma nella sua accezione più contemporanea.
Ci sono le astronavi, le solitarie missioni nello spazio e persino un alieno curioso, però il punto di ancoraggio dell’intero romanzo di di Jaroslav Kalfař è ben piantato sulla terra, in una piccola nazione nel cuore della vecchia Europa, sospesa tra un passato di velluto e l’affannosa ricerca di una nuova immagine ed identità: la Repubblica Ceca.
Nonostante le premesse non riesco proprio a immaginarmi Jaroslav Kalfař come uno scrittore di fantascienza e sono proprio curiosa di vedere se continuerà a percorrere questo genere anche nelle sue prossime prove. Tuttavia il suo utilizzo funzionale di un certo immaginario spaziale all’interno del suo romanzo d’esordio è così bel eseguito che non riesco a fargliene una colpa. Il cosmonauta è la versione sterilizzata del titolo originale Spaceman of Bohemia, decisamente più centrato su ciò che vuole raccontare lo scrittore, nato e cresciuto in Repubblica Ceca e poi trasferitosi negli Stati Uniti all’età di 15 anni. Il punto del romanzo non è davvero l’esplorazione del cosmo quindi, quanto quella in lungo e in largo nella storia della Boemia, verso cui sia il protagonista del romanzo Jakub Procházka sia il suo creatore provano l’attaccamento intenso e nostalgico dell’esule. Uno la guarda da quella che è diventata la sua patria funzionale, gli Stati Uniti, l’altro dall’oblò di un’incredibile e solitaria missione spaziale.
Per scoprire come Jakub finirà nello spazio bisogna però attraversare la storia recente della Repubblica Ceca, passata dal compromesso salvifico ma vergognoso con i nazisti al dominio di ferro dei comunisti russi, dissolto dalla celebre Rivoluzione di Velluto. Nelle pieghe della transizione “morbida” del paese verso la democrazia l’autore racconta l’infanzia del suo protagonista, figlio di un piccolo uomo che ha scritto un pezzo di Storia del paese, inconsapevole di interpretare la fazione destinata alla sconfitta.
Mentre cresce nel piccolo villaggio di Streda coi nonni, Jakub comincerà lentamente a realizzare il costo di quella tranquilla vita di città vissuta con mamma e papà negli anni precedenti, in un appartamento a Praga fonte di amore e felicità. La sua vera casa rimane però l’abitazione contadina dei nonni, dove tutto è fatto a mano e il cibo si prepara scuoiando animali e coltivando l’orto. L’idillio bucolico circondato dal pauroso sospetto dei vicini viene infranto dall’arrivo dell’Uomo della Scarpa di Ferro, destinato a sconvolgere per sempre la vita del protagonista e la sua visione della figura paterna. Mentre il protagonista cresce e si avvia agli studi scientifici, con lui si trasforma anche la Repubblica Ceca, sedotta dagli agi del capitalismo, travolta dal flusso turistico. Eppure da qualche parte il fiero spirito ceco continua a pulsare, desideroso da secoli di rivalsa e riconoscimento. Così quando un politico ambizioso chiede a Jakub di andare nello spazio a raccogliere campioni da una nube di polvere stellare che sta tingendo i cieli notturni di sfumature violacee sconcertando e incuriosendo il mondo, il protagonista accetta di lasciare la sua amata Lenka per inoltrarsi in una missione quasi suicida.
La curiosità scientifica ha poco a che vedere con la missione della JanHus1, navicella concepita per battere sul tempo il resto del mondo e la sua titubanza, mettendo sotto la luce mondiale una nazione di soli 10 milioni di individui, eppure dall’ardente spirito nazionale.
Lo svolgimento del romanzo è tutt’altro che lineare, perché il lettore ricostruisce a poco a poco il carattere di Jakub e i motivi che l’hanno portato lontano dalla moglie Lenka a sprazzi, esplorandone i ricordi insieme a una presenza sinistra e aliena con cui l’astronauta comincia a fare i conti mentre si avvicina all’apice della sua missione. L’esplorazione dello spirito ceco di Jaroslav Kalfař si spinge ben oltre il protagonista, intrecciandone la fama con quella di altre figure cardine dell’essere ceco: quella del teologo boemo Jan Hus e quella del geniale mastro orologiaio Hanuš z Růže, realizzatore del celebre orologio astronomico di Praga.
Mentre sulla terra è già diventato un eroe e un simbolo, nello spazio Jakub deve fare i conti con le contraddizioni crescenti tra il eroico pubblico e il suo problematico privato, dominato dal disgregarsi del suo matrimonio e dai ricordi d’infanzia che la presenza aliena scava pian piano nella sua memoria.
Il climax della missione porta il romanzo al suo apice: il raggiungimento della nube di Chopra è un punto di non ritorno che trasforma non solo il protagonista, ma anche la natura stessa del romanzo. Se nella prima parte era sembrato l’ennesimo sguardo beffardo, ironico e contemporaneo su una certa mitologia spaziale fatta tutta di astronauti intrepidi nella propaganda americana e sovietica alle prese dietro le quinte con sponsor e problemi ben più quotidiani, nella sua seconda parte Il cosmonauta diventa più struggente e incisivo. Abbandona lo spazio per tornare in Boemia, esplorandone il presente dove appena sotto la superficie uniformata al resto del mondo globalizzato continuano a ribollire rimpianti e vendette delle generazioni passate, che gravano come macigni sull’inconscio di quelle presenti.
L’incomunicabilità tra Lenka (che diventa via via qualcosa di più del semplice stereotipo della moglie dell’astronauta) e Jakub sembra derivare in misura crescente dall’incapacità del marito di lasciarsi alle spalle le ombre tormentate del suo passato, la colpa che il padre ha evitato di espiare e che è ricaduta amaramente sulla generazione precedente e successiva.
Se quindi il titolo originale è più centrato, la copertina italiana è meno ingannevole, restituendo l’atmosfera post sovietica di un romanzo che abbandona ben presto l’ironia lieve a spese dell’immaginario spaziale del passato per raccontare il tormento solitario di un uomo e una nazione la cui identità secolare deve essere riscritta attraverso soprusi e violenze novecentesche e i loro strascichi in una contemporaneità omologata a livello globale. Pur provenendo dagli Stati Uniti, Il cosmonauta è chiaramente figlio della letteratura e della fantascienza europea e somiglia molto di più per voce e sensibilità recenti a certe ottime prove italiane (Real Mars e Dimenticami, trovami e sognami su tutti) che agli omologhi statunitensi.
Il romanzo è tradotto da Federica Oddera.