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Il Natale del cinefilo è senza respiro. Il numero di uscite al cinema è imponente e, per chi sa ben cercare, non mancano nemmeno film di qualità, seppur seppelliti dal numero mostruoso di copie con cui si fronteggiano i titani del botteghino natalizio: da una parte l’impero (Disney), dall’altra i “ribelli” (giusto di nome, dato che come leggerete durante le Feste si raggiungono dei picchi di democristianità notevoli) del cinema italiano, guidati dall’impavido Checco Zalone. Mentre Luca Medici ormai battaglia con sé stesso volando verso i 24 milioni di euro, la Befana già bussa alla porta. Ditele di farsi da parte e correte al cinema, perché finalmente il Listone di gerundiopresente è qui per riparare alle mancanze e ai torti, per proclamare a suo sindacabilissimo giudizio vincitori e vinti, per linkarvi (quasi) tutte le recensioni pertinenti. Per essere, come sempre, un blog di cinema tenerino con lo sguardo severo (cit.) nei suoi giudizi. Taylor.
Errrr, sigla.

KNIVES OUT – CENA CON DELITTO [5 dicembre 2019]
Detective Daniel Craig indaga il mistero della morte dei film commerciali a soggetto originale scritti, recitati e soprattutto vestiti bene. Viene quasi da dire: non fate perdere tempo a uno talentuoso nello scrivere (e anche nel dirigere) come Rian Johnson con quisquilie come Star Wars Episodio VIII, alla luce di un’ottima detective story, un signor film commerciale ma soprattutto il miglior pornocostumismo di questo Natale, a mani basse. Io ho visto cappotti e maglioni che lei non può capire signora mia.
Il mio infallibile fiuto per la maglieria cinematografica colpisce ancora:

Qualche settimana più tardi:

Al botteghino statunitense si è dimostrato lo slow burner che si era fiutato nell’aria e, settimana dopo settimana, ha dimostrato la solidità necessaria per doppiare il risultato di C’era una volta a…Hollywood di Quentin Tarantino. In Italia, siccome non ci meritiamo le cose belle e men che meno i film originali e ben fatti, sta andato abbastanza bene ma non di più (4,5 milioni ad oggi). Siccome poi gli statunitensi proprio non sono capaci di non trasformare le cose belle in vile denaro, si parla già di franchise.
[RECE]

L’INGANNO PERFETTO [5 dicembre 2019]
Prendi una seria a cena due grandi vecchi del cinema come Helen Mirren e Ian McKellen e digli di pompare alla stragrande la loro inglesità ormai un filo geriatrica ma comunque persino vagamente sexy perché siamo davvero agli sgoccioli di un colpo di scena che per motivi anagrafici il cinema anglosassone presto dovrà lasciar andare e dunque ogni lasciata è persa e finché si riesce, anche con la cannulla dell’ossigeno e la sedia a rotelle, un film così ce lo beccheremo ogni anno.
L’idea di un thriller geriatrico nato su Meetic e finito a pestaggi con la mala e colpi! di! scena! dal mio punto di vista è interessante, ma tra le tante cose che L’inganno perfetto non azzecca c’è l’errore più madornale di tutti: pensare che veramente noi si possa credere che Helen Mirren interpreti una anziana signora gioviale, ingenua e sprovveduta. Insomma, se questo film sta in piedi è come al solito merito della tempra dei suoi interpreti. E lasciatemi dire una cosa che covo dentro da settimane: quelli non sono gigli, sono calle!! Scena top: Helen e Ian che vanno a vedere come due fidanzatini Bastardi senza gloria e all’uscita discutono sui giovani d’oggi che credono alla versione tarantiniana della storia.
[RECE]
CHE FINE HA FATTO BERNADETTE? [12 dicembre 2019]
Ma soprattutto che fine ha fatto Richard Linklater, qui praticamente irriconoscibile. Non sono mai stata travolta emotivamente dal suo cinema, però di cose su cui discutere su Boyhood e la trilogia del Before ce ne sono parecchie, mentre questo adattamento del romanzo di Maria Semple Dove vai Bernadette? è di rara inconsistenza. Teoricamente c’è il dramma di una geniale archistar che, ferita dal cattivo esito del suo progetto più ambizioso, si dà a una vita di quasi clausura in una città che detesta, curando una figlia verso cui è iperprotettiva e stando al fianco di un marito amorevole ma incapace di vedere la gravità della situazione. Almeno finché lei non scappa al Polo Sud. Nella pratica c’è una Cate Blanchett che fa il meglio che può, ma il film sabota ogni sorgente di conflitto, tanto che alla protagonista basta volerlo per trovare un modo efficace e quasi istantaneo per uscire da una crisi nera durata più di un decennio. Bah.
[RECE]

I DUE PAPI [20 dicembre 2019]
Al quartier generale di Netflix quest’anno sulle serie hanno un po’ soprasseduto, ma nel comparto cinema volevano essere certi al 100% di attirare l’attenzione di ogni premio statunitense. Tirati fuori dal cappello un capolavoro come The Irishman e un film che lo tallona da distanza con eccessiva come Storia di un matrimonio, si devono essere detti: sì, ma se poi gli anziani dell’Academy non si sentono abbastanza rassicurati, che si fa? Almeno, io me la immagino così la genesi di I due papi, film che percorre la terza via possibile per gli Oscar: componente biografica, ortodossia narrativa (più di così sarebbe anche difficile, dato l’argomento), protagonisti anziani e grandi attori che interpretano personaggi storici di grande fama.
Certo è un’operazione calcolata, ma alla fine il risultato è comunque di pregio. Ho molto apprezzato che al timone ci sia uno lontano anni luce dal tuo tipico regista di biopic come il brasiliano Fernando Meirelles, che dà un taglio direttivo bizzarro, spesso suggestivo, capace di non far imbizzarrire troppo i cinefili under 50. Forse però è la sua mano sudamericana a determinare l’esito del film. Infatti nella foga di raccontare in luce positiva la figura di Bergoglio – dipinto come un rivoluzionario reso buono, umile e comunista dagli errori passati – finisce per tarparle le ali. Invece nell’ironizzare su Ratzinger come un dogmatico fuori dal mondo (cosa che, ahi noi e i nostri meme, proprio non è), finisce per renderlo una figura decisamente più riuscita e intrigante in tutti i suoi limiti. Il tutto rimanendo ampiamente entro i limiti del corretto, che è pur sempre un film per gli anziani dell’Academy. Vale la pena di vederlo anche solo per Jonathan Pryce e ancor di più Anthony Hopkins, che qui fanno davvero faville.
[RECE]
PINOCCHIO [19 dicembre 2019]
All’uscita dalla sala mai avrei detto che un film poco riuscito come questo potesse avere le gambe per arrivare ai 12 milioni di euro d’incassi. Certo, ha influito un battage mediatico clamoroso anche per un film di Rai Cinema, culminato con Fabio Fazio che sostiene che bisognerebbe tenerlo in sala per un anno e più. Fabio guarda, mi è bastata la prima visione di un titolo il cui aspetto più appassionante per me rimane la dietrologia: perché Toni Servillo e Matilde De Angelis, che dovevano incarnare Geppetto e la Fatina, a un certo punto sono fuggiti? O ancora: è davvero brutto o è semplicemente la maledizione di Marine Vacth che colpisce ancora e dopo aver fatto cadere due volte Ozon, rende la regia di uno come Matteo Garrone fiacca e irriconoscibile?
I posteri mi stanno dando una sentenza che non riconosco, perché a partire da una sceneggiatura con dei dialoghi raffazzonati fino a degli interpreti giovanili pessimi (vi sfido a difendere la povera bambina, tanto carina quanto inabile come attrice), questo film è debole, sin troppo stiracchiato, anche considerando la sua natura natalizia e commerciale. Quel che è peggio, è un film che sulla carta non omette passaggi forti (l’impiccagione, per dirne una) ma non riesce a convogliare nemmeno una volta la brutalità e la violenza insite nella vita agra descritta da Collodi, tenendosi strette proprio quelle parti invecchiate peggio, in primis la dimensione visiva ed estetica dei personaggi (il Grillo, che incubo). Aggiungendo poi sul finale una natività dal sapore cristologico che, Matteo, perché? Quel che mi lascia basita è come questo Pinocchio – che Garrone sognava di fare da tutta la vita – sia soprattutto privo di emozione. Le cose succedono senza strascichi, senza ripercussioni emozionali sullo spettatore, avvolgendosi in quel pauperismo di altri tempi con cui flirtano la maggior parte dei cineasti italiani. Pietà. Sono davvero, davvero curiosa di vedere come verrà accolto dalla critica internazionale alla Berlinale, per avere una cartina di tornasole della sincerità di quella italiana.
[RECE]
RITRATTO DELLA GIOVANE IN FIAMME [19 dicembre 2019]
Come forse (forse) avrete avuto modo di capire se per sbaglio vi è capitato di imbattervi nella mia persona o nei mie account social nei, diciamo, ultimi sei mesi, questo film è il più rivoluzionario del 2019, la Francia come al solito è folle a non mandarlo agli Oscar (la critica statunitense lo ama quasi quanto me) e il popolo italiano è completamente matto a tributargli solo 280 mila euro d’incasso, di cui almeno un centone causato dalla mia logorrea estatica ed estensiva a riguardo.
Non mi dilungherò sul resto perché la [RECE] ve l’ho fatta mesi fa, nel frattempo ho anche intervistato la candidata ai Golden Globe Céline Sciamma e Valeria Golino (questa cosa è successa! Capite!?) e vi ho pure caricato il video con la conferenza stampa Roma. Non escludo di tornarci su in futuro, ma in soldoni: è già un titolo de I Bellissimi di Gardy, imperdibile, andate al cinema se potete. [INTERVISTA]
IL TERZO OMICIDIO [19 dicembre 2019]
Ha incassato meno di diecimila euro, ma è uscito in cinque sale, nella settimana di Natale, con due anni di ritardo, contro Star Wars e Ferzan Özpetek. Alla luce di tutto questo, possiamo davvero avercene contro questo legal drama firmato da Hirokazu Kore-eda che è più confuso e disordinato del suo solito, ma anche appassionato, complesso e pure un po’ legalese ma io ho ama moltissimo e ogni volta che lo rivedo mi conquista un pochino di più? Secondo me no. E poi c’è la neve, finalmente! La [RECE] la trovate scavando negli annali veneziani qui sul blog.

LA DEA FORTUNA [19 dicembre 2019]
Meno peggio dei suoi ultimi film e in netta risalita dal disastroso Rosso Instabul, Ferzan Özpetek tira fuori il suo film meno erotico di sempre e io non posso chiedermi quanto centri la voglia di parlare di affetto e tenerezza familiare (di composizione queer) e quanto la presenza di Edoardo Leo. Non vi mentirò dicendovi che a portarmi in proiezione c’era anche un buon 20% di curiosità su quanto e come avrebbero limonato Accordi e Leo. Ovviamente sempre ai fini del mio dovere di cronaca cinematografica.
Non è un Ferzan Özpetek fatato e ignorante come ai tempi d’oro e nemmeno abbastanza coraggioso da lasciarsi dietro per davvero i suoi temi e attori feticcio, ma una certa rinfrescata la dà e si vede che ci tiene a raccontare questa storia, sprone che qui dà una marcia in più anche nei momenti di stanca. A fare il vero lavoro sporco sono il trio d’interpreti protagonisti: Jasmine Trinca fenomenale anche se un po’ in disparte e in un ruolo ingratissimo, Edoardo Leo molto convincente e Stefano Accorsi molto divertente, anche se spesso involontariamente, con una recitazione troppo sopra le righe (anzi, proprio fuori dalla pagina). Adesso però è arrivato il momento di dire sì all’adozione alle coppie gay (specie se i figli affidatati sono finalmente due interpreti minorenni più che dignitosi, evento raro nel cinema nostrano) e un no forte e deciso alle canzoni di Mina, Arisa o altre interpreti gay icon sparate a livello undici con uno stacco così forte e con un ingresso così marcato da scaraventarti fuori dalla storia.
[RECE]
STAR WARS: L’ASCESA DI SKYWALKER [19 dicembre 2019]
L’avevo trovato imbranato e pasticcione in sala, ma essendo da sempre un po’ tiepida verso la saga (perché accontentarmi di Luke quando posso avere John, suvvia) non mi aspettavo di venire doppiata a destra dal pubblico generalista, accanitosi con insolita ferocia sul film, che comunque al botteghino ha continuato indisturbato a fare i suoi soldoni. In un certo senso rientra nell’ordine stellare delle cose lucasiane: il fan ha un rapporto così viscerale con Star Wars che se non può amarlo, amerà odiarlo con uguale passione. Aiutato dal successo di The Mandalorian e dalla presenza antecedente di Episodio VIII (secondo alcuni il Napoleone degli Star Wars dopo cui J.J. Abrams dà il via alla Restaurazione, secondo altri apologia eretica che Episodio IX tenta inutilmente di espiare) comunque in qualche modo il film la sfangherà. Certo che fa impressione vedere un titolo così cruciale a livello narrativo che fa concorrenza alla pochezza facilona di Solo: a Star Wars Story. In tutto questo ricordiamo lo straziante sacrificio di Adam Driver, a cui anche qui toccano le scene e i dialoghi più ingrati del film, che lui porta a casa con consumata perizia, probabilmente odiando ogni minuto della faccenda. Alla fine aveva ragione Johnson: ai fini cinematografici, è molto più lungimirante scontentare i fan rispetto che tentare di esaudire ogni loro desiderio.
[RECE]

THE FAREWELL – UNA BUGIA BUONA [24 dicembre 2019]
Il problema non è se sia un buon film, ma quanto lo sia. Salutato come il piccolo progetto rivoluzionario del cinema indie statunitense dell’annata, The Farewell – una bugia buona è ancora una volta un’operazione leccatissima di A24, con tanto di rallenti videoclippari e palette prese di peso da Tumblr tardo 2006. Nulla di male, anche se rischia di mettere in ombra una certa capacità autentica e intrigante di Lulu Wang di lasciare che le cose accadano (e siano divertenti) davanti alla sua cinepresa, senza seguire e sottolineare l’emozione con pedanteria registica.
Fin qui ok, bello, interessante, non ho per niente apprezzato l’interpretazione tra l’imbarazzo e introversione di Awkwafina ma ci può stare anche la nomination ai Golden Globe, va bene. Quello che mi manda in bestia è che venga spacciato come un film asiatico (cioè, solo una mente americana può pensare che questo film statunitense e newyorkese fino al midollo si avvicini anche solo vagamente alla produzione cinese) e che sia un film forte, graffiante, scorretto. Con quel finale lì – indifendibile anche nel periodo più democristiano dell’anno ovvero le feste natalizie – non solo l’intero discorso fatto in precedenza perde forza e concretezza, ma sancisci ancora una volta in più di quanto sia un film mediato, studiato e maledettamente statunitense.
[RECE]
JUMANJI – THE NEXT LEVEL [25 dicembre 2019]
Questa Awkwafina ironica e videoludica mi è piaciuta decisamente di più, così come il sequel rispetto al remake dell’originale (sembra uno scioglilingua ormai, invece è solo l’ennesimo franchise). Non so, forse a questo punto le mie sinapsi si erano arrese, ma l’ho trovato scritto con la giusta concretezza e levità, voglioso di mettere un po’ alla prova i suoi interpreti e di sfruttare le possibilità action degli effetti speciali e degli scenari da videogioco retrò, senza prendersi troppo sul serio. Ecco, l’antefatto e la conclusione del film non vanno esaminati da troppo vicino perché non hanno alcun senso: concentriamoci sul ritorno di Danny DeVito, che sembra anche divertirsi parecchio. La voglia di levità pericolosamente vicina all’inconsistenza nello spettatore italiano nel cinema a Natale viene certificata da un botteghino che probabilmente alla fine riuscirà a superare i 10 milioni di euro.
[RECE]

TOLO TOLO [1 gennaio 2020]
L’Italia del 2020 è quel posto disperante e incongruente in cui ad avere finalmente il coraggio di fare un film politico e polemico sul qui e sull’ora è Checco Zalone, che aveva cominciato la sua avventura cinematografica con un lavoro irricevibile per livelli di omofobia e misantropia. Ora approda con Tolo Tolo a un livello sferzante, che non solo non tiene la mano al suo spettatore tipo ma lo irride di gusto, con ferocia. Anche qui si potrebbero spendere fiumi d’inchiostro sulla bizzarra genesi del progetto (scritto da Virzì e da Zalone, che qui dirige e comincia a scollarsi dal personaggio firmandosi come Luca Medici) e sul risultato. Infatti Tolo Tolo è sin troppo ricolmo di contenuto, tanto che avrebbe giovato di un bel taglio di minutaggio, pur non superando i 100 minuti di durata. E se Medici sperava di venir ripudiato dal suo pubblico e di staccarsi da Zalone e da tutte le aspettative che si porta dietro (in termini di botteghino e di contenuti) con un film che sembrava nato per venire odiato e ignorato, beh, il botteghino per il momento dice esattamente il contrario. Vola, vola dove solo Checco può arrivare, con un enorme sospiro di sollievo degli esercenti e delle 1200 sale messe a disposizione per l’impresa.
[RECE]
SORRY WE MISSED YOU [2 gennaio 2019]
Se sapete quanto ho trovato paraculo, piacione e semplicista la Palma d’Oro Io, Daniel Blake sarete sconcertati nel sapere che ho trovato pazzesco l’ultimo film di Ken Loach. Nel 2019 ancora una volta ci vogliono due veterocomunisti come lui e Robert Guédiguian per tirar fuori un’istantanea del peggio che ci regala l’ultima deriva tardocapitalista, quella che dissolve i contratti e la vita fuori dal lavoro che insegui e t’insegue in una spirale distruttiva. Di questo film bellissimo e perfetto nella sua semplicità brutale mi porterò dietro il silenzio di gelo che ha accolto il riaccendersi delle luci in sala, con gli spettatori che come me erano rimasti turbati dall’assoluta, quotidiana verità di quanto visto. Parasite irride dei ricconi inconsapevoli con il villone di design, Ken Loach ci tocca dentro la spalla e ci mostra come anche solo ricevere un pacco Amazon faccia di noi un privilegiato e uno sfruttatore.
[RECE]
18 REGALI  [2 gennaio 2019]
Ma cosa vuoi o puoi dirgli a uno come Francesco Amato, regista profondamente consapevole dei limiti del suo talento e umile abbastanza da dividersi tra cinema e TV, alla bisogna. Certo che questa storia di mamma coraggio sembra scappata da una fiction Rai di quelle vecchio stile, il cui messaggio subliminale non poteva essere più chiaro di così. Guardate, sono quasi certa che lui a un certo punto abbia anche avuto una mezza idea di metterci dentro una critica alla concezione borghese di decoro, tutta villette a schiera e paziente sopportazione del coniuge, ma quando ti appioppano la storia vera di una donna che nemmeno si pone il problema di scegliere tra un cancro mortale, il neonato che porta in grembo e il suo benessere e come supervisore alla sceneggiatura c’è il di lei marito, non hai scampo. Date le premesse, pensavo persino peggio, anche se dovremmo dare la possibilità a Vittoria Puccini di fare qualcosa di vagamente sbarazzino almeno una volta nella vita.
[RECE] [INTERVISTA]