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adolescenti problematici, amori adolescenziali, Chloë Sevigny, conferenze stampa, HBO, Jack Dylan Grazer, Jordan Kristine Seamón, Luca Guadagnino, Paolo Giordano, serialità, SKY
A inizio ottobre si è svolta la conferenza stampa italiana ufficiale di presentazione di We Are Who We Are, la prima serie televisiva diretta da Luca Guadagnino e prodotta da Sky e HBO, ambientata tra i soldati di stanza in una base americana a Chioggia e le loro famiglie.
Per un sunto organico ed essenziale di quanto raccontato dal regista e dal cast potete dare un’occhiata a questo pezzo.
A seguire invece trovare la trascrizione integrale di quanto detto dai partecipanti.
Partecipanti:
- Luca Guadagnino, showrunner, regista, sceneggiatore e produttore esecutivo della serie
- Paolo Giordano e Francesca Manieri, sceneggiatori
- Nicola Maccanico, Executive vice-president Programming Sky Italia
- Lorenzo Mieli, CEO The Apartment
Membri del cast:
- Jack Dylan Grazer (Fraser)
- Jordan Kristine Seamón (Caitlin)
- Chloë Sevigny (Sarah)
- Alice Braga (Maggie)
- Francesca Scorsese (Britney)
- Faith Alabi (Jenny)
- Scott “Kid Cudi” Mescudi (Richard)
- Spence Moore II (Danny)
- Tom Mercier (Jonathan)
Come è stata la tua prima volta nel mondo della serialità? Cosa è cambiato per te come regista?
Luca Guadagnino – Ogni soggetto che giri, ogni impresa che affronti ti cambia. È sempre un nuovo inizio. In questo caso specifico era una prima volta in molti sensi: in televisione, al fianco di Sky e HBO, al fianco di questo cast stupendo , con alla produzione Lorenzo Mieli. Per me è stata una prima volta simile a quelle che vivono i protagonisti della serie, è stato un motivo di grande spensieratezza.
Abbiamo girato per 94 giorni e a poco a poco abbiamo visto le nostre idee diventare realtà. La ragione principale per cui oggi sono qui a parlare della serie è che Paolo e Francesca hanno fatto un lavoro pazzesco sulla pagina scritta.
Quanto è importante per Sky avere una serie d’autore in questo tipo?
Nicola Maccanico – E fondamentale per un’emittente premium come la nostra, anche perché abbiamo la forza necessaria a puntare su un prodotto autoriale, trattando temi diversi con assoluta libertà di voce e pensiero.
Sky in passato ha preso dei nomi italiani e li ha fatti viaggiare nel mondo, è bello oggi poter lavorare con un italiano come Luca, che il mondo ha già scoperto, riportandolo in Italia.
Come è andata la lavorazione delle sceneggiature e l’incontro con Luca, quanto è stato un Big Bang per voi?
Paolo Giordano – Luca è stato molto…bang! Sono molto emozionato di rivedere qui riunito tutto il cast dopo aver finito di girare e dopo quello che abbiamo vissuto negli ultimi mesi.
Secondo me è stato un grande atto di tracotanza scrivere una serie pensata in un’America inserita dentro l’Italia. Per questo aspetto ci siamo affidati totalmente a Luca e lui ci ha molto aiutato. Abbiamo mantenuto una certa libertà adolescenziale sia nella scrittura sia nella regia.
Francesca Manieri – Strehler diceva che se non ti innamori di un progetto mentre lo stai scrivendo e realizzando, allora non vale niente. Per me questa serie è stata un continuo innamoramento: prima con Paolo mentre la scrivevamo, poi con Lorenzo che ci ha creduto per anni, poi ovviamente con Luca. Lui è la precisione fatta a persona: le riunioni con lui possono durare anche quaranta secondi, eppure ti sembra di aver passato ore nel mondo del regista.
Luca ci fa: “ma veramente non avete visto Ai nostri amori di Maurice Pilat? Guardatevi quel film, quelle sono le mie note”. Lo abbiamo visto e abbiamo capito cosa intendesse dire. Alla fine ci siamo accordati, come diceva Hegel c’è stato un riconoscimento di tre autocoscienze. Per me We Are Who We Are è stata una grande tappa professionale e personale.
Una domanda per il produttore: perché hai lottato così tanto, per così tanti anni, per portare alla luce questo progetto? Volevi raccontare una storia d’amore contemporanea?
Lorenzo Mieli – Me lo chiesto spesso. L’idea per We Are Who We Are è nata tanti anni fa. Volevo fare un progetto che raccontasse la trasformazione sessuale di una ragazza – da giovane donna a giovane uomo – ambientata per intero all’interno dell’adolescenza. Sentivo che in questo genere di storie c’è qualcosa di esplosivo ma confuso, complesso. L’idea è passata prima per le mani di Paolo e Francesca, poi in quelle di Luca ed è diventata questa serie. Io non sono interessato a serie cosiddette teen, piuttosto mi interesso a storie che raccontano l’esplosione della dimensione del desiderio, che comincia per tutti nell’adolescenza e poi non ci lascia più.
Jack, quanto c’è di te stesso e di Luca Guadagnino in Fraser?
Jack Dylan Grazer – Luca mi ha dato tantissima libertà di cercare di capire questo personaggio. Ci ha detto che nessuno poteva conoscere questi ragazzi meglio di noi interpreti, quindi ci ha lasciato emergere, consentendoci un grande margine d’azione.
Mi hai detto che secondo te Jack è uno dei più bravi attori viventi, che ha un lato shakespeariano che svela le verità nascoste, che ha la saggezza di un ottantacinquenne. Cos’ha di così incredibile?
Luca Guadagnino – Jack riflette come una persona che è arrivata alla fine della sua vita, è davvero saggio.
Jordan so che hai mandato una registrazione di un provino video per il casting. Perché secondo te Luca ti ha scelta?
Jordan Kristine Seamón – Ho colto l’essenza di Caitlin in poco tempo, con questo personaggio condivido molte esperienze: credo sia questo che Luca ha visto in me, quello che l’ha portato a scegliermi. Quando ho conosciuto Luca abbiamo creato da subito un bellissimo legame.
Luca, cosa hai visto in Jordan?
Luca Guadagnino – Quando ho visto il suo provino registrato, ovvero la scena in cui lei recita il testo di David Mamet, la sua intelligenza nel capire come interpretarlo era incredibile. Era inevitabile sceglierla. Inoltre il suo viso è così enigmatico, aperto e chiuso allo stesso tempo. Ha un grande ventaglio di emozioni possibili.
Francesca, com’è lavorare con Luca?
Francesca Coppola – Lavorare con Luca è stato stupendo. Sul set ha avuto grande attenzione per ognuno di noi, voleva che fossimo a nostro agio in ogni scena. Rispetto a mio padre ha un approccio molto diverso, è stato interessante lavorarci insieme.
Spence, lascerai il football per il cinema? Luca ti ha convinto?
Spence Moore II – Beh, i sogni del football li ho messi a tacere da diversi anni, da quando ho finito il liceo. Non voglio guardarmi indietro, ora penso solo al cinema. Mia nonna mi diceva di seguire i miei sogni e con questo progetto ho capito da subito che andare in Italia con Luca e gli altri era un’opportunità imperdibile.
Chloë, non deve essere stato facile interpretato un colonnello dell’esercito americano.
Chloë Sevigny – Mi sono affidata a Luca, lui cerca di ottenere il meglio da ognuno di noi. Sul set comunque avevamo un consulente che ci ha dato un sacco di informazioni inestimabili per poter capire la dimensione militare dei nostri personaggi.
Alice, pensi che questa serie dia voce alle minoranze poco rappresentate?
Alice Braga – Ero davvero entusiasta quando ho letto la sceneggiatura, sapevo che Luca ci avrebbe messo grande autenticità nel ritrarre queste persone. Credo che i nostri giovani siano il futuro e ritrarli con così grande onestà e verità è davvero importante.
Penso che questo lavoro possa ispirare davvero molte persone in un mondo così diviso e pieno di pregiudizi: produrre una serie come questa per ispirare i giovani ad essere liberi è fantastico.
Faith, secondo te qual è il valore aggiunto di questa serie?
Faith Alabi – Credo che sia davvero importante avere personaggi che magari non si vedono molto spesso in televisione.
Qual è stato l’aspetto più difficile per te Tom?
Tom Mercier – Credo sia stato all’inizio, quando ho dovuto familiarizzare con le consuetudini militari. Capire le logiche dietro gli addestramenti mattutini, dietro la scacchiera organizzata della vita di queste persone. Allo stesso tempo c’è questo rapporto particolare con un ragazzino che potrebbe essere un amico mio o della mia famiglia. Credo sia stato magico come siamo riusciti a trovare della purezza in queste vite.
Scott, cosa ti ha convinto a interpretare un padre pro Trump?
Scott “Kid Cudi” Mescudi – Recito ormai da dieci anni, ma questo ruolo è stato totalmente nuovo rispetto a quanto fatto in passato. Ho imparato tantissimo al fianco di Luca.
We Are Who We Are ha una particolare dimensione peculiare del tempo e dello spazio. Luca, come mai hai girato una serie ambientata nel 2016, in un luogo così particolare?
Luca Guadagnino – Nella prima conversazione con Lorenzo avevamo riflettuto sul luogo giusto per ambientare la serie. La mia disciplina mentale mi porta a pensare a luoghi piccoli in cui evolvere storie universali: è così che siamo arrivati all’idea di una base militare. Essendo una base ha un’identità americana ma è comunque all’estero. Il mondo dell’esercito ha tutta una dimensione legata agli ordini, alla disciplina, alla disobbedienza. Essendo ambientata nel Chioggiotto, permetteva di lavorare sulla permeabilità differente tra adulti e giovani con la cultura circostante.
Per me per parlare di contemporaneità ci vuole una distanza minima. Quante volte vediamo film contemporanei che non hanno nulla a che vedere con le nostre vite quotidiane? Per questo abbiamo scelto il semestre delle scorse elezioni presidenziali statunitensi: era un’occasione troppo ghiotta per lasciarsela sfuggire. La serie mostra come ogni personaggio ignora o reagisce all’elezione di Trump. Come dice Sarah: “i tempi sono cambiati, piacciono le decisioni forti”.
Quanto ti ha aiutato essere in Italia a girare?
Jack Dylan Grazer – Moltissimo. Mi è servito essere in Italia, mi ha permesso di andare in giro, prendere un caffè e farlo nel modo strafottente del personaggio. Ovviamente anche il colore dei capelli e l’abbigliamento lontano dalle mie abitudini mi hanno aiutato a immergermi nel personaggio. Nella serie c’è un’infanzia che svanisce e tutti devono scendere a patti con questo.
Luca Guadagnino – Inoltre tutti i ragazzi del cast hanno creato una versione reale della gang della serie. Quante volte ho sentito di feste che hanno organizzato nella realtà?
Luca, puoi parlarci un po’ del lavoro di casting?
Luca Guadagnino – Ho lavoro con Carmen Cuba, una grande professionista statunitense che ha curato il casting di Stranger Things. Il nostro desiderio era quello di avere un gruppo di presenze non banali. Per me il segreto è capire se sono innamorato delle persone con cui lavoro e in questo caso sono stato poliamoroso.
In We Are Who We Are ci sono personalità appena esplose nel circuito internazionale come Tom, scoperte come Jordan e Faith, qualche mia vecchia passione con cui desideravo lavorare da anni come Chloë e Alice. Questo è stato un processo ricco di scoperte.
Come hai reso realistica una realtà così stringente come quella della base militare?
Luca Guadagnino – Cercare di essere autentici nella rappresentazione di questa base statunitense in Italia è stato fonte di molti mal di testa. La base è popolata da americani e dentro questo confine ci doveva essere la rappresentazione della varietà della società statunitense.
Come avete realizzato la base?
Luca Guadagnino – Abbiamo visitato la piccolissima base che si trova a Bagnoli di Sopra, tra Padova e Chioggia. Mi è sembrato evidente che quella sarebbe stata la nostro base, anche se poi sono passati mesi e milioni di euro e ore di lavoro di effetti speciali e scenografi per trasformarla in ciò che vediamo nella serie. Di autentico però è rimasto il cielo veneto, la forza di questa regione a est che trovo affascinante. Praticamente è un’isola.
Sulla questione del dialetto, era una scelta doverosa: se la serie è ambientata lì, devono parlare il dialetto chioggiotto. Sebastiano Bigazzi, che interpreta Enrico, è originario dei Parioli: ha lavorato tantissimo per rendere al meglio l’accento veneto. Altre persone che parlano in dialetto poi non sono attori, sono abitanti delle vicinanze che ci hanno dato una mano.
Hai una cura del dettaglio pazzesca.
Luca Guadagnino – Mentre giravamo la scena del primo episodio in cui Fraser vomita ho costretto Paolo a stare lì con me, nel mezzo di un campo appena concimato e pieno di fango. È stato davvero stupendo per il mio sadismo costringerlo a stare lì addiaccio in ore notturne. Sono scrittori, bisogna tirarli fuori dalle loro stanze.
Trovi che Fraser sia un po’ antipatico?
Luca Guadagnino – Secondo me no. Fraser è un ragazzo pieno di jet lag, senza valigia e vestiti, catapultato in una realtà di cui non conosce nemmeno la lingua, è stanco e viene anche preso un po’ in giro… si comporta bene per avere 14 anni. Ricordate che agli adolescenti manca un pezzetto di cervello.
Jordan Dylan Grazer – Fraser può essere difficile da capire alle volte, ma bisogna accettare il fatto che non piaccia a tutti. Lui non è accondiscendente, ma quasi tutti i personaggi di questa serie non lo sono. Magari è difficile da mandare già per spettatori casuali, ma io trovo sia semplicemente umano il suo modo di comportarsi.
Mentre giravi pensavi a questo progetto come a una serie o a un film?
Luca Guadagnino – Quando dirigi non hai molto tempo di ragionare sui massimi sistemi, ti devi confrontare con 8 ore di lavorazione al giorno, con il cast e la troupe. Quando l’abbiamo finito ho montato gli episodi con Marco Costa, il montatore 26enne delle serie. Ci siamo resi conto che We are Who We are era ermafrodita. Visto separatamente funzionava in maniera seriale, episodica. Quando l’abbiamo rivisto in un’unica soluzione (come presentato a San Sebastian), come un lungo film di 8 ore, funzionava come una pellicola. Trovo sia ibrido, bifronte.
Luca, è vero che Timothée Chalamet appare in un cameo?
Luca Guadagnino – Mi hanno fatto vedere che su Twitter qualcuno ha individuato Timothée dietro il personaggio di Scott che stira…è vero. Dato che è venuto a trovarmi sul set, gli ho detto: “dai, passa davanti alla macchina”. Ci sono venute a trovare più persone, vi invito a scoprirlo.
Saresti disposto a girare una seconda stagione?
Luca Guadagnino – Se si può mettere insieme di nuovo questo cast tecnico e attoriale, io sono pronto.
Qual è stato il ricordo più bello di quest’esperienza?
Jack Dylan Grazer – Non ho mai riso tanto in vita mia quanto durante le scene che ho girato con Tom ad Asiago.
Jordan Kristine Seamón – Le scene che ho girato in famiglia mi hanno dato così tante soddisfazioni, è stato davvero semplice. Mi sentivo davvero tra congiunti.
Chloë Sevigny – Stare vicini a Luca e questi attori esordienti è stata la cosa più bella.
Alice Braga – Siamo tutti molto diversi ma sul set ci completavamo a vicenda, grazie alla sensibilità di Luca.
Francesca Scorsese – Girare insieme a tutti i ragazzi, lavorando con grande scioltezza, interagendo con Luca.
Faith Alabi – La scena della Chiesa.
Scott “Kid Cudi” Mescudi – Lavorare con questo cast è stato fantastico. Ricordo in particolare una scena molto pesante che avevo, ero davvero agitato. Dopo la prima ripresa tutti hanno fatto il tifo per me, non mi era mai successo.
Spence Moore II – Quando eravamo in un hotel di Sottomarina e abbiamo preso l’abitudine di andare tutti insieme a mangiare in questo ristorantino poco lontano. Ci sentivamo a casa. Siamo rimasti amici, anche se non sempre siamo andati d’accordo.
Tom Mercier – Ricordo con particolare piacere le scene che abbiamo girato con Jack in montagna, siamo quasi stati attaccati dalle pecore. Ho un bellissimo rapporto con lui.
Luca, fai venire voglia a tutti di vivere su un tuo set.
Luca Guadagnino – Mh, è un’esperienza che davvero non consiglio (ride).