È la confusione e la superficialità che circondano Your Name Engraved Herein ad aver reso interessante ai miei occhi questo lungometraggio queer, a cui sono arrivata grazie a una cortese segnalazione. Presentato qua e là come il primo film apertamente queer della storia cinematografica taiwanese, mi ha da subito generato qualche perplessità. Film compatrioti che si muovono su registri simili ne ricordavo pure io, che di cinema del sud est asiatico so pochissimo (Wikipedia conferma che ci sono parecchi precedenti).
L’arcano lo risolve il comunicato stampa di fine novembre di Netflix, che si è aggiudicata i diritti di distribuzione internazionali e presenta il film come “il maggiore incasso di sempre per un lungometraggio queer a Taiwan”. Campione d’incassi nel 2020 – anno in cui Taiwan è la prima tra le nazioni della regione a legalizzare i matrimoni tra persone dello stesso sesso – e una delle due pellicole di quell’annata a sfondare la soglia psicologia dei 100 milioni in valuta locale d’incasso. Forse pecco un po’ di dietrologia, ma trovo abbastanza significativo che, quando si parla di una piccola nazione asiatica (specie una con una tradizione cinematografica nazionale ben delineata come Taiwan), si dia per assodato che si possa arrivare al 2020 sfornando il primo film LGBTQ+ in assoluto.
Significativo e senza dietrologie un altro tipo di confronto. You Name Engraved Herein – campione d’incassi assoluto in patria nel 2020 – mi viene da compararlo alla performance di un film similmente queer e dal richiamo internazionale ancora maggiore con fortissimi di paternità italiana, uscito da un passaggio in sala molto atteso senza nemmeno superare quota 5 milioni di euro, seppur all’epoca era raro imbattersi in qualcuno che non avesse qualcosa da commentare a riguardo. E mi ero anche ripromessa di non partire con piglio polemico, vedete voi.
Mi accuserete di una certa monotonia se insisto a tirare in ballo Chiamami col tuo nome, ma mi riesce difficile non farlo rispetto a una pellicola che sembra ricalcarne parecchie scene e scelte registiche. Il bagno pieno di schizzi che da Sirmione di sposta ai confini remoti di una qualche regione taiwanese, la telefonata con strazio piangente finale, Montreal che profuma di Bergamo Alta*. Ad onor del vero, Your Name Engraved Herein è stato comparato a una miriade di titoli. Una comparazione ricorrente (e che mi è parsa particolarmente campata per aria) è quella con il cinema di Wong Kar-wai, ma ho deciso di derubricarla a “scarsa familiarità con in cinema a sfondo sentimentale di provenienza asiatica”.
Un altro paragone che invece mi sento di sostenere è quello con il comparto dei drama cinesi e coreani. Non bazzico molto la scena, ma si sente una certa influenza, soprattutto nell’approccio prudenziale con cui viene costruito l’avvicinamento fisico ed emotivo tra i due adolescenti protagonisti A-han (Chang Jia-han) and Birdy (Wang Bo Te).
La data da segnarsi è il 14 luglio 1987, quando la legge marziale viene abolita a Taiwan. È un cambiamento epocale, ma al contempo sul lato pratico l’evoluzione politica e sociale della nazione, il lento distanziarsi dal primato della casta militare sulla scena politica, procede a rilento. Su questo sfondo storico che il film fatica a introdurre al pubblico straniero (e che poi si rivela abbastanza superfluo) conosciamo i due protagonisti. Uno pienamente immerso in un concetto di maschilità dominante, esibita e talvolta violenta, l’altro introdotto come lo strambo outsider. Dopo la cameretta tappezzata di foto degli Wham! (altro tentativo non troppo convinto di ricostruire il contesto degli anni ’80 in quelle specifiche latitudini) non ci vuol molto allo spettatore per capire quali sentimenti siano latenti, mentre per A-han e Birdy sarà una lunga e difficile presa di coscienza. L’approccio iniziale però è così derivativo da mille e una ispirazioni, così poco personale, così vicino al mondo dei drama rispetto a quello del cinema autoriale, che si finisce per rimanere un po’ disorientati. Solo procedendo nel minutaggio Your Name Engraved Herein si svela, alza la voce, chiarisce non tanto cosa ma come vuole dirlo.
La fotogenia, l’intepretazione e la chimica dei due giovani attori protagonisti guidano la pellicola attraverso un’iniziale impasse, fino a una lunga fase centrale in cui il film si dimostra più spavaldo, complesso. Nel raccontare come A-han e Birdy trovino innanzitutto dentro sé stessi un continuo attrito all’ammissione del proprio sentimento, a cui fa eco un notevole stigma sociale, Your Name Engraved Herein mostra finalmente la qualità cinematografica che lo ha reso tanto chiacchierato, oltre a esplorare un po’ meglio le specificità locali di questa relazione.
Non posso dire di esserne rimasta soddisfatta, ma nemmeno di esserne uscita delusa. In generale lo consiglierei sia a chi è interessato a questo filone per questioni autobiografiche si per chi si avvicina, come dire, sulla scia di un certo feticismo. Questo lungometraggio è uno strano incidente frontale tra una storia queer fortemente personale e autobiografica (quella personale del regista Kuang-Hui Liu, che però si è fatto sceneggiare la sua esperienza adolescenziale dal collega regista prettamente televisivo Qu Youning), un’elaborazione da drama emozionale e con qualche punta soap diretta a un pubblico femminile, un freno a mano interno tirato che di solito presagisce un difficile rapporto con il visto censura (qui però non dovrebbe essere il caso) e quei momenti musicali/maccosa? che nel cinema asiatico non sono mai troppo lontani.
Kuang-Hui Liu ha spiegato che un buon 80% di quanto vediamo è in qualche modo figlio dei suoi ricordi e si sente: oltre all’amore adolescenziale c’è una passione strisciante per il cinema e la forma narrativa, un’istintiva ribellione al precostituito che ricorre frequentemente in film simili fatti da colleghi di ogni parte del mondo. Certo il film ha molte ingenuità, ma non quelle che ti aspetti da un titolo che dovrebbe peccare perché troppo vicino a chi lo racconta, troppo personale e sentito.
A tratti Your Name Engraved Herein è genuinamente toccante e risuona di tanta esperienza queer che il pubblico eterosessuale ha conosciuto per interposta persona anche grazie al cinema, altrove però suona sin troppo calcolato e misurato. L’interminabile scena in cui uno dei due protagonisti si confronta con i genitori è esasperante per come stia sulla soglia, ma non si capisce temendo cosa: una censura esterna, un pudicizia personale, la sempiterna necessità di essere “universali” nel parlare d’amore queer?
Sgombriamo il campo da dubbi: non c’è nulla di universale nei sentimenti raccontati in Your Name Engraved Herein, che anzi presenta una storia di esemplare specificità dell’esperienza omosessuale in quegli anni a Taiwan. Sin dai tempi di Chiamami col tuo nome una certa parte di stampa e pubblico sembra quasi sentirsi sollevata nel poter dividere il cinema queer in universale e la particolare, dove l’unico discrimine sembra essere la capacità d’immedesimarsi per il pubblico eterosessuale nel processo d’innamoramento o nella dolorosa fine della relazione. I film “troppo queer” impediscono una simile immedesimazione (?), mentre quelli “universali” riescono a far sentire il pubblico eterosessuale accolto, compreso. Certo ci vuole un notevole impegno per trascurare quanto l’omofobia interiorizzata e sociale plasmino e influenzino queste storie “universali”. Basta che siano struggenti abbastanza, pulite abbastanza per renderci partecipi e farci fare il salto, farci struggere per loro e con loro, perché anche noi abbiamo avuto un primo amore o una rottura che ancora cova sotto le ceneri.
Così sì un autore affermato (ancorché molto derivativo dai suoi punti di riferimento) come Guadagnino, un regista dall’influenza estetica ed emozionale quasi incalcolabile negli ultimi 20 anni come Wong Kar-wai e un quasi esordiente al suo primo film parzialmente riuscito come Kuang-Hui Liu si fondono in un unica figura: quella del creatore di film queer accettabile, perché socchiudendo gli occhi abbastanza non parla con noi ma parla di noi. Forse a questo punto preferisco la grezza e ruvida onestà intellettuale e la pragmaticità pornografica del filone yaoi.
Voleva essere una recensione, ma è diventata qualcos’altro. Buon San Valentino.
*Su colore e stile del font del titolo nel manifesto internazionale invece c’è lo zampino di una sorniona Netflix, che crede nelle associazioni tipografiche inconsce.